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LA DISSIDENZA IGNORATA - Le capacità manipolatorie delle ideologie dominanti

Di Antonella Randazzo


E’ uscito in questi giorni il numero 6 di “Critica Sociale”, che riporta un saggio dello studioso Paolo Sensini, dal titolo “I due Sessantotto” (si può trovare nelle migliori librerie, come la Feltrinelli). Il saggio tratta la rappresentazione che i diversi gruppi della sinistra extraparlamentare ebbero sul dissenso nei paesi dell’Est europeo durante il periodo 1968-1977.
Si tratta senza dubbio di un lavoro assai utile per comprendere molte caratteristiche del periodo della Guerra Fredda, che possono, se comprese appieno, far capire meglio anche la realtà di oggi, negli aspetti relativi al potere dei partiti e ai metodi del sistema volti ad impedire una rappresentazione chiara e veritiera dei fatti che accadono nel nostro paese e altrove.

Il saggio di Paolo Sensini ha numerosi pregi: è basato sull’analisi obbiettiva delle pubblicazioni del Partito Comunista e dei gruppi extraparlamentari nel periodo 1968-1977, e svela impietosamente le carenze informative e le distorsioni ideologiche praticate in nome del “Partito”. Fatti come la Primavera di Praga furono, tranne eccezioni, poco considerati, oppure mistificati, per mantenere intatta l’immagine dell’Urss come di un sistema in cui i proletari trionfarono.
L’approccio analitico è nuovo in ordine a tali contenuti, e la ricostruzione lucida, priva di facili commenti, riporta a realtà sottaciute nel nostro panorama informativo, come la vera natura delle stragi terroristiche e l’acquiescenza delle autorità italiane verso i gruppi di potere.
Emerge dai documenti presentati, assai chiaramente, l’interesse che ha il sistema attuale, al fine di autoproteggersi e rafforzarsi, a potenziare determinate ideologie, curandosi che esse vengano recepite come vere, potendo in tal modo offuscare le normali capacità di intendere i fatti e di capire quali sono i propri interessi.
Dal saggio emerge come le ragioni dell’ideologia di Partito superino di gran lunga quelle relative ai diritti umani, in un continuum mistificato, in cui le vittime diventano “controrivoluzionari borghesi” e i carnefici vengono intesi come strenui difensori del potere del popolo. Ignorando clamorosamente che proprio contro il popolo si erano accaniti.
Emergono mistificazioni che oggi appaiono abnormi, ma all’epoca erano intese come naturale difesa di ciò che appariva un’ideologia indispensabile alla “liberazione dei popoli”. Ciò testimonia il potere che le ideologie dominanti hanno nel determinare un giudizio, anche su fatti gravissimi come le repressioni e i crimini di Stato.
Spiega Sensini: “Il tema delle libertà civili, economiche e politiche sistematicamente conculcate nei paesi del blocco comunista non venne assunto e valutato nella sua reale portata epocale. La capacità di condizionamento e di egemonia politico-culturale del Partito comunista italiano, per quanto apparentemente respinta da molti raggruppamenti nati in quel torno di tempo (1968-1977), impediva in realtà un ponderato e onesto giudizio circa la vera natura del potere dietro la “cortina di ferro”… Così il dissenso che andava manifestandosi in vari paesi dell’Est, le poche volte che assurgeva agli onori della cronaca nei giornali di “movimento”, veniva essenzialmente inteso come un grimaldello per incalzare “da sinistra” un sistema che, invece, nell’ottica gruppuscolare di quegli anni, lo si vedeva precipitare nelle spire del “capitalismo di stato”… Ecco perché l’insistente richiesta di un “socialismo dal volto umano”, levatasi dagli insorti di Praga, venne sostanzialmente snobbata dalla gran parte di queste formazioni”.(1)
Subordinare la questione dei diritti umani al potere del Partito significa mettere sotto gli occhi di tutti quello che realmente i partiti di regime sono: formazioni autoritarie con una struttura di potere piramidale, che puntano ad imporre il proprio potere utilizzando la fascinazione ideologica, che si vuole mantenere anche quando essa mira a subordinare i diritti umani. Per riuscire a raggiungere tale obiettivo, si utilizzano varie tecniche che offuscano le normali capacità di giudizio: si tira in ballo la dicotomia capitalismo/comunismo, gridando al “controrivoluzionario!”, oppure, più tristemente, si invoca un “male necessario” per evitarne uno peggiore. Chissà perché però il male “minore” deve toccare sempre a chi lotta per una vera democrazia, e mai a chi impone dittature.
Fa parte delle strategie di obnubilamento cerebrale il creare schieramenti inconciliabili, metodo fondamentale durante la Guerra Fredda. In tale periodo i due schieramenti posti attraevano tutta l’attenzione, e si instillava la sindrome del “da che parte stai? Sei amico o nemico?”, e la vera lotta per migliorare la realtà e per far rispettare i diritti umani veniva ad essa subordinata.
In altre parole, elementi fortemente ideologici o ideologizzati impedivano in vari modi una chiara visione di ciò che è meglio per i popoli o di ciò che dovrebbe essere una democrazia. I due blocchi dovevano anche servire a terrorizzare i popoli attraverso il pericolo incombente della guerra nucleare, facendo così in modo che essi rinunciassero alle lotte per la libertà, sopraffatti dalla paura. Tempo dopo sarebbe emerso chiaramente ad alcuni studiosi che le differenze fra i due blocchi erano entrambe funzionali al sistema di oppressione dei popoli. Ad occhi smaliziati la realtà della Guerra Fredda poteva apparire come una sorta di esperimento ambivalente di controllo dei popoli, in cui due diversi gruppi di stegocrati mettevano in atto due sistemi socio-economici. Da un lato c’era (e c’è ancora) un sistema fondato sul controllo mediatico e su un apparente clima di libertà, in cui non vengono garantiti i diritti economici, e dall’altro un sistema spacciato per “socialista”, in cui le direttive dall’alto venivano intese come azioni fatte in “nome del popolo”, restringendo le libertà civili e garantendo i minimi diritti economici. Ma in entrambi i casi c’era un forte controllo stegocratico, e le “Primavere di Praga” venivano duramente represse, seppur in modo diverso, da entrambe le parti. Basti pensare alle repressioni degli slanci del popolo italiano verso l’autodeterminazione, attuati a suon di bombe nel periodo dello stragismo di Stato. Contro chi voleva migliorare il sistema facendo valere i diritti umani non furono utilizzati soltanto i carri armati, ma anche la mafia, le logge, le bombe e i servizi segreti.
Nel periodo della Guerra Fredda fu particolarmente rafforzata la sindrome del “nemico”, inducendo a rimanere all’interno dei contenuti della propaganda anche quando si trattava di valutare crimini gravissimi. Come in guerra, ogni schieramento si curava di additare l’altro come depositario dei più gravi crimini, per poter apparire puro come una colomba. La faccenda della difesa dei diritti umani fu dunque considerata non già alla luce dei diritti stessi, in ordine al loro rispetto o mancato rispetto, ma all’interno delle indicazioni fornite dall’ideologia, e dei termini dicotomici che decretavano ciò che doveva essere considerato “amico” o “nemico”, “favorevole” o “sfavorevole”. Da ciò derivarono molti paradossi, come quello di considerare la dittatura come una fonte di difesa della libertà. Ad esempio, su “Lavoro politico” si leggeva: “In Cina i problemi della libertà e della democrazia socialista hanno trovato una corretta soluzione attraverso il rafforzamento della dittatura del proletariato”.(2)
Ciò suona assai simile alla propaganda statunitense recente, che predica di portare la democrazia per poi istituire dittature.
Dalla dicotomia Urss/Usa derivarono innumerevoli termini contrapposti che decretarono divisioni, contrasti, odi e persecuzioni: Dittatura/democrazia, popoli emancipati/popoli oppressi, borghesia/proletariato, rivoluzionario/controrivoluzionario, ecc. Era proprio all’interno di tali categorie che avveniva il giudizio sugli eventi, spesso tralasciando i massacri, le repressioni e le restrizioni alle libertà civili. Ad esempio, scriveva su “Maquis” il direttore Filippo Gaja: “Condannare l’intervento sovietico in Cecoslovacchia su una base legalitaria, e proclamare che si tratta di una ‘catastrofe’ del movimento operaio mondiale, è un atteggiamento tipicamente controrivoluzionario e reazionario”.(3)

Si induceva una stretta identificazione fra proletariato e sistema sovietico, a tal punto che prendere le parti delle truppe sovietiche equivaleva a mantenere un “sano orgoglio di classe”.
In questo contesto, chiedere maggiori libertà significava “restaurare il capitalismo”, si considerava chi fuggiva dai gulag come uno che cercava popolarità e ricchezza in Occidente, e chi denunciava la dittatura sovietica diventava un “nemico di classe”.
Ovviamente, nell’ampio panorama considerato da Sensini ci sono anche delle eccezioni, ovvero persone che hanno difeso il dissenso, pur sapendo di essere in minoranza nel contesto delle sinistre, e che hanno operato un corretto giudizio sui fatti. Ad esempio, su “Umanità Nova”, Umberto Marzocchi scriveva: “Questa rivoluzione dovrà crescere insieme in Polonia e nei paesi affini, a cominciare dall’Unione Sovietica, per far crollare questo finto socialismo dal volto disumano”.(4)

Oggi quel periodo appare a molti nella sua veridicità, essendo accaduti molti fatti che hanno mostrato il regime sovietico per ciò che era.
La possibilità di modificare nel tempo le proprie convinzioni in ordine al cambiamento ideologico favorito da un “nuovo corso”, comunque indotto dai mass media e da personaggi influenti, dovrebbe essere, per chi vuol diventare consapevole, un campanello d’allarme. Occorre certo poter modificare le proprie idee e giudizi sui fatti, ma è conveniente che ciò avvenga sulla base delle proprie capacità autonome di pensiero, piuttosto che sulle manipolazioni operate da parte del sistema mediatico o del Partito. Altrimenti altre “Primavere di Praga” ci appariranno pericolose, salvo cambiare idea quando ciò non costerà più l’espulsione dal Partito o altre conseguenze negative.

Un altro elemento importante che emerge dal saggio di Sensini è l’idea completamente distorta che molti militanti politici ebbero sulle Rivoluzioni russa e cinese.
Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, periodo in cui non pochi comunisti europei avevano sotto il cuscino il libretto rosso dei pensieri di Mao, dire che in Cina non c'era vero comunismo equivaleva ad un anatema terribile. Oggi, dopo il crollo dell'impero sovietico, e col sopraggiungere della rampante imprenditoria cinese, dirlo è diventato quasi un obbligo. In Occidente proliferano le pubblicazioni che demoliscono il mito di Mao, e lo definiscono senza mezzi termini un dittatore. Questi ribaltamenti ideologici dimostrano quanto sia importante valutare fatti e personaggi, di qualsiasi tempo e luogo, in modo indipendente rispetto alla propaganda del momento, considerando soprattutto il livello di crudeltà del personaggio o il rispetto dei diritti umani.
In Cina il "comunismo", inteso come un sistema di equità economica e di potere del popolo, non c'è mai stato. Mao Tse Tung, al contrario di ciò che la propaganda ha detto per lungo tempo, non è stato il fondatore del Partito comunista cinese, e le sue idee erano tutt'altro che comuniste. Egli era a servizio del gruppo di banchieri che non desideravano affatto porsi sotto il controllo statunitense, come stavano facendo i "nazionalisti" di Chiang Kai Shek. Nemmeno il "nazionalismo" cinese era davvero tale, poiché non si trattava di tutelare gli interessi nazionali, ma di agire a favore della finanza occidentale. Infatti, Chiang Kai Shek e i suoi compari ottennero molto denaro dagli Usa, e fu creato un narco-finanziamento. Si trattava del commercio di eroina cinese all'interno degli Stati Uniti, che veniva fornita dallo "Shangai Cartel" (cartello cinese) alla mafia italo-americana, all'epoca capeggiata da Lucky Luciano.

Le dittature totalitarie, fasciste o “comuniste” sono da ricondurre all'interno del modello economico che le crea e le sostiene, facendo chiarezza sulle ideologie a cui i sistemi totalitari vengono comunemente associati.
Oggi ad alcuni non sfugge come il gruppo stegocratico elabori ideologie di vario genere, fra loro contrapposte, allo scopo di creare dittature mascherate da qualcos’altro, oppure per imporre le idee favorevoli all’attuale sistema, anche attraverso l'interpretazione manipolata della Storia.

A partire dal secolo XIX, nacquero ideologie (socialismo e comunismo) formulate per difendere gli interessi delle classi povere. Il sistema creato da Karl Marx suscitò così tanti consensi da diventare per molti comunisti una vera e propria religione. Dopo secoli di oppressione, i popoli hanno creduto di poter creare un futuro senza discriminazioni e ingiustizie economico-sociali. Per realizzare una società di eguali, in cui ogni persona avesse la possibilità di vivere una vita economicamente dignitosa. Il sistema di Marx sarà elaborato da Lenin e applicato alla società russa, le cui classi povere erano prevalentemente contadine. In Russia, nonostante la lunga e sanguinosa "rivoluzione", non sarà realizzata alcuna società di eguali. Di fatto, una nuova élite soppianterà la vecchia. Anche l'ideologia social-comunista è stata dunque utilizzata dal gruppo dominante per imporre il proprio potere spacciandolo per "proletario".
A differenza del nazifascismo, che con la sconfitta bellica sarà condannato e considerato un sistema iniquo, il "socialismo" sovietico, dopo la guerra, ebbe fama di aver realizzato una società comunista, e di essere frutto delle lotte proletarie della rivoluzione russa. L'Urss permise al mondo intero di credere che i proletari potessero prendere il potere e gestirlo a proprio vantaggio.
L'Europa socialista e comunista, dal dopoguerra, trovò nella Russia sovietica un'enorme forza per combattere contro lo sfruttamento e le ingiustizie, ottenendo risultati importanti in Francia come in Italia, in Gran Bretagna e in tutti i paesi dell'Europa occidentale. Furono anni in cui si ebbero riforme sociali che concedevano diritti lavorativi e di tutela della salute. Dagli anni Cinquanta fino agli anni Settanta, l'Europa trasse grandi benefici dall'immagine positiva del sistema sovietico, e realizzò una società politicamente migliore ed economicamente più equa.

L'errore che ancora alcuni storici europei commettono è di non ammettere che la rivoluzione russa sia stata sin dall'inizio organizzata e propagandata dall'élite economico-finanziaria dominante. Occorreva molto denaro per la propaganda e l'attuazione della guerra rivoluzionaria. I contadini e gli operai russi furono convinti con l'inganno a fare la guerra rivoluzionaria: furono indotti a credere che in caso di vittoria del bolscevismo avrebbero avuto il potere di prendere decisioni politiche ed economiche a loro favorevoli. La propaganda a favore della rivoluzione fece leva sul grave malcontento delle classi povere. Molti russi erano arrabbiati per la condizione semicoloniale assegnata loro dall'Occidente, e volevano cambiare le cose una volta per tutte. Scrive lo storico Zbynek A. Zeman: "La rivoluzione bolscevica fu, in un certo senso, la reazione di una società in via di sviluppo, essenzialmente agricola, contro l'Occidente con il suo egocentrismo politico, l'avarizia economica e gli sprechi militari. L'attuale divario Nord-Sud tra i paesi ricchi e quelli poveri, con tutte le tensioni che ha creato nel Ventesimo secolo, ha avuto i suoi precedenti europei nei rapporti Est-Ovest... (fra '800 e inizio '900) i contrasti tra l'Est e l'Ovest europeo... divennero più stridenti di quanto non lo fossero mai stati"(5)

La rivoluzione, anziché vedere la forza e il trionfo dei proletari, ne vide la sconfitta. I contadini e gli operai erano in preda all'insicurezza e alla disperazione.
Banchieri come gli Harriman, i Rockefeller, gli Schiff e i Rothschild, finanziarono entrambi gli schieramenti della rivoluzione russa, ma volevano far cadere il potere zarista per ottenere più vantaggi: l'oro degli zar, interessi più alti sui prestiti e un maggior controllo dell'economia dopo la fine della guerra.(6)

Paradossalmente, Lenin sosteneva l’idea che la rivoluzione si "imponeva dall'alto", ovvero a farla dovevano essere i proletari ma a dirigerla no. Egli era convinto di possedere la "coscienza politica" dell'intera classe operaia, pur non appartenendo affatto a tale classe (apparteneva alla piccola nobiltà).
La promessa di costruire una società libera e giusta non fu mantenuta dai bolscevichi. Lenin richiamò al potere i vecchi funzionari zaristi e molti esponenti della borghesia e della piccola nobiltà. Medici, ingegneri, professori e funzionari zaristi ottennero ruoli egemoni e di privilegio, mentre i contadini e gli operai rimasero alle prese con i loro vecchi problemi: la miseria e la disoccupazione.
Dopo la rivoluzione, Lenin e Trosky smantellarono le organizzazioni dei lavoratori, mettendole fuori legge. Istituirono la Čeka, che avrebbe sostituito l'Okhrana (i servizi segreti degli Zar), e ridussero il popolo russo in una nuova schiavitù, provocando altre sofferenze e miseria. Scrive lo storico Enrico Melchionda:
“(Per Lenin e Trotsky) non sussisteva alcun dubbio sul carattere operaio del potere post-rivoluzionario, pur sapendo benissimo che tale potere era in realtà esercitato da un'élite politico-intellettuale di origine prevalentemente borghese.(7)

Era assurdo pensare che la "rivoluzione proletaria" avesse avuto successo, in un contesto in cui si stavano affermando principi antidemocratici, che avrebbero soffocato ogni rivendicazione da parte delle classi povere, proprio come accadeva nel regime zarista. Eppure dai documenti analizzati da Sensini, nel periodo preso in oggetto nel suo saggio, emerge che molti intellettuali celebravano la rivoluzione russa come “trionfo del proletariato” e consideravano Mao come un geniale e saggio personaggio, ignorando le sofferenze immani del popolo cinese e russo.
Le vittime delle rivoluzioni russa e cinese furono decine e decine di milioni, uccise durante e dopo. C’era sempre un pretesto per massacrare: chi reagiva perché capiva che non si era realizzato nulla di ciò che era stato promesso veniva accusato di essere un “controrivoluzionario” o “nemico del popolo”, e chi era scomodo alla luce del nuovo assetto economico veniva massacrato senza pietà (ad esempio i kulaki).
Il comunismo dal volto umano, purtroppo non si è attuato né in Cina né in Russia, e le prove a sostegno di ciò sono innumerevoli, ed erano presenti anche negli anni analizzati da Sensini, eppure molti hanno continuato ad inneggiare a queste rivoluzioni, ignorando spudoratamente i massacri di civili e le immani crudeltà praticate dai regimi.

Ognuno di noi crede di essere immune dal condizionamento ideologico del sistema, eppure in ogni contesto ideologico, nel periodo fascista come in quello del Partito Comunista e del potere della Democrazia Cristiana, soltanto pochi si ergevano a difendere i diritti umani contro le ideologie prevalenti.
Le domande da porsi sono: quali sono oggi gli aspetti ideologici che ci rendono sottomessi al potere? E come poter comprendere le mistificazioni indotte dai media senza dover attendere anni per capire come realmente stavano le cose?
C’è da chiedersi se le persone che hanno scritto gli articoli mistificati analizzati da Sensini siano oggi più sagge di allora, considerato che molte di esse ricoprono importanti cariche politiche, economiche e mediatiche, o se, invece, sbagliando, non hanno imparato nulla. E non si intende certo il limitarsi a cambiare idea sui fatti di allora (troppo semplice), ma soprattutto del divenire coscienti del potere manipolatorio delle ideologie dominanti.
Come dice un vecchio adagio: sbagliare è umano ma perseverare è diabolico.



NOTE

1) Sensini Paolo, “I due sessantotto”, “Critica Sociale”, n. 6, 2008, pp. 40-41.
2) “Lavoro politico”, a. II, n. 10, settembre 1968, pp. 47-48. Cit. Sensini Paolo, “I due sessantotto”, in “Critica Sociale”, n. 6, 2008, p. 23.
3) “Maquis”, a. II, n. 3, ottobre 1968, pp. 3. Cit. Sensini Paolo, “I due sessantotto”, “Critica Sociale”, n. 6, 2008, p. 24.
4) “Umanità Nova”, a. XLVIII, 13 aprile 1968, pp. 1-2. Cit. . Sensini Paolo, “I due sessantotto”, “Critica Sociale”, n. 6, 2008, p. 35.
5) Zeman Zbynek A., The Making and Breaking of Communist Europe, Blackwell, 1991, pp. 15-16
6) A questo proposito si veda: Randazzo Antonella, “Dittature. La storia occulta”, Il Nuovo Mondo Edizioni, Padova 2007.
7) Melchionda Enrico, "Sull'Urss e sul socialismo: riapriamo il discorso", Cassandra, settembre 2001.

10 commenti:

Franco ha detto...

Ciao Antonella, grazie per l'articolo. Mi potresti dire chi erano i banchieri che sostenevano Mao in cina contro i banchieri americani?.

Antonella Randazzo ha detto...

Dopo la proclamazione della Repubblica di Cina, nel 1911, il potere era gestito da pochissime famiglie, fra le quali emergevano le quattro più importanti, che gestivano le banche ed esercitavano un potere enorme: Song, Chen, Kong e Jiang.

paolo russo ha detto...

Ciao Antonella,
purtroppo le cose non sono cambiate rispetto al periodo ricordato in quest'ottimo articolo.
Ancora una volta dobbiamo constatare come l'uomo senta la necessità di conformarsi
in modo acritico e automatico a quelli che sono i modelli imposti dalla società.
Ovviamente,in questo momento,i mezzi di dominio più potenti sono i media e il mondo dell'immagine capaci di annientare quasi completamente la personalità.
Per dirla con le parole di Fromm"Il guaio della vita di oggi è che molti
di noi muoiono prima di essere nati pienamente".

Paolo ha detto...

Ciao a tutti!
A proposito delle dittature del novecento, ho sentito in giro che molte di esse avrebbero costituito in realtà un tentativo di instaurazione di regimi a stampo esoterico (ad esempio Mussolini instituì una scuola di "Mistica" ed anche l'insospettabile ed atea URSS faceva uso a volte di falce e martello orientati in senso antiorario..). Qualcuno sa dove posso reperire informazioni sull'argomento? Tu Antonella che ne pensi?
Ciao

SpikeG ha detto...

...per Antonella
Ciao, sono nuovo del blog.
Mi potresti dire per favore i riferimenti bibliografici di dove hai trovato le notizie delle banche in affari con Mao?

Antonella Randazzo ha detto...

Per rispondere alle vostre richieste indico la seguente bibliografia dove potete approfondire l'argomento trattato:

AA.VV., Il libro nero del capitalismo, Marco Tropea Editore, Milano 1999.
AA.VV., Sul libro nero del comunismo. Una discussione nella sinistra, Manifestolibri, Roma 1998.
Aga Rossi Elena (a cura di), Gli Stati Uniti e le origini della Guerra Fredda, Il Mulino, Bologna 1984.
Bordiot Jacques, Le pouvoir occulte fourrier du communisme, Editions de Chiré, Parigi 1976.
Fleming Deanna Frank, Storia della Guerra Fredda, Feltrinelli, Milano 1964.
Galli Giorgio, Hitler e il nazismo magico, Rizzoli 2005.
Maitan Livio, Il dilemma cinese. Analisi critica della Cina post rivoluzionaria 1948-1993, Datanews, Roma 1994.
Spann Othmar, Le mistificazioni del marxismo, Società Editrice Barbarossa, Milano 1995.
Ferrari Aldo et al., Memorie di sangue: genocidi del Novecento, Il Cerchio, Rimini 2003.
Samarani Guido, La Cina del Novecento, Einaudi, Torino 2008.
Yang Tianshi, Chinese Studies in History, Volume 39, Number 3, Spring 2006.
Wei George, Sino-America economic relations, 1944-1949, Greenwood Press, London 1997.

Per approfondire il discorso sulle famiglie di banchieri-stegocrati cinesi, ancora oggi al potere, si veda:
http://www.republicanchina.org/Hun.html

Alberto ha detto...

Veramente bello, limpido, significativo questo scritto di Antonella che riprende il leit-motiv della stegocrazia inquadrata nel contesto della storia contemporanea.
Mi vengono in mente due battute estemporanee. Leggo poco e men che meno Paolo Mieli, ma proprio ieri una mia amica lo citava a proposito dell’analisi del 68, riportando una motivazione di quel movimento nella quale anche lei si riconosceva, ovvero il desiderio represso dei giovani di ritrovarsi, socializzare, fare gruppo. Ecco un esempio banale di come gli abili intellettuali di regime riescono a banalizzare l’esperienza vissuta, così da non far imparare nulla da essa, riducendola al nulla, alla quotidianità dell’esercizio dell’ego in tutte le solite insipide salse, che però riempiono le nostre serate, stupide e vuote, alla Gaber prima maniera.
Il secondo pensierino va ad un’immagine simbolica che sicuramente avrete già letto, dello stegocrate al bar che vede passare un’animata manifestazione di protesta e dice “E’ appena passata la rivoluzione, scusate, devo andare a dirigerla”.
Una sensazione che invece mi è nata mentre leggevo le considerazioni di Antonella, e non solo (vedi byoblu di oggi, di portata storica), è di tenerezza nel guardare indietro, alla storia vissuta in diretta solo qualche decennio fa, quando Marx faceva veramente paura, non ai veri stegocrati dallo stomaco di ferro, ma ai loro ben più numerosi subalterni che ne costituiscono il braccio ramificato nel tessuto sociale. Le cose a quell’epoca erano ben più semplici, pur nelle mistificazioni tutto appariva più chiaro, distinto. Perfino l’ex capo ISTAT (DeRita) l’altranno parlava invece di società indistinta, se n’era già accorto anche lui.
Oggi non serve neanche più una contrapposizione ideologica vera, basta il nulla mediatico per distrarre dalle contraddizioni del sistema, accettate fino a limiti parossistici, digeriti come fossero acqua fresca.
Bipolarismo indistinto, classi sociali molto distinte nel portafoglio quanto indistinte nelle opinioni, cultura, sogni, consuetudini, gusti, futuro, presente, tutto indistinto, frullato. Sembra un capolavoro da grande fratello, ma in realtà non sono pessimista, lo vedo piuttosto come il preludio del cambiamento che non si può rinviare in eterno. Dal punto di vista storico, nonostante tutto, le esperienze sono state vissute. Con ciò non intendo affatto negare l’anomalia stegocratica che interferisce e modifica il corso della storia, e tantomeno sottovalutarne i rischi per il futuro e la sopravvivenza stessa dell’umanità. Il mio cauto ottimismo nasce dalla fiducia nell’animo umano, di cui Antonella ci da splendida testimonianza. La terza via non può essere lontana, la sintesi tra libertà e bene comune è già nell’animo della parte migliore della nostra gioventù, che è disorientata, impaurita, anche instupidita come tutti, ma pronta al cambiamento.
Alberto

Cinzia ha detto...

Ciao Antonella.
Molto interessante l'articolo, non mi stupisce che nella storia uno dei pochi sguardi liberi sia stato quello anarchico. L'unico che per la sua formazione intrinseca non ha mai potuto avere interessi che si frapponessero alla visione della verità.
Grazie, sono davvero pane per la riflessione i tuoi scritti.

Antonella Randazzo ha detto...

Grazie davvero per le belle parole che mi scrivete, come scrivo spesso, sono per me come un carburante che mi spinge a fare di più e meglio.
Come scrive Alberto, non bisogna essere pessimisti. Anche se i miei articoli vi spiattellano la verità nuda e cruda, spesso difficile da "digerire", occorre pensare che la comprensione delle verità più sgradevoli è l'unica strada che porta all'autoconsapevolezza e alla crescita, e la crescita interiore, per sua natura, indebolisce non poco il sistema.
Alcuni autori che si occupano di percorsi di crescita dicono che su questo pianeta una sola persona consapevole vale, come influenza sulla realtà, tanto quanto centinaia di persone che si comportano come pecore. Ossia, chi porta in mano una luce illumina un territorio ben più ampio rispetto a chi non porta nulla. E poi pensiamo che quando si apre una porta chiusa e la luce entra, si nota che è proprio la luce ad entrare nella stanza e ad illuminare, e l'ombra ne è sopraffatta. Potrebbe essere la metafora del potere sull'ignoranza che si acquisisce quando si diventa consapevoli.

rocco ha detto...

La seconda che hai detto, diceva una macchietta di Guzzanti.
Una cosa che mi è rimasta impressa nel praticare lo yoga è la concentrazione costante sull'attimo che si vive. Si ha come l'impressione anzi la certezza di essere in collegamento con tutto. Il collegamento mi serve per spiegare ciò che sono i fatti da ciò che sembrano alla luce del risultato. Spesso noi facciamo grandi cose che si traducono in risultati invisibili esternamente ma importantissimi per noi stessi. Ebbene se questo accade, primo o poi cambia anche il risultato all'esterno. Molti politici di oggi, ieri sessantottini hanno vissuto l'epoca del PCI/PSI/MS/DC per poi passare al centro destra o Forza Italia di Oggi o PD. Questo fa capire come sono vicine le "idee politiche" che tengono divisi gli schieramenti politici di oggi.
Tanto clamore per un posto in Parlamento, per crearsi l'immunità e vivere dei proventi dello Stato.
Qualcuno disse che Berlusconi era un grande imprenditore, bè alla luce dei fatti lo è ma a che prezzo?
Scegliere di avere successo non basta, bisogna accettare i compromessi e poi chi sei? Un 'autorità, uno da prendere ad esempio? Qualcuno altro ha detto che Prodi era una persona seria. Dopo il suo sforzo in politica credo proprio che di serio aveva solo il suo rendiconto. Questi sono i fatti. Veltroni l'uomo del nuovo Partito Democratico, un politico ma anche altro è stato definito. "Altro" appunto racchiude il suo mistero ma poi nei fatti nulla di diverso da chi lo ha preceduto anzi.
Con questi personaggi di punta l'unica cosa sembrerebbe abbandonare, cosa che agli Italiani riesce molto bene infatti abbiamo abbandonato le ns. responsabilità a questi magnati della politica moderna per poi lamentarci su qualche blog.
Noi siamo poveri di iniziativa e questo ci incatena ad una esistenza senza passione, in ozio.
Bè possiamo lamentarci ma le cose non cambieranno, bisogna cogliere l'attimo, dire a se stessi perchè sto facendo questo, a che serve? Sempre il perchè, il gioco che si impara da piccoli funziona anche per i grandi.Non credete di non valere niente perchè proprio su questo valore che si erge il potere degli altri.