giovedì

IL PIANO DEL GOVERNO PER AVVELENARE GLI ITALIANI

I telegiornali hanno mostrato cumuli di spazzatura, parlando di "emergenza rifiuti" in Campania, ma si sono guardati bene dallo spiegare come mai le società preposte alla raccolta dei rifiuti non hanno fatto il loro dovere, e perché le autorità non sono intervenute adeguatamente. Cosa avevano da nascondere? E' ovvio che in questi fatti sconcertanti c'è la responsabilità delle autorità locali e nazionali, dato che non devono essere i cittadini stessi a gestire la spazzatura. Qual'è la verità di tutto questo? Perché i cittadini campani devono pagare bollette più salate pur essendo costretti ad avere sotto casa cumuli di spazzatura fatiscente?
Sarebbero state almeno 700.000 le tonnellate di immondizia gettate sul territorio campano, esposto criminosamente al degrado e a seri pericoli sanitari.
Questa situazione è costata parecchio a tutti noi: 500 milioni di euro soltanto per la gestione commissariale, e 1 miliardo e 300 milioni per la "risoluzione dell’emergenza", che ancora non c'è stata. La situazione è peggiorata dall’estate del 2006, periodo in cui sono iniziate le proteste contro la costruzione di discariche e inceneritori sul territorio campano. I rifiuti non sono più stati ritirati, fino ad arrivare ad accumulare 7000 tonnellate al giorno di immondizia sparsa per la Campania. La situazione d'"emergenza" è servita a "subcommissari" e "consulenti" di vario genere, che hanno incassato 9 milioni di euro, per "Consulenze di esperti", fatte dal 2000 al 2005. Si tratta in realtà di pagamenti clientelari a sostenitori politici di destra e sinistra. Altro caos è stato creato fra gli impiegati pubblici, che sono stati messi in condizioni di non svolgere il loro lavoro, mentre il servizio veniva affidato a società private, che avrebbero dovuto organizzare la raccolta differenziata, ma incassavano denaro senza adempiere alle loro funzioni.
Nell'ottobre del 2006 è stato nominato commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, che ha assunto la funzione di controllo della situazione, al fine di assecondare i piani del governo.
Bertolaso, senza spiegare la gravità della situazione, per rassicurare, in questi giorni ha dichiarato: "Se siamo fortunati, nell’arco di una decina di giorni si risolve la crisi in atto e con l’inizio dell’estate si potrà lavorare tranquillamente... (ci sono) ipotesi allo studio di riapertura di discariche chiuse per quantitativi che non daranno fastidio a nessuno e siti di stoccaggio temporaneo".
La "gestione straordinaria" è stata una macchina mangia soldi pubblici, e un modo per generare altro caos, per far sì che i cittadini si piegassero alle decisioni del governo.
Il 6 ottobre del 2006, era stato approvato dal Consiglio dei ministri un decreto legge che prevede l'uso di inceneritori e misure per la raccolta differenziata. Il decreto fa appello a "misure straordinarie volte al superamento dell’emergenza legata al problema dello smaltimento dei rifiuti in Campania, un problema in crescita a causa dell’oggettiva difficoltà di individuare discariche dove poter conferire rifiuti solidi urbani e della mancanza di valide alternative per lo smaltimento dei rifiuti fuori dalla regione. Al fine di consentire un incisivo coordinamento degli interventi al Capo del Dipartimento della protezione civile della presidenza del Consiglio sono assegnate le funzioni di Commissario delegato per tale emergenza, con facoltà di avvalersi di tre sub-commissari (uno dei quali avrà il compito specifico di individuare soluzioni volte a incrementare la raccolta differenziata). Il provvedimento individua le discariche che potranno essere utilizzate, fino alla cessazione dello stato di emergenza e fatti salvi gli eventuali provvedimenti adottati dall’autorità giudiziaria prima dell’entrata in vigore del decreto, per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani o speciali non pericolosi (che potranno essere destinati in via eccezionale fuori regione), oltre a quelle già autorizzate e realizzate dal Commissario delegato-Prefetto di Napoli e alle ulteriori discariche che il Commissario delegato può individuare per l’attuazione degli obiettivi del decreto-legge. Il provvedimento infine, pone un accento particolare sulle misure volte a informare e coinvolgere la popolazione locale al fine di pervenire a scelte quanto possibile condivise".
(Leggi l'articolo intero su http://www.disinformazione.it/rifiuti_campania.htm)

domenica

IL PRESIDIO NO DAL MOLIN E LE LOTTE PER LA PACE

L'Italia, la Germania, il Giappone, la Repubblica Ceca e i paesi del Sud America sono accomunati dalla forte protesta della popolazione contro la subordinazione al potere degli Stati Uniti, attuata attraverso basi militari, che rappresentano un coacervo di illegalità, distruttività e morte. Già nel febbraio del 2003, i tedeschi avevano protestato per la base di Geilenkirchen, nell'ovest della Germania, dove si stavano svolgendo le operazioni di trasferimento in Turchia di aerei da ricognizione Awacs, per la preparazione dell'aggressione all'Iraq. La protesta fu organizzata dal movimento pacifista cattolico Pax Christi e dall'associazione antimilitarista "Resist the War", che denunciarono l'uso degli Awacs contro l'Iraq. In quell'occasione, il popolo tedesco si mostrò assai più informato di quello italiano, che non si accorse che dalla base di Camp Darby sarebbero partiti missili contro l'Iraq.
Nel 2006, emersero informazioni su un piano statunitense per costruire diverse nuove basi militari in Europa, allo scopo di potenziare gli arsenali utili alle guerre attuali e future. Nella Repubblica Ceca si formò un coordinamento di oltre 40 organizzazioni, che attuarono diverse manifestazioni contro la nuova base militare. Ciò spinse gli americani a preparare una campagna mediatica mistificatoria, per convincere i cechi dei presunti vantaggi di una base militare Usa. Il cavallo di battaglia della propaganda americana fu la paura, si cercò di convincere la popolazione a credere nelle presunte minacce da parte dell'Iran e della Corea del Nord. Ma dopo le numerose guerre americane di aggressione, le popolazioni non sono così sciocche da credere che piccoli paesi possano voler sfidare il gigante americano, e sanno assai bene che le basi servono ad altre guerre di aggressione o a portare avanti le guerre già iniziate dalle autorità americane. Oggi tutte le popolazioni europee si aspettano che le 500 bombe nucleari custodite nelle basi Nato in Europa vengano ritirate e che non vengano costruite altre basi militari Usa.
Secondo Chalmers Johnson, le basi militari americane rappresentano il livello di dominio imperiale che le autorità statunitensi hanno raggiunto:

Una volta si poteva seguire l’espansione dell’imperialismo contando le colonie. La versione statunitense delle vecchie colonie sono le basi militari. Seguendo su scala globale i cambiamenti che riguardano le basi possiamo conoscere molto dell’"impronta" imperiale americana e del militarismo che l’accompagna... Nel 2005 le basi militari americane all’estero erano 737. E a causa della presenza militare in Iraq e della strategia della guerra preventiva del presidente George W. Bush, il numero continua ad aumentare... Nel 2005 gli alti comandi militari hanno destinato alle basi all’estero 196.975 uomini in uniforme, accompagnati da altrettanti familiari e funzionari civili del dipartimento della difesa. Inoltre hanno assunto sul posto 81.425 persone. Nel 2005 il personale militare americano dislocato in tutto il mondo, compreso quello in patria, era di 1.840.062 unità, oltre a 473.306 funzionari del dipartimento della difesa e 203.328 dipendenti stranieri. Nelle basi oltreoceano, secondo il Pentagono, c’erano 32.327 baracche, hangar, ospedali e altri edifici di proprietà, mentre quelli in affitto erano più di 16.527. Le dimensioni di questi impianti sono state registrate nell’inventario: 2.781 chilometri quadrati all’estero e 120.675 chilometri quadrati in tutto. È evidente che il Pentagono può considerarsi uno dei più grandi proprietari terrieri del mondo. Questi numeri, benché impressionanti, non tengono conto di tutte le basi effettivamente occupate dagli Stati Uniti... Il rapporto omette anche le basi in Afghanistan, in Iraq (106 guarnigioni nel maggio del 2005), in Israele, in Kirghizistan, in Qatar e in Uzbekistan, anche se dopo l’11 settembre gli Stati Uniti hanno impiantato basi colossali nel Golfo Persico e nell’Asia centrale.

A Vicenza, all'insaputa della popolazione, è stata presa la decisione di costruire una nuova base militare, per accogliere la 173esima brigata aviotrasportata statunitense, che comprende 1800 soldati americani, attualmente in Germania. E' stato progettato un complesso di 700 mila metri cubi di caserme, impianti militari e logistici; 61 villette a schiera, un albergo, un campo da bowling e un ospedale, che sarà collegato a quello vicentino. La spesa prevista dal Pentagono è di almeno 680 milioni di dollari. Dovrebbe sorgere una vera e propria cittadella autosufficiente, con centri commerciali e palestre, case e una mensa per 1.300 persone. Tutto questo ha lo scopo di agevolare le guerre americane contro i popoli, preparando gli arsenali per nuove guerre di aggressione.
Il presidente del Consiglio Romano Prodi, il 16 gennaio, da Bucarest annunciò che è "doveroso mantenere gli impegni con gli alleati", dimenticando che il primo impegno dovrebbe essere quello preso con i cittadini, che si aspettano che egli governi nell'interesse della popolazione, e non per favorire il bellicismo americano.
(Leggi l'intero articolo su disinformazione.it)

giovedì

LA SCOMPARSA DELLE CLASSI

Di Antonella Randazzo

I mass media si sono dedicati a lungo alle elezioni presidenziali francesi, parlando della "nuova sinistra", rappresentata da Ségolène Royal e della "nuova destra", di Nicolas Sarcozy. Ma cosa si intendesse per "nuova destra" o "nuova sinistra" nessuno lo spiegava, nemmeno alcuni programmi televisivi sull'argomento, che menzionavano questi concetti come fossero assiomi. Non c'era alcun approfondimento su ciò che si diceva, e non si permetteva allo spettatore di capire cosa si stesse effettivamente sostenendo. Evidentemente, questi programmi hanno ospiti ben selezionati, poiché se anche un solo interlocutore avesse chiesto ulteriori approfondimenti, le trasmissioni sarebbero miseramente crollate insieme ai loro assiomi.
Qual'era la differenza fra Royal e Sarcozy? Chi lo ha capito? Entrambi hanno parlato a tutti i francesi, hanno utilizzato la bandiera, la Marsigliese, l'orgoglio patriottico. Hanno esposto programmi simili, attuando una propaganda elettorale incentrata sulle stesse problematiche: sicurezza, tasse, sviluppo economico, immigrazione e lavoro.
Perché accade questo? I valori tradizionali della sinistra erano basati sulla distinzione fra le classi, e su una constatazione oggettiva: ossia l'esistenza di classi non dotate di mezzi finanziari ed economici come altre fasce sociali.
Oggi, in tutti i paesi d'Europa, i politici propagandano di avere a cuore l'interesse di tutti. Sembra che gli interessi di classe non esistano più, anzi, le stesse classi sociali sembrano sparite nel nulla, come se tutti i cittadini avessero improvvisamente acquisito lo stesso status, con le medesime possibilità e gli stessi privilegi.
Con la presunta scomparsa delle classi, anche le formazioni politiche di sinistra, che prima difendevano i lavoratori, hanno assunto prospettive favorevoli al rafforzamento del potere dell'oligarchia dominante, e attuano politiche non dissimili da quelle dei partiti di destra. La campagna elettorale è diventata come uno spettacolo, e gli schieramenti somigliano più alle tifoserie, e non offrono una reale possibilità di scelta responsabile di ciò che è meglio per la collettività. I personaggi politici sono diventati protagonisti per la loro personalità, e non tanto per la capacità di governare, mentre la fiducia verso le istituzioni crolla sempre più, e in alcuni paesi induce molti cittadini a non votare. I pubblicitari e i "consulenti" più esperti, chiamati spin doctors (dottore del raggiro, manipolatore di opinioni) curano le campagne elettorali, utilizzando conoscenze sociologiche e di psicologia sociale, allo scopo di dirottare l'attenzione e evocare emozioni. Come disse il pubblicitario che si occupò della campagna elettorale di François Mitterrand, Jacques Séguéla: "(c'è stato un) passaggio dalla democrazia rappresentativa alla democrazia consumista". Tutti i governi, di qualsiasi colore, manipolano l'opinione pubblica, spacciando qualsiasi politica come dovuta all'interesse generale. Durante le campagne politiche tutti i partiti dicono di voler difendere gli interessi di tutti. Dopo le elezioni, gli schieramenti fanno il gioco delle parti: chi non è al governo accusa l'altro di alzare le tasse, di precarizzare il lavoro, di fare tagli alla sanità o alla scuola ecc. Così gli elettori si convincono a votare l'altro schieramento, che quando sarà al potere riceverà dall'opposizione le stesse accuse. Il teatrino elettorale nasconde così la verità di un sistema in cui è un ristretto gruppo di banchieri-imprenditori a controllare tutti i settori dell'economia, e si vale dei politici per conservare il potere.

Negli ultimi decenni, c'è stata l'eliminazione mediatica degli operai e delle classi sociali che hanno grosse difficoltà a sopravvivere in modo dignitoso. I loro problemi non vengono notificati nei telegiornali, né i politici offrono soluzioni efficaci ed adeguate a risolverli. Eppure proprio negli ultimi anni la povertà è aumentata significativamente in molti paesi del mondo, e continua ad aumentare. In Italia, la quantità di poveri è passata dal 6,5% della popolazione, del periodo 1980/90, al 12% del 2005; in Germania, dal 5,9% del 2001, la povertà è salita all'11,6% nel 2005; e in Gran Bretagna si è passati dal 12,7% del 1980/90 al 19,5% del 2005.[1]

Questo vuol dire che non soltanto esistono ancora le classi deboli, ma che ogni anno migliaia di nuove famiglie entrano a far parte delle fasce più povere della popolazione. La propaganda neoliberista aveva garantito che con la globalizzazione tutti avrebbero avuto vantaggi economici, e invece è accaduto l'opposto. In realtà, l'obiettivo era proprio quello di indebolire le classi popolari, e di privarle del sostegno delle istituzioni, in modo tale da indurle ad accettare passivamente la povertà. Il sistema politico si è trasformato in spettacolo proprio perché ha perduto l'originaria funzione di mediazione fra le classi, diventando un organo di controllo dei cittadini e di tutela degli interessi bancari e delle grandi corporation. In questo contesto non è possibile alcuna democrazia, intesa come un sistema in cui il cittadino ha voce in capitolo e può lottare attivamente per i propri interessi. Alcuni studiosi parlano di sistema postdemocratico, che vede i cittadini subordinati allo strapotere delle élite, che li controlla e li passivizza attraverso il potere mediatico.

Facciamo un po' di chiarezza: per classe si intende un determinato livello economico, lavorativo o di potere e prestigio, e ogni persona appartiene ad un gruppo che esprime un determinato status socio-economico. I soggetti di una classe sociale hanno quindi caratteristiche analoghe di cultura, stile di vita, condizione economica o professionale.
Oggi in Europa è più difficile attuare nette distinzioni tra le classi perché le classi medie si sono estese, e all'interno di esse sono sorte diverse categorie in ordine al lavoro o al titolo di studio. Anche i nuovi criteri lavorativi, dovuti all'automazione dei processi di produzione e alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, creano nuove distinzioni sociali. I processi di globalizzazione hanno imposto il sistema neocapitalistico al mondo intero, provocando l'impoverimento ulteriore dei paesi poveri e la ridefinizione delle classi nei paesi ricchi. Mentre la classe operaia si è trovata disoccupata oppure costretta a salari sempre più bassi, la classe media si è trovata, oltre che con stipendi non sufficienti a mantenere alta la qualità della vita, in molti casi anche in situazioni lavorative incerte e precarie. In altre parole, la globalizzazione, anziché creare maggiore benessere e il miglioramento della qualità della vita per tutti, com'era stato promesso, ha creato destabilizzazione e nuove povertà.

Lo Stato sociale, che prima dava un minimo di garanzie per la sopravvivenza dei più deboli, è stato smantellato per permettere alle corporation di privatizzare beni e servizi in tutti i paesi, rimpinguando ancora di più le loro casse. Oggi con la globalizzazione viene attuato un capitalismo sfrenato e senza regole (se non quelle che convengono al gruppo dominante) e le corporation investono in ogni angolo del mondo, utilizzando guerre e disastri naturali per piegare alla loro volontà. Un mercato senza regole e la privatizzazione ad oltranza hanno trasformato il mondo in un luogo di miseria e di corruzione, in cui i valori sbandierati dalle nazioni ricche sono falsi come i programmi festosi e colorati delle televisioni. Le classi più povere, perdendo potere sulle formazioni politiche che in precedenza si professavano a difesa dei loro diritti, non hanno più la possibilità di migliorare la propria situazione che, quindi, è destinata a peggiorare.
Impoverendo tutti, e creando confusione fra le distinzioni di status, l'élite ha reso fuori moda parlare di classi sociali. La stessa parola "classe" è stata messa al bando, sostenendo che non esistono più classi, così come si propaganda che non esistono più ideologie. La verità è che l'oligarchia dominante ha voluto cancellare le idee e le istanze a favore delle classi svantaggiate, creando confusione nei concetti. Lo scrittore James Petras spiega come è stata creata la confusione:

"Durante gli anni Ottanta i mass-media occidentali si appropriarono sistematicamente delle idee fondamentali della sinistra, svuotandole dei loro contenuti originali e riempendole con altri. Le manovre dei politici per rafforzare il capitalismo e accrescere le ineguaglianze venivano descritte come "rivoluzionarie" e "riformatrici", mentre coloro che si opponevano a questa visione erano etichettati come "conservatori".
Questo rovesciamento del senso del linguaggio politico disorientò molte persone, rendendole vulnerabili ai proclami secondo cui i termini "destra" e "sinistra" avevano perso di significato e le ideologie non contavano più nulla. La manipolazione culturale globale va avanti grazie a questa corruzione del senso. Nel Terzo Mondo, la privatizzazione delle aziende pubbliche starebbe "dissolvendo i monopoli". "Riconversione" è l'eufemismo usato per tornare indietro a condizioni lavorative da diciannovesimo secolo, defraudate di ogni conquista sociale. 'Deregulation" indica invece il passaggio del potere dalle mani dello stato sociale nazionale a quelle del sistema bancario internazionale (e) di un'élite di corporation".[2]
Sostenendo l'assenza di ideologie, si ritiene che anche il discorso sulla lotta di classe debba essere archiviato e bandito dalla storia. La realtà è che il divario fra le classi sta crescendo a dismisura ovunque. Nei paesi poveri la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno imposto "ristrutturazioni" e, concedendo prestiti, hanno reso i paesi dipendenti e obbligati a seguire le loro linee anche se non convenienti ai loro interessi. Questo è accaduto in molti paesi, ad esempio, nel Sudafrica, dopo il 1995, sono iniziati gli investimenti americani che hanno realizzato un vero e proprio saccheggio delle risorse del paese, aumentando ancora di più il già drammatico divario fra ricchi e poveri. La General Electric , in Sudafrica, ha fatto chiudere decine di fabbriche lasciando nella disoccupazione migliaia di persone. Il progresso economico, promesso a Mandela, non era per tutti ma per coloro che già avevano una posizione economica privilegiata. Il cosiddetto "libero scambio" costringe tutta la popolazione a pagare anche i beni di fondamentale necessità, come l'acqua, e le classi povere sprofondano nella miseria fino a morirne. A Dimbaza (Sudafrica) i bambini muoiono per denutrizione mentre a Johannesburg c'è Upper Houghton, uno dei quartieri più ricchi del mondo, in cui le case lussuosissime sono delle fortezze, e nelle scuole, fra le migliori del mondo, i ragazzi giocano a rugby, mentre i loro coetanei in un'altra parte del paese lavorano molte ore per guadagnare meno di una sterlina al giorno.

Oggi cinque compagnie della Anglo-American Corporation controllano tre quarti di tutti i capitali della borsa di Johannesburg, un miracolo economico, ma soltanto per chi già era ricco. Per le classi povere il "miracolo" corrisponde a maggiore miseria. Oggi, in Sudafrica, si pone anche il problema dell'assistenza medica e dell'istruzione perché il paese non può più garantire neanche i minimi servizi e il denaro che spendeva in precedenza adesso serve a ripagare gli interessi del debito contratto con le istituzioni finanziarie occidentali.
Negli ultimi dieci anni, i ricchi statunitensi sono diventati ancora più ricchi e si isolano sempre di più vivendo lontani dalla gente comune, che diventa sempre più povera, e deve affrontare molti impedimenti nel migliorare la propria situazione. Talvolta c'è persino il riconoscimento percettivo delle classi, come racconta un turista europeo negli Usa: "Sono rimasto sconvolto dal constatare come sembri di avere a che fare con due "razze" diverse. L'élite è alta, bella e magra, veste con gusto e cura il proprio aspetto. Tale elite frequenta solo i quartieri migliori delle città importanti e non si trova nel resto del paese. Quanto al resto del paese... il popolo è sciatto, trascurato, e molte persone, anche se ancora giovani, sembrano malate o sono obese".

Negli Stati Uniti, dalle differenze di classe origina non soltanto una diversa condizione lavorativa e una diversa qualità della vita ma, anche, diverse condizioni di salute e diversi livelli d'istruzione.
Molti americani credono ancora al "sogno americano", cioè di potersi arricchire dall'oggi al domani come fosse facile per chiunque l'accesso alla ricchezza. Ma nuovi studi sulla mobilità sostengono che è sempre più difficile passare ad una classe più elevata, mentre diventa più facile accedere a cariche elevate, come diventare giudice della Corte Suprema, se si appartiene all'élite ricca. Di fatto, fa strada quasi esclusivamente chi appartiene a famiglie con redditi alti, molto istruite e con buone conoscenze nel mondo che conta. Anche i candidati presidenti provengono tutti dalle élite ricche, e ricevono per le loro campagne elettorali somme elevatissime dalle banche e dalle grandi corporation.

Da un sondaggio del New York Times[3] emerge che secondo l'opinione del 40% degli americani esistono oggi più di prima le possibilità di accedere ad una classe più elevata, mentre in realtà è avvenuto il contrario. E' probabile che la percezione errata degli americani dipenda dal voler mantenere vecchie convinzioni nonostante esse non siano più suffragate dai fatti, oppure semplicemente dal credere ai mass media, che non danno l'impressione che qualcosa sia peggiorato, anzi, parlano di progressi economici, che avvengono però, di fatto, soltanto per i più ricchi.

La fortissima disparità nei redditi fra ricchi e poveri presente negli Usa, pregiudica anche le possibilità di rendimento scolastico dei figli che non possono accedere per gli alti costi alle migliori scuole, che si trovano tutte nei quartieri alti.
I sociologi americani, fino a poco tempo fa, distinguevano soprattutto tre classi sociali: la classe alta, la media e la classe bassa o lavoratrice. Oggi ne distinguono decine, caratterizzate dal tipo di lavoro e dallo stile di vita. Alcuni sociologi, in linea con le tendenze del momento, hanno cercato di spazzar via lo stesso concetto di classe mentre altri sociologi, come Michael Hout, si sono opposti all'inganno. Hout ha dichiarato:

"Trovo questo dibattito sulla 'fine della classe' ingenuo e ironico, perché siamo in un periodo di espansione delle disuguaglianze".[4]

Il nuovo corso dell'economia, con i cambiamenti tecnologici e i processi di globalizzazione (cioè delocalizzazione delle industrie in posti dove si sfrutta la manodopera a costi e a condizioni semischiavistiche), ha provocato la chiusura di fabbriche e aumentato il reddito dell'1% delle famiglie (quelle già ricche) del 139% nel periodo fra il 1979 e il 2001, mentre quello delle classi povere è salito meno rispetto al livello dell'inflazione, provocando così un peggioramento delle condizioni economiche di milioni di persone. Di fatto gli americani percepiscono che la loro condizione è peggiorata soprattutto a causa del costosissimo sistema sanitario, che lascia senza sicurezza sanitaria ben 50 milioni di cittadini americani. Ma gli americani sembra non vogliano rinunciare al "sogno americano" anche se esso rimarrà soltanto un sogno. Nella realtà di tutti i giorni, la classe sociale rimane un fattore importantissimo per l'intera vita del soggetto e anche per la sua morte. Come dice Ichico Kawachi, docente di epidemiologia sociale all'Harvard School of Public Health:

"Negli ultimi 20 anni ci sono stati progressi enormi nel soccorso prestato ai pazienti colpiti da attacco cardiaco e nella conoscenza di come si previene un attacco. Ogni volta che si fa strada un'innovazione, le persone agiate sono le più veloci ad adottarla. All'altra estremità della scala sociale, invece, per i poveri si sono accumulati vari svantaggi: la dieta è peggiorata, c'è più stress dovuto al lavoro. La gente, se è povera, ha meno tempo per dedicarsi ad attività che consentono di restare in buona salute".[5]
Nel 1974, l 'economista Paolo Sylos Labini scrisse un libro dal titolo Saggio sulle classi sociali, in cui propose la seguente distinzione fra le classi:

"I) Borghesia vera e propria: grandi proprietari di fondi rustici e urbani (rendite); imprenditori e alti dirigenti di società per azioni (profitti e rendite misti che contengono elevate quote di profitto); professionisti autonomi (redditi misti, con caratteri di redditi di monopolio).
IIa) Piccola borghesia impiegatizia (stipendi).
IIb) Piccola borghesia relativamente autonoma (redditi misti: coltivatori diretti, artigiani (inclusi i piccoli professionisti), commercianti.
IIc) Piccola borghesia: categorie particolari (militari religiosi ed altri) (stipendi).
IIIa) Classe operaia
IIIb) Sottoproletariato".[6]

Il libro di Sylos Labini, che offre uno spaccato della società italiana del secolo scorso, venne pubblicato proprio quando in Italia si verificavano scontri e lotte per migliorare la situazione dei lavoratori. Le lotte e le contestazioni degli anni Sessanta e Settanta permisero all'Italia di fare passi avanti nei diritti dei lavoratori, delle donne, e nel diritto allo studio, ma negli ultimi anni, a causa della precarizzazione del lavoro, della svendita dei beni pubblici e della corruzione politica, tutto questo è stato demolito.

I processi di globalizzazione hanno fatto aumentare il divario fra ricchi e poveri anche nei paesi ricchi, e molte persone appartenenti alle classi medie si sono trovate a non avere più i vantaggi economici di prima. La competizione lavorativa è diventata mondiale, e viene diretta e controllata da chi già detiene una fetta enorme di potere economico. I paesi poveri vengono costretti a produrre di più mentre il prezzo delle loro materie prime viene abbassato, e nei paesi ricchi aumentano la disoccupazione e il lavoro precario. I meccanismi di tassazione, che prima permettevano di aiutare le classi povere garantendo loro istruzione e assistenza sanitaria, oggi vengono smantellati per favorire un maggiore accumulo di capitale alla classe ricca. In Europa, negli ultimi venti anni, sono diminuite le tasse sul capitale e sono aumentate quelle sul lavoro, mentre negli Usa le tasse delle società per azioni sono scese dal 27% al 17% del totale. In molti paesi asiatici e africani le corporation transnazionali trovano concessioni fiscali straordinarie che danneggiano le classi povere. L'idea che le imprese private debbano essere più importanti dell'interesse nazionale ha reso gli Stati più deboli e la difesa delle classi povere sempre meno presente all'interno di essi. La tutela delle classi povere e dei lavoratori è ormai un argomento non più dibattuto, esso ha lasciato il posto ai concetti di "competizione globale" e di neoliberismo mondiale, argomenti spesso falsati per indurre a credere che la globalizzazione sia favorevole anche alle classi povere. Ma ciò non corrisponde a realtà poiché il liberismo mondiale coincide con un potere esercitato da chi è più ricco, contro chi è povero. La realtà futura, se non si riesce a contrastare la tendenza attuale, vede un ulteriore impoverimento delle classi povere a favore dei ricchi, che concentreranno ancora di più le ricchezze nelle loro mani contro i diritti sanciti nell'articolo 25 1° comma dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani:

"Ognuno ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ognuno ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà".
La smania dei politici di dimostrare di poter rappresentare tutte le classi e difendere i diritti di tutti, manifesta un comportamento di copertura, ossia che è vero l'opposto: il politico oggi non è a servizio dei cittadini, e la politica è soltanto un canale che serve al gruppo egemone per mantenere il controllo politico sulla popolazione. Per capirlo basta osservare come nelle campagne elettorali il cittadino non è affatto il protagonista ma è bersaglio della propaganda. Le classi popolari sono diventate ormai preda di inganni, talvolta grossolani, e di illusioni. I popoli sono indotti alla passivizzazione e coinvolti emotivamente nello spettacolo politico. Uno spettacolo sempre più squallido, che nel mettere in scena personaggi benevoli, paternalistici o che cantano allegri l'inno nazionale, ignora la vera funzione della politica. Nel valorizzare ciò che appare e che suscita emozioni momentanee, si nasconde quello che sarebbe meglio per la società, e ci si guarda bene dal chiedersi se i valori come la solidarietà e il principio di redistribuzione della ricchezza debbano essere, oggi più che mai, alla base di ogni scelta politica che sia degna di essere rispettata.



Note:

[1] Fonti: World Economy 2001, Banca Mondiale, dati ISTAT, The World Factbook CIA.
[2] Cit. in Pilger John, "Agende nascoste", Fandango, Roma 2003, p. 540.
[3] "The New York Times", 25 maggio 2005.
[4] Scott Janny e David Leonhardt, "Classi in America", The New York Times, 25 maggio 2005.
[5] Scott Janny, "Più salute e vita migliore per chi ha più mezzi", in The New York Times, 25 maggio 2005.
[6] Labini Sylos Paolo, "Saggio sulle classi sociali", Laterza, Roma-Bari 1975.

domenica

LIBRO "DITTATURE. LA STORIA OCCULTA"

«DITTATURE: la storia occulta» Antonella Randazzo, pagine 368, febbraio 2007
Pochi di noi si sorprenderebbero nell'apprendere che alcuni esseri umani sono capaci di commettere crimini. Dalle cronache, conosciamo l'esistenza di persone che commettono crimini terribili come l'omicidio, e ci aspettiamo che queste persone vengano smascherate e paghino per i loro crimini. Tuttavia, forse stentiamo a credere che possano esistere persone che uccidono a sangue freddo, che distruggono intere città e che costringono milioni di persone a soffrire la fame e a morire di stenti. Esseri che sparano sulla folla, uccidono bambini, donne e vecchi. Ingannano, manipolano le informazioni, affinché non si sappia la verità su di loro. Esseri che sperimentano armi capaci di provocare dolori atroci e di uccidere disintegrando i corpi. Esseri che commettono crimini con cinismo e pianificazione. Esseri che si ergono al di sopra delle leggi, come mostri onnipotenti.
Eppure sappiamo che esistono guerre, miseria, fame, violenze contro donne e bambini e altri crimini, ma siamo indotti a credere che tali crimini possano dipendere da eventi non controllabili, oppure da disgrazie senza responsabili. In realtà questi eventi hanno precisi responsabili.
La convinzione che i fatti storici siano quasi sempre imprevedibili perché soggetti ai capricci della natura umana, appare oggi eccessivamente ingenua e semplicistica. Ritenere che la Storia sia frutto di eventi in gran parte immodificabili o giustificabili ci induce a credere che i crimini che in essa avvengono siano inevitabili. Questo libro prova che non è così.
Esso fa luce su insospettabili responsabili, che hanno potere di vita o di morte. Si tratta di un gruppo di persone, capaci di nascondersi dietro a dei Mostri da loro stessi creati, che agiscono in maniera disumana, provocando sofferenza e morte a milioni di persone.
Nonostante questo, non pagano per i loro crimini, e non appaiono nemmeno come criminali, perché si nascondono dietro un potere mediatico, che permette loro di propagandare un'immagine positiva o sdrammatizzare i loro crimini.
La Storia deve far luce sui fatti, sfidando paure e illusioni. Le nostre conoscenze sugli eventi storici aumentano col passare del tempo, e oggi sono emerse così tante contraddizioni con le vecchie interpretazioni della realtà storica che abbiamo soltanto due possibilità di scelta: o far finta di niente e cercare di non capire né pensare ai crimini che avvengono in molte parti del mondo, oppure chiederci il perché ci troviamo in un mondo in cui vengono commessi così tanti crimini.  

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venerdì

CEFALONIA E LA RESISTENZA GRECA

Di Antonella Randazzo

Di tanto in tanto, le nostre autorità utilizzano diverse mistificazioni storiche, al fine di far risultare l'attuale assetto come nato da fatti eroici, che lo renderebbero imperituramente improntato ad alti valori. Il filone più gettonato è quello che riguarda la Resistenza all'invasore tedesco, evento da cui si fa derivare la Repubblica. Sia l'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che l'attuale presidente Giorgio Napolitano, hanno utilizzato i fatti accaduti a Cefalonia, come esempio di eroicità e di "Resistenza".
Napolitano, il 25 aprile scorso, ha celebrato la ricorrenza storica proprio a Cefalonia, e in quell'occasione ha ribadito la versione dei fatti già suffragata da Ciampi: "A Cefalonia si manifestò un impulso... nobilissimo e destinato a dare i suoi frutti... si può ben cogliere... un ponte ideale tra quest'impulso e la successiva maturazione dello spirito della Resistenza... eroismo e martirio delle migliaia di militari italiani che scelsero di battersi... caddero difendendo la dignità della nazione italiana".[1]

Come il suo predecessore, l'attuale presidente della Repubblica ha parlato di "migliaia" di morti, "caduti eroicamente in un primo atto di resistenza". In realtà i morti non furono migliaia, e i fatti di Cefalonia hanno poco a che vedere con la Resistenza partigiana.
Napolitano sa che la versione dei fatti da lui sostenuta è stata confutata, ma liquida anni di ricerche da parte di studiosi seri, come "polemiche", mostrando poco rispetto e poca attenzione ai documenti, preferendo la versione mistificata dal potere dominante.
Non si può dire che " la Divisione Acqui decise di resistere", perché non si trattava di una banda irregolare che decideva liberamente come agire, ma era un esercito obbligato ad obbedire ai superiori, come avviene in tutti gli eserciti regolari. Non c'è mai stata alcuna decisione dal basso o "referendaria", come venne propagandato in seguito, per far passare la versione che vede quei fatti come "Resistenza".

Le nostre autorità mirano a commuovere, utilizzando parole retoriche per raccontare fatti in modo del tutto falsato e romanzato. Raccontano quello che più conviene e come conviene, in spregio alla verità storica. Addirittura, i reduci di Cefalonia, che raccontano una versione diversa dalla loro, vengono tenuti lontani dai mass media, preferendo mettere in evidenza alcuni reduci considerati corresponsabili della strage, e che dunque hanno convenienza a sostenere la versione mistificata.
Ai nostri politici non difetta la furbizia, dato che si prodigano a suffragare la loro versione della Storia attraverso programmi televisivi e articoli giornalistici, convincendo persino le associazioni come l'Anpi (Associazione Nazionale Partigiani Italiani), a cui non tutti i reduci danno credibilità. Attorno agli argomenti più utilizzati dalla propaganda viene creato un clima di intimidazione e di "tabù", come se non dovessero esistere la ricerca storica e il libero pensiero.

A Cefalonia oltre 1700 militari italiani dell'Acqui furono uccisi dai tedeschi, ma non si ebbe alcuna Resistenza partigiana. Cerchiamo di capire i fatti sulla base dei documenti trovati negli Archivi Militari. Mentre altre divisioni stanziate in Grecia si arresero, l'Acqui fu costretta a combattere, contro la volontà dello stesso generale, che stava trattando la resa. L’8 settembre 1943, nelle isole greche di Cefalonia e Corfù c'erano le truppe occupanti italiane della Divisione Acqui che comprendevano 525 ufficiali e 11.500 soldati, capeggiate dal generale Antonio Gandin. Fra il 9 e l’11 settembre si ebbero trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Hans Barge. Gli accordi furono compromessi dal cannoneggiamento di due motozattere tedesche, che ebbe lo scopo di bloccare ogni possibile resa. Fu proprio l'attacco alle imbarcazioni tedesche a scatenare la rappresaglia. Ci fu, dunque, la volontà di mandare a morire i soldati della divisione “Acqui”, come una sorta di "carne da macello". L'ordine a combattere venne inoltrato a Cefalonia la notte del 13 settembre, dalla stazione radio di Brindisi: "N.1029 CS (Comando Supremo) alt Comunicate at generale Gandin che deve resistere con le armi at intimazione tedesca di disarmo at Cefalonia, Corfù et altre isole. F.to Generale Francesco Rossi Sottocapo di Stato Maggiore". Si trattò di una delle tante direttive a cui i soldati dovevano obbedire, con la sola differenza che gli italiani si trovavano contro i loro vecchi alleati, che erano più forti, e senza alcun aiuto che provenisse dai nuovi alleati.

In quei giorni, gli ufficiali più saggi e sensati rischiavano la vita, come accadde al capitano Piero Gazzetti, ucciso dal Maresciallo Felice Branca, che gli sparò urlandogli: "Anche voi appartenete alla schiera vigliacca dei traditori!", quando seppe che l'ufficiale stava andando dal Console fascista Vittorio Seganti, con l'intento di raggiungere trattative con i tedeschi e salvare la vita ai suoi soldati.[2] Il maresciallo Branca non fu punito in alcun modo, e in seguito fu dato per disperso in combattimento, consentendo in tal modo l'insabbiamento del fatto.
Nel libro L’Eccidio di Cefalonia, Romualdo Formato racconta: "Ovunque si sentivano spari, detonazioni di bombe a mano, frasi provocanti e minacciose. Nessun ufficiale poteva più permettersi di pronunziare parole esortanti alla serenità e alla disciplina, senza essere, sull’istante, tacciato di “traditore” o di “vigliacco”".[3]
Prevaleva un clima intimidatorio verso coloro che cercavano di rimanere ancorati alla realtà, ma allo stesso tempo c'era confusione e incertezza. Racconta il reduce Olinto Perosa: "Non sapevamo nulla, eravamo stati abbandonati alla nostra sorte, e non c'erano ordini su come comportarci. Sulle prime, i rapporti con i tedeschi erano cordiali, ma quando ci chiesero di consegnare le armi sulla pubblica piazza, come umiliazione, nessuno volle cedere. La tragedia scoppiò il 13 settembre, dopo l'affondamento di due zatteroni tedeschi, senza che fosse stato dato l'ordine: i tedeschi giurarono vendetta".[4] Nell'attacco italiano morirono almeno sei soldati tedeschi.

Nel dopoguerra molti fatti furono mistificati o insabbiati, perché nessuno voleva prendersi la responsabilità di aver creato una situazione militare a dir poco paradossale, che esponeva molti soldati italiani alla morte per vendetta. Il re e Badoglio si erano rifugiati a Brindisi, e non si occuparono delle decine di migliaia di soldati esposti alla furia tedesca, quello che interessava era cambiare schieramento, come gli anglo-americani avevano chiesto, e l'ordine fu dunque di attaccare i tedeschi.
I familiari delle vittime di Cefalonia capirono dopo pochi anni che c'erano delle responsabilità per la morte dei loro cari, e negli anni Cinquanta si rivolsero al Tribunale Militare per avere giustizia, ma i principali responsabili, nonostante fossero state trovate numerose prove di colpevolezza, non furono mai condannati. Le autorità militari cercarono di insabbiare la verità su Cefalonia, mentre le autorità politiche mistificarono i fatti e ne ricavarono un bel racconto di "Resistenza eroica", prendendo due piccioni con una fava: occultando le responsabilità e facendo figurare un'improbabile lotta plebiscitaria antitedesca. Per rendere il fatto più avvincente, venne gonfiata la cifra dei morti, e si descrisse una sorta di rappresaglia simile a quelle avvenute in Italia.

Il 1° marzo del 2001, l 'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, a Cefalonia, parlò di "resistenza plebiscitaria" dei soldati italiani e di un massacro:

"Decisero di non cedere le armi. Preferirono combattere e morire per la patria... Molti sentimenti si affiancano, nel nostro animo, al dolore per i tanti morti di Cefalonia: morti in combattimento, o trucidati, in violazione di tutte le leggi della guerra e dell'umanità. L'inaudito eccidio di massa, di cui furono vittime migliaia di soldati italiani, denota quanto profonda fosse la corruzione degli animi prodotta dall'ideologia nazista... Con un orgoglioso passo avanti faceste la vostra scelta, "unanime, concorde, plebiscitaria": "combattere, piuttosto di subire l'onta della cessione delle armi". Decideste così, consapevolmente, il vostro destino. Dimostraste che la Patria non era morta. Anzi, con la vostra decisione, ne riaffermaste l'esistenza. Su queste fondamenta risorse l'Italia.
Combatteste con coraggio, senza ricevere alcun aiuto, al di fuori di quello offerto dalla Resistenza greca. Poi andaste incontro a una sorte tragica, senza precedenti nella pur sanguinosa storia delle guerre europee.
Si leggono, con orrore, i resoconti degli eccidi; con commozione, le testimonianze univoche sulla dignità, sulla compostezza, sulla fierezza di coloro che erano in procinto di essere giustiziati.
Dove trovarono tanto coraggio ragazzi ventenni, soldati sottufficiali, ufficiali di complemento e di carriera? La fedeltà ai valori nazionali e risorgimentali diede compattezza alla scelta di combattere.
L'onore, i valori di una grande tradizione di civiltà, la forza di una Fede antica e viva, generarono l'eroismo di fronte al plotone d'esecuzione. Coloro che si salvarono, coloro che dovettero la vita ai coraggiosi aiuti degli abitanti dell'isola di Cefalonia, coloro che poi combatterono al fianco della Resistenza greca, non hanno dimenticato, non dimenticheranno. Questa terra, bagnata dal sangue di tanti loro compagni, è anche la loro terra. Divenne chiaro in noi, in quell'estate del 1943, che il conflitto non era più fra Stati, ma fra princìpi, fra valori... Soldati, Sottufficiali e Ufficiali delle Forze Armate Italiane: onore ai Caduti di Cefalonia; onore a tutti coloro che tennero alta la dignità della Patria.
Il loro ricordo vi ispiri coraggio e fermezza, nell'affrontare i compiti che la Patria oggi vi affida, per missioni non più di guerra, ma di pace.[5]
Ciampi era un sottotenente che combatteva a fianco dei tedeschi, e passò allo schieramento opposto soltanto quando il re decise di firmare l'armistizio. Dunque, se Hitler fosse stato più forte, cosa ci avrebbe detto oggi? Ci avrebbe commosso raccontandoci i crimini degli anglo-americani?
Le parole di Ciampi “Decisero di non cedere le armi. Preferirono combattere e morire per la Patria ”, sono del tutto insensate, perché il generale Gandin aveva preso la libera iniziativa a trattare con i tedeschi, ma fu osteggiato e costretto a mandare a morire parte dei suoi soldati. Secondo la versione mistificata dei fatti, 446 ufficiali furono fucilati dopo la resa, e 9000/10.000 soldati furono uccisi, per aver "resistito" ai tedeschi. Per rendere credibile il racconto della "Resistenza" si raccontò del gruppo italiano detto Banditi della Acqui, che collaborò con i partigiani greci in funzione antitedesca, ma diversi studiosi, come Massimo Filippini, hanno dimostrato non essere mai esistito. Negli Archivi Militari furono trovati molti documenti che indicavano almeno 1.700 morti in battaglia o fucilati dopo la resa (circa 400 ufficiali). Lo storico Giorgio Rochat[6] fa una stima di 3.800/4.000 morti, che risulta comunque assai inferiore rispetto a quella propagandata.

Dopo la pubblicazione di alcuni testi, come I Caduti di Cefalonia: fine di un mito,[7] di Massimo Filippini, è emerso che i morti italiani furono 1743, mentre quelli tedeschi furono circa 80.

Dunque non si ebbe né una grande battaglia, né un enorme massacro, e i dati furono gonfiati fino ad arrivare a 9/10.000 morti per far risultare più avvincente il sacrificio della presunta "Resistenza".
Perché le nostre autorità, anziché alterare i fatti storici accertati, non ci spiegano come mai Badoglio , assunta la carica di governo, inviò un telegramma a Hitler, per dargli ad intendere che nulla era cambiato, mentre in realtà il voltafaccia delle autorità italiane stava avvenendo? Il telegramma, fra le altre cose, diceva: "Come già dichiarato nel mio proclama rivolto agli italiani (...) la guerra per noi continua nello spirito dell'alleanza (...) mi è grata l'occasione, Führer, per porgerVi l'espressione dei miei cordiali saluti". Le autorità tedesche non furono certo così ingenue da credere che fatto fuori Mussolini il nuovo governo filoamericano fosse anche amico loro, e progettarono l'occupazione dell'Italia e l'arresto del re (che fuggirà a Brindisi).

Perché il governo Badoglio, cambiato schieramento, non si curò dei soldati al fronte? Valeva così poco la vita di migliaia di giovani, che di certo non avrebbero voluto trovarsi lì? Per quale motivo oggi queste vittime sacrificali vengono esaltate dalla propaganda del nostro regime? E' certamente immorale non dire la verità sui fatti storici, ma è ancora più immorale romanzare e costruire una demagogia su vite umane distrutte, che forse si sarebbero potute salvare, e sul crimine inaccettabile che è la guerra.
L'idea che resistenza fosse soltanto lottare contro i nazisti, perché gli anglo-americani erano preoccupati esclusivamente di portare la democrazia è accattivante ma storicamente del tutto menzognera. Gli Alleati non erano intenti a "portare democrazia", ma a tutelare il proprio dominio, e massacrarono milioni di persone anche negli anni successivi alla guerra, non solo in Grecia, ma in moltissimi paesi, come in Iran, in Iraq, nelle Filippine, in Giappone e in Thailandia.

Dopo l'armistizio, gli anglo-americani continuarono ad uccidere italiani, e portarono in Italia un arsenale composto anche di armi chimiche, come l'Iprite, che erano dirette allo sterminio dei civili. Ciò emerse a Bari, il 2 dicembre del 1943, in seguito al bombardamento tedesco della nave americana John Harvey, che si scoprì carica di Iprite. Il gas si diffuse nell’aria e nell'acqua, provocando dolori atroci a centinaia di persone, che morirono nei giorni successivi. Il fatto fu occultato dagli Alleati, che volevano continuare a propagandare l'immagine di "liberatori", anziché mostrare il loro vero volto.
Resistenza è difendere liberamente il proprio paese dall'invasione straniera, e a Cefalonia i nostri soldati erano occupanti e obbedivano ai superiori, dunque occorre parlare di Resistenza partigiana soltanto al riguardo della Resistenza greca, che combatté prima contro le truppe italo-tedesche, e poi contro gli anglo-americani. Questi ultimi, per impedire che la Grecia raggiungesse una vera autodeterminazione, attuarono un vero e proprio sterminio dei patrioti greci.

La cosa più straordinaria avvenuta a Cefalonia è stata la generosità e l'umanità del popolo greco, che pur essendo stato aggredito brutalmente dagli italiani, quando essi si trovarono in difficoltà li aiutò a salvarsi.
In Grecia si ebbe il caso unico della resistenza comunista che non intendeva sottomettersi né all’Urss né agli anglo-americani, volendo realizzare un assetto autenticamente democratico. La Grecia venne invasa dalle truppe italiane il 28 ottobre 1940, e nonostante l'inferiorità numerica, le truppe greche riuscirono a mettere in difficoltà gli aggressori, che dovettero chiedere l'aiuto tedesco.

Per aggredire la Grecia furono utilizzati ben 500.000 soldati italiani, di cui 13.755 moriranno, almeno 50.000 saranno feriti e oltre 25.000 dispersi. Non si può dare colpa a Hitler, perché l'aggressione fu un'iniziativa del nostro regime, che irritò la Germania , informata del progetto soltanto il giorno prima. In Grecia c'era il regime filonazista del generale Ioannis Metaxas, che dopo l'aggressione sarà soccorso dagli inglesi. Questo, come molti altri episodi della Seconda guerra mondiale, confuta l'idea che ci fossero due schieramenti con valori diversi, piuttosto che due formazioni antagoniste con obiettivi analoghi.
Di fronte all'aggressione i greci formarono un fronte compatto e forte, riuscendo a contrattaccare e a respingere l'offensiva. Dopo soltanto quattro giorni le truppe italiane si trovarono in difficoltà, e Mussolini fu costretto a rivolgersi ad Hitler, dando modo a quest'ultimo di esprimere la sua riprovazione per l'apertura del fronte greco. Il 20 Novembre 1940 Hitler inviò una lettera a Mussolini, in cui aveva scritto:

Lo stato delle cose così creatosi ha conseguenze psicologiche e militari gravissime a proposito delle quali è importante far luce completa... Le conseguenze psicologiche della situazione sono spiacevoli.... le conseguenze militari di questa situazione sono, Duce, molto gravi....Gli inglesi intensificheranno le loro basi aeree sul Mediterraneo... Non oso pensare nemmeno alle conseguenze che ne deriverebbero... Gli inglesi saranno del tutto indifferenti se gli italiani distruggono le città greche per rappresaglia; ma è l'attacco contro città italiane che sarà decisivo... tutte le località costiere italiane saranno minacciate.[8]
Hitler decise di mandare truppe in Grecia, con l'obbligo di mettere i soldati italiani sotto comando tedesco. Il generale tedesco Erwin Rommel fu impietoso nel denunciare la situazione greca e gli intrighi che stavano già avvenendo nei palazzi alti italiani:

Hitler continua col dire che la situazione greca è grave e quindi ha deciso comunque un intervento... L'intervento nostro in Grecia, ad ogni modo, taglierà la testa al toro. Egli ha studiato da tempo, insieme al nostro Comando Generale, tutto il piano dell'azione in Grecia e ne ha discusso a lungo con Mussolini il mese scorso (il 19 gennaio 1941), nel suo incontro in Austria. Hitler mi dice di essere guardingo, in Italia, con generali e persone della Corte. Egli stesso ha messo in guardia Mussolini contro gli intrighi della Casa Reale italiana e del Vaticano; l'ambiente che circonda il Re d'Italia è nettamente antitedesco. Sono stati apparentemente amici nostri quando credevano che in pochi mesi avremmo fatto fuori Francia e Inghilterra ed il piccolo Re sperava di aggiungere qualche altro straccio alla sua corona, come l'Impero d'Etiopia e la corona d'Albania. Canaris non mi nasconde che ha molti timori da quella parte (Casa Reale) e ritiene che, attraverso il canale vaticano, la Corte mantenga relazioni delittuose con Londra. Ne ho parlato apertamente con Mussolini, il quale conviene che il re da un certo tempo a questa parte è pessimista; egli ritiene d'altra parte che alla prima vittoria il suo umore cambierà.[9]
Nel giugno del 1941, tutta la Grecia era controllata dai tedeschi, dagli italiani e dai bulgari, che organizzarono la deportazione di ebrei e comunisti, facendo sparire decine di migliaia di persone, e causando un crollo economico che provocherà la morte per fame di almeno 400.000 greci. Per lottare contro l'occupazione si formò la Resistenza greca, attraverso movimenti in prevalenza comunisti. Nel 1941 era stato creato il Partito Comunista (Kke), che dette vita al Fronte di Liberazione Nazionale (Eam), da cui, nel 1942, nacque l’Esercito Popolare di Liberazione (Elas). La Resistenza greca fu un vero e proprio movimento popolare, determinato a liberarsi dall'oppressore straniero. All’inizio, parte del gruppo dirigente del Kke era sottomesso all’Urss, ma dopo il 1942 si ebbero forti e frequenti tensioni con Stalin, che spinsero il gruppo a prendere le distanze dai sovietici.

Il rifiuto delle direttive sovietiche fu dovuto soprattutto al fatto che la Resistenza greca non era particolarmente ideologizzata, ma lottava per liberarsi dall’occupante e per poter realizzare cambiamenti politici ed economici che facessero uscire il popolo dalla miseria.
I guerriglieri dell'Elas, saliti a 50.000 nel 1944, sfuggivano sempre più al rigido controllo da parte del Kke, e avevano l'appoggio di gran parte della popolazione. L’Eam diventò un movimento di massa con ideali democratici e antimonarchici, e alla fine del 1944 controllava tre quarti di territorio.
Dato che Stalin non era riuscito a sottomettere i comunisti greci, si fece avanti Churchill, che prese contatti con Georgios Papandreu, capo di governo in esilio, per reinsediarlo dopo il ritiro delle truppe tedesche. Ma alcuni gruppi di Resistenza non accettarono il governo imposto da Churchill e si rifiutarono di consegnare le armi.

Mentre in Italia gli anglo-americani riuscirono a porre la Resistenza sotto il loro controllo, distruggendo i gruppi che non si sottomettevano, in Grecia ciò non accadde, e anche dopo le elezioni del 31 marzo 1946, la Resistenza popolare continuò a combattere.
Fino a quando l’Elas aveva combattuto contro i nazisti, per Churchill era “una valorosa formazione di guerriglieri”, ma quando essa iniziò a pretendere di istituire una vera democrazia, libera dal controllo britannico, scatenò la repressione. Oltre 50.000 soldati inglesi invasero il territorio greco, uccidendo e arrestando migliaia di persone. Nel gennaio del 1945, l’Elas fu costretto a firmare un armistizio a Varkiza, che consentì agli inglesi di istituire un governo fantoccio e di aprire una durissima e sanguinosa repressione per sterminare tutti coloro che avevano lottato per la libertà della Grecia. Migliaia di persone furono arrestate e imprigionate nei campi di concentramento istituiti nelle isole greche, dove subiranno torture. Per controllare il paese, gli inglesi massacrarono migliaia di contadini, arrestarono 50.000 sostenitori dell’Eam e licenziarono 16.000 impiegati statali.

Nel 1947, gli Stati Uniti prepararono un piano per reprimere definitivamente la Resistenza greca, investendo miliardi di dollari, arrestando migliaia di persone e mettendo sotto i loro comandi l’esercito greco, subentrando al controllo inglese. Oltre 250 ufficiali americani furono addestrati e mandati in Grecia per attuare una repressione finale. Centinaia di migliaia di persone furono massacrate senza pietà. Dopo la strage, l’ambasciatore americano Lincoln Mac Veagh dette notizia al Dipartimento di Stato di aver imposto il proprio dominio sulla Grecia: “Abbiamo stabilito un effettivo controllo… sul bilancio nazionale, sulla tassazione, sull’erogazione di nuova carta moneta, sulle politiche dei prezzi e dei salari e sulla pianificazione economica statale, oltre che sulle importazioni e le esportazioni, sul cambio di valuta estera, sulle direttive circa la ricostruzione militare e le spese per i soccorsi alla popolazioni”. La Resistenza greca riuscì a combattere per altri tre anni, finché, nell’ottobre del 1949, cadde definitivamente sotto il controllo americano. Il regime ammise di aver massacrato almeno 3000 persone, ma altre fonti stimarono almeno 158.000 morti, anche se il numero esatto non è stato possibile stimarlo.

Se la Resistenza è da intendere come lotta dei popoli per la libertà dall'oppressione straniera e per l'autodeterminazione, e se tali valori sono professati sinceramente e universalmente, allora occorre riconoscere i crimini perpetrati dagli anglo-americani contro il popolo greco.
Il mito di Cefalonia è dunque fondato su una serie di menzogne, mentre la Resistenza greca che combatté contro gli anglo-americani, mai raccontata nei libri scolastici, è stata una vera Resistenza, fondata sul desiderio di libertà, finita nel sangue per mano di chi professa di difendere proprio quei valori per cui i patrioti greci furono costretti a morire.
Un sistema politico che si autoesalta attraverso la menzogna storica svela un declino morale e spirituale che dovrebbe essere per noi come un campanello d'allarme, inducendoci a prendere le distanze e a pretendere la verità sui fatti di ieri e di oggi.




Note:

[1] Discorso del Presidente Giorgio Napolitano a Cefalonia, 25 aprile 2007.
[2] Relazione del Console Vittorio Seganti del 10 gennaio 1944.
[3] Formato Romualdo, "L'eccidio di Cefalonia", Mursia, Milano 1970.
[4] http://www.cefalonia.it/Il_Reduce_Perosa_racconta....html
[5] http://www.anpi.it/acqui_ciampi.htm
[6] Rochat Giorgio e Venturi Marcello (a cura di), "La Divisione Acqui a Cefalonia - settembre 1943", Mursia, Milano 1993; Avvenire, 5 luglio 2006.
[7] Filippini Massimo, "I Caduti di Cefalonia: fine di un mito", IBN, Roma 2006.
[8] Lettere/Documenti Mussolini-Hitler, King Features Syndacate, New York, 1946.
[9] Rommel Erwin, "Diario", in Pimlott John (a cura di), "Rommel and his Art of War", Greenhill Books, London 2003.

sabato

ORIGINE E SIGNIFICATO DEL CONCETTO DI TERRORISMO

Di Antonella Randazzo

Il termine "terrorismo" è stato coniato nell'Ottocento, ad indicare gli indigeni coloniali che si opponevano alla violenza e al dominio delle autorità europee in Africa e in Asia.
Le oligarchie europee, per preservare il potere assoluto sulle terre coloniali, elaborarono il progetto di sterminare i popoli indigeni che non si fossero completamente sottomessi. Tutti coloro che cercavano di liberare il proprio paese dalla morsa coloniale erano considerati "terroristi" o "pericolosi ribelli" e, dato che risultavano inutili o dannosi al progetto imperiale, dovevano essere uccisi.

Le autorità tedesche decisero di sterminare gli Herero quando si resero conto che erano sempre più riluttanti a farsi sfruttare. Il Generale Lothar von Trotha, responsabile del genocidio, commesso fra il 1904 e il 1907, scrisse: "Io credo che la nazione come tale (gli Herero) debba essere annientata, o, se questo non è possibile con misure tattiche, debba essere espulsa dalla regione con mezzi operativi ed un ulteriore trattamento specifico... L'esercizio della violenza fracasserà il terrorismo e anche se con raccapriccio fu ed è la mia politica. Distruggo le tribù africane con spargimento di sangue e di soldi. Solo seguendo questa pulizia può emergere qualcosa di nuovo, che resterà".[1]

I crimini contro gli Herero furono attuati anche per provare che l'impero tedesco era forte, e dunque aveva potere di vita o di morte. Una Relazione dello Stato Maggiore tedesco diceva: "Von Trotha capì che la rivolta fu il primo segno di una guerra di razza che avrebbe sfidato tutti i poteri coloniali in Africa. Ogni cedimento quindi da parte dei tedeschi avrebbe dato ulteriore alimento al movimento etiopico secondo il quale l'Africa appartiene solo agli africani. La guerra deve continuare finché ci sarà il pericolo di una nuova resistenza degli Herero".[2]

Come le autorità tedesche, anche quelle inglesi, francesi, belghe, italiane, portoghesi e spagnole, di fronte a popolazioni indigene che non volevano sottomettersi, reagivano definendole "terroriste" e attuavano veri e propri genocidi, costruendo lager e riducendo alla fame. Utilizzavano il potere economico acquisito attraverso il saccheggio delle risorse e delle terre indigene. Decidendo cosa coltivare nelle terre africane e privando gli indigeni di tutte le risorse del loro paese, costringevano milioni di persone a morire di fame, come accade anche oggi.

I casi di sterminio di popolazioni definite "terroriste", perché non accettavano la sottomissione coloniale, sono tantissimi. Ad esempio, nel 1953, si ebbe in Kenya la rivolta della tribù dei Kikuyu (Mau Mau), che rivendicava le terre dei padri. Il Kenya era nato come un protettorato britannico, e nel 1920, in seguito alla massiccia immigrazione inglese nelle terre più fertili (White Highlands), divenne Colonia del Kenya. La colonizzazione inglese aveva sottratto le terre coltivabili agli autoctoni, riducendoli in miseria. Cacciati dalle loro terre, i Mau Mau furono costretti a vivere nelle riserve, ridotti a pura manodopera a basso costo per i coloni inglesi. I Kikuyu decisero di lottare pacificamente per ottenere almeno parte delle loro terre, e per ritornare ad avere una relativa indipendenza. La reazione inglese fu feroce: senza pensare nemmeno lontanamente ad un accordo, le autorità inglesi considerarono immediatamente "terroristi" i Mau Mau, iniziando una massiccia propaganda contro di loro, e preparando una feroce repressione. La guerra, spacciata per "lotta al terrorismo", fu di una crudeltà inaudita, e si valse anche della tortura, delle violenze sessuali e di ogni genere, del massacro con armi di vario tipo e della deportazione nei lager. I Mau Mau erano descritti come potenti terroristi dai servizi segreti inglesi. Ad esempio, in un rapporto stilato nel dicembre del 1954, leggiamo:

"Le ultime settimane di novembre sono state le migliori sia in termini di perdite inflitte ai Mau Mau sia per quanto riguarda le perdite avute, le armi sequestrate, gli avversari che si sono arresi, e i furti dei Mau Mau si sono ridotti. In Dicembre non ci sono state operazioni importanti da ricordare. Le bande sembrano essersi ritirate nelle foreste e una di queste è stata attaccata con successo a un'altitudine di 10.000 piedi sulle brughiere del monte Kenya. Un elicottero della RAF ha operato ad altezze che finora erano ritenute impraticabili per quel tipo di mezzo. Dall'inizio dell'anno fino al 30 novembre 4460 terroristi sono stati uccisi dalle Forze di Sicurezza e 524 sono stati giustiziati in seguito a processo."[3]

In realtà, erano i Mau Mau ad essere continuamente terrorizzati dagli inglesi, e in migliaia, anche donne e bambini, furono rinchiusi in campi di concentramento e torturati con l'elettrochoc[4].
Per terrorizzare quanto più possibile, le autorità inglesi assoldarono il feroce dittatore Idi Amin, che commise a danno dei Mau Mau una serie interminabile di torture, persecuzioni ed esecuzioni sommarie, anche di donne e bambini. Per queste "imprese", considerate dalle autorità britanniche come "eroiche", Amin venne elogiato e promosso a "Signore", che era il grado più alto che il soldato indigeno poteva avere.

La studiosa Caroline Elkin, nell'opera Britain's Gulag,[5] denuncia gli orrori che gli inglesi commisero nei villaggi dei Kikuyu e nei campi di concentramento allestiti per contrastare la resistenza dei Mau Mau. Dalle testimonianze di almeno 300 sopravvissuti, emerge un quadro terrificante di impiccagioni, pestaggi, torture, stupri collettivi e violenze fatte per terrorizzare i villaggi. Il bilancio dei "gulag britannici" viene quantificato come superiore ai 100.000 morti. I soldati inglesi ricevevano 5 scellini (circa 7 euro) per ogni Kikuyu ucciso, e spesso le membra squartate degli indigeni venivano inchiodate nei segnali stradali, come deterrente per gli altri patrioti. La Elkin riporta testimonianze agghiaccianti: "Ci chiamavano maledetti Mau Mau e ci dicevano che meritavamo tutti di morire".[6]

Alle guardie inglesi, per fare in modo che diventassero crudeli verso i Kikuyu, veniva detto che questi ultimi erano feroci cannibali, e che se non li avessero uccisi li avrebbero divorati. La studiosa riporta altri fatti terribili: "Ora sono convinta che alla fine del dominio coloniale in Kenya ci sia stata una campagna sanguinosa per eliminare il popolo Kikuyu, una campagna che lasciò decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di morti... Per molti bianchi in Kenya […] i Mau Mau non appartenevano alla razza umana; erano animali sporchi e malati che potevano contagiare il resto della colonia, la cui sola presenza minacciava di distruggere la civiltà in Kenya. Dovevano essere eliminati."[7]

Durante la guerra, ogni Kikuyu era considerato sospetto, anche donne, bambini e vecchi, e molti vennero sottoposti a "screening" (interrogatorio), una parola che a tutt'oggi i sopravvissuti hanno il terrore di pronunciare.
Durante lo screening venivano torturati, straziati e spesso uccisi. Gli interrogatori avevano lo scopo principale di creare un clima di terrore, e di ottenere informazioni sui combattenti Mau Mau. Tutte le persone sospette subivano torture, venivano frustate, bruciate, picchiate, sodomizzate, costrette a mangiare feci e a bere urina, castrate. Le donne venivano stuprate con oggetti, serpenti o bottiglie di birra rotte.

La propaganda inglese diceva che i campi erano istituiti allo scopo di "riabilitare", ma in realtà l'obiettivo era lo sterminio.
Le autorità inglesi, oltre a propagandare una realtà assai diversa da quella vera, cercarono di cancellare ogni traccia dei crimini, come testimonia John Nottingham, un funzionario britannico in Kenya: "Il governo britannico, alla vigilia della decolonizzazione in modo esteso e deliberato ha distrutto gran parte della documentazione relativa ai campi di detenzione e ai villaggi recintati. Io stesso, come commissario del distretto di Nyeri, ricevetti l’ordine di distruggere tutti i documenti che anche lontanamente riguardavano i Mau Mau, e sapevo che altri funzionari avevano ricevuto e obbedito a simili ordini."[8]

Nel periodo della guerra ai Kikuyu, i giornali inglesi diffondevano notizie che descrivevano i Mau Mau come selvaggi e sanguinari, che massacravano gli inglesi. Si soffermavano soltanto sulla "barbarie" dei Kikuyu, e nessuna notizia trapelava sui crimini inglesi, come avviene oggi nelle guerre scatenate dalle autorità anglo-americane.
I Mau Mau combattenti erano circa 15.000, e si rifugiavano nelle foreste vicine al Monte Kenya e agli Aberdares. Alla fine del 1955, il Movimento dei Mau Mau venne sconfitto, 13.500 combattenti erano stati uccisi, mentre gli inglesi caduti erano circa 100. Nei lager, sotto tortura o nelle esecuzioni sommarie, erano morti almeno 90.000 civili Kikuyu. Il governatore, alla fine della guerra, così giustificò il massacro dei Mau Mau: "L’obbiettivo che ci siamo prefissati è di civilizzare una grande massa di esseri umani che versano in uno stato morale e sociale primitivo".[9]

C'era nelle autorità britanniche un forte senso di superiorità, che faceva loro credere di essere legittimate a commettere ogni crimine contro coloro che definivano "terroristi". I governi inglesi non hanno mai ammesso i crimini commessi nelle colonie, e non hanno mai chiesto scusa a nessuno, al contrario, hanno cercato di occultare i crimini o di giustificarli, e a tutt'oggi credono di avere diritto di uccidere tutti coloro che avversano il loro dominio.
Anche oggi il termine "terrorista" viene utilizzato dagli anglo-americani con la stessa accezione del periodo coloniale, anche se la propaganda divulga un significato diverso, per occultare la vera strategia di dominio neocoloniale. I mass media occidentali inducono a credere nell'esistenza di un nemico dell'Occidente, identificato come "estremista islamico combattente", ossia "terrorista". In realtà, i gruppi terroristici estremisti sono formati, addestrati e finanziati dalle stesse autorità anglo-americane, allo scopo di criminalizzare i dissidenti, di reprimere e di giustificare ogni guerra.

Terrorizzare i popoli sottomessi era un metodo di dominio ritenuto valido dall'inizio del colonialismo. Ad esempio, Winston Churchill considerava indispensabile utilizzare gas tossici contro gli indigeni coloniali, perché ciò "avrebbe seminato un grande terrore". Egli sapeva che un popolo impaurito è incline alla sottomissione o risulta troppo debole per lottare efficacemente contro l'oppressore.

I gruppi terroristici utilizzati oggi dall'élite dominante, sono addestrati e finanziati dai servizi segreti americani, europei e israeliani. Ad esempio, in Algeria, dal 1994 al 1996 si ebbero molti attentati terroristici organizzati dai Gruppi Islamici Armati (Gia) e dal Movimento Islamico Armato (Mia), che venivano considerati affiliati ad al Qaeda e nemici dell'Occidente, ma in realtà erano controllati e finanziati dalla Cia e da altri servizi segreti occidentali. Il capo del Gia era Sid Mourad, un agente addestrato dalla Cia ai tempi dei combattimenti in Afghanistan contro i russi. Le autorità statunitensi, appoggiate da quelle europee, utilizzando la maschera dell'integralismo islamico, terrorizzavano la popolazione algerina, per costringerla ad accettare l'assetto neocoloniale, che vedeva le ricchezze del paese nelle mani delle corporation straniere. Negli anni Novanta, giornali francesi come Le Figaro e Le Parisien, fecero emergere i collegamenti fra terroristi del Gia e i governi di Parigi e Londra. Le Figaro scrisse:

Le tracce di Boualem Bensaid, capo del Gia a Parigi, conducono in Gran Bretagna. La capitale britannica ha funzionato da base logistica e finanziaria per i terroristi.[10]
In Algeria, nel 1991, in seguito all'annullamento delle regolari elezioni e all'arresto degli eletti del Fronte Islamico di Salvezza (Fis), venne insediato dalle autorità occidentali un governo fantoccio, affinché le corporation occidentali potessero continuare ad appropriarsi delle risorse del paese. Per piegare la popolazione si organizzava ogni tipo di azione criminale, ad esempio, alcuni elementi dei gruppi terroristici che si spacciavano per "integralisti islamici" andavano nelle case vestiti da mujaheddin, a chiedere asilo, ma chi li accoglieva veniva ucciso. Un ex agente algerino, nel 1998, confessò:

E' l'esercito il responsabile dei massacri, è l'esercito che ha compiuto i massacri: non i soldati di leva, ma un'unità speciale sotto gli ordini dei generali. Va ricordato che stanno privatizzando le terre, e le terre sono molto importanti. Bisogna prima cacciare la gente dalla loro terra per poterla acquistare a basso prezzo. E poi ci deve essere una certa dose di terrore per governare il popolo algerino e rimanere al potere. Secondo un detto cinese un'immagine vale mille parole. Non potrei sopportare l'immagine di una ragazza con la gola tagliata. Non saprei tenere per me quello che ho visto accadere. Ho figli, provate a pensare che cosa quella ragazza deve aver sofferto, gli ultimi dieci secondi della sua vita devono essere stati orribili. Credo che sia nostro dovere parlare di queste cose. Io parlo oggi nella speranza che altri facciano lo stesso, così che le cose cambino e questi assassinii abbiano fine.[11]
Fra il 1993 e il 2000 furono uccisi almeno 30.000 algerini, e oltre 10.000 furono feriti. I gruppi terroristici addestrati dalla Cia cooperavano col governo fantoccio, che riceveva denaro e armi dagli occidentali. Fra le persone massacrate dal Gia figuravano anche diversi prelati, oltre a dissidenti e cittadini comuni.
Fatti analoghi sono avvenuti o avvengono in tutti i paesi controllati dalle autorità occidentali, come la Turchia , l'Egitto, la Thailandia , la Birmania , l'Indonesia, il Pakistan ecc.
Oggi, dunque, il "terrorismo" denunciato è la legittima resistenza delle popolazioni piegate al dominio delle autorità occidentali, mentre al Qaeda e molte altre formazioni realmente terroristiche sono al soldo di Washington e operano per terrorizzare le popolazioni e uccidere i dissidenti. Anche l'estremismo religioso viene utilizzato in molti paesi per ridurre i popoli alla passività. Lo studioso francese André Prenant spiegò l’utilizzo dei gruppi estremistici contro la popolazione:

Le distruzioni e i massacri del terrorismo islamico (sono manipolate) da sostenitori legati tanto al regime di stato quanto al neoliberismo, quello della borghesia algerina come delle multinazionali, con beni al sole nelle capitali occidentali, in particolare a Londra. Costoro strumentalizzano un senso dell’identità che vogliono confondere con l’Islam come speranza per reclutare gli emarginati del sistema, in particolare nelle periferie. La violenza utilizzata fin dagli anni 1980 fa parte di una strategia del terrore, di matrice fascista. Ha preso di mira prima del 1995 sindacalisti e intellettuali, artisti, giornalisti, scrittori o universitari che la combattevano; poi, oltre agli stranieri non musulmani, la massa di uomini, donne, bambini, di quelli che le disubbidivano lavorando, votando, studiando, in particolare nelle campagne isolate… Questo terrorismo, lo si sa meno, ha anche distrutto unità produttive pubbliche, ma mai le infrastrutture private appartenenti al grande capitale straniero. Si accanisce contro le istituzioni pubbliche scolastiche, sanitarie e sociali, in convergenza con la loro destabilizzazione da parte della speculazione mafiosa e del risanamento strutturale. La morte di 36 mila civili in sei anni, senza contare quelli di polizia ed esercito, secondo le statistiche ufficiali, ne è l’effetto più drammatico.[12]
Con l'accusa generica di "terrorismo", sono state fatte sparire migliaia di persone in molti paesi del Terzo Mondo, di cui non si è saputo più nulla.
Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dicono di essere in "guerra contro il terrorismo", ma quando, nel 1994, le Nazioni Unite approvarono la risoluzione 49/60, e nel 1996, la 51/210, che invitava a sconfiggere il terrorismo attraverso le indagini sui finanziamenti alle attività terroristiche, glissarono. Oggi anche la rivista Executive Intelligence Review denuncia chiaramente che l’Inghilterra è un “paese da mettere sulla lista degli stati che promuovono il terrorismo islamico”.

Gli anglo-americani utilizzano il terrorismo come un mezzo per spaventare e per reprimere i popoli, e i terroristi sono a loro servizio, e non contro di loro, come vorrebbero far credere. La "guerra al terrorismo" è in realtà una guerra contro le aree più povere del continente, che sono state rese tali da un gruppo di persone, che creando povertà ha acquisito un potere economico e finanziario enorme, e lo utilizza per continuare ad attuare guerre e genocidi. I popoli sfruttati e vessati cercano di combattere per i loro diritti, ma vengono marchiati come "terroristi" e perseguitati. Le autorità europee e statunitensi attuano una massiccia propaganda, che induce a credere che il terrorismo sia un pericolo per l'Occidente, e che i popoli musulmani avrebbero organizzato una guerra per contrastare il potere americano. Ma se così fosse, come mai nessuna autorità americana è mai stata uccisa? Come mai molti terroristi sono stipendiati dalla Cia e entrano ed escono liberamente dagli Stati Uniti? Come mai la maggior parte delle vittime del terrorismo sono musulmane o povere?

Il terrorismo viene ampiamente utilizzato dalle autorità di Washington anche per piegare la popolazione irachena. In Iraq, gli Usa, oltre a fomentare divisioni, rafforzano l'integralismo islamico. Ad esempio, finanziano segretamente le milizie di Moqtada Al-Sadr, che è un leader dell'integralismo sciita convinto di dover scatenare un'ondata di proibizioni contro gli iracheni. Tali proibizioni riguardano quasi tutti gli aspetti dell'esistenza umana, dall'abbigliamento, alle bevande alcoliche, con pene corporali che vanno dalla fustigazione alla pena di morte. Si tratta dell'assetto imposto già alle popolazioni arabe in Arabia Saudita, in Kuwait e in altre dittature compiacenti verso gli Stati Uniti.

Dunque l'estremismo islamico e il terrorismo sono strumenti utilizzati dagli Stati Uniti anche al fine di opprimere e piegare l'orgoglioso popolo iracheno, che prima dell'occupazione era il popolo arabo meno legato all'ortodossia islamica. Prima che le autorità americane si accanissero per distruggerlo, l'Iraq era un paese industrializzato, con un forte sviluppo del settore sanitario e scolastico, che valse al governo iracheno ben tre medaglie dell’Unesco. Anche se il popolo iracheno non era libero ma oppresso dalla dittatura di Saddam, nel 1991, l’Iraq era l’unico paese del Medio Oriente che poteva vantare uno sviluppo paragonabile a quello europeo. La scuola era gratuita per tutti, le strutture sanitarie erano di alta qualità, e le donne avevano raggiunto una certa libertà e considerazione sociale e politica. Oggi oltre il 70% degli iracheni non ha più nemmeno l'acqua potabile e l'energia elettrica, e la sanità pubblica irachena è stata completamente devastata, provocando la morte di centinaia di migliaia di persone, specie bambini.

Gli anglo-americani organizzarono la guerra del Golfo con lo scopo principale di riportare l’Iraq ai livelli preindustriali, per ricolonizzarlo. Dopo la guerra, l’embargo avrebbe dovuto colpire l’economia del paese, e indebolirlo a tal punto da aprire la strada all’occupazione definitiva.
Oggi in Iraq, in Afghanistan, in Somalia, in Sudan e in molti altri paesi, le autorità americane, pur controllando minuziosamente ogni zona, non esercitano alcuna protezione della popolazione, al contrario, scatenano gruppi di terroristi, per creare insicurezza e divisioni. A questo scopo utilizzano milizie di vario genere, da quelle mercenarie, a quelle dei governi fantocci che insediano. In alcuni paesi impongono il potere di terroristi/mafiosi, che oltre ad impaurire le popolazioni si occupano di svolgere attività criminali, come il traffico di materiale radioattivo, di droga, di armi e lo sfruttamento della prostituzione. Gli attentati in Iraq, che i nostri telegiornali ci mostrano, sono quelli organizzati dalla Cia per terrorizzare la popolazione, mentre le vere operazioni della resistenza irachena vengono occultate dai mass media, per evitare che si conosca realmente ciò che accade (ad esempio, i combattimenti in cui gli Usa utilizzano armi chimiche contro i civili).

Come molti autori hanno provato, anche l'11 settembre è stato architettato, o perlomeno voluto, dai servizi segreti statunitensi. Non soltanto è certo che la Cia fosse al corrente dell'attentato prima che venisse attuato, ma, addirittura, sono stati resi noti dalla Bbc alcuni documenti del National Security News Service[13], che spiegano come diversi agenti dell'Fbi, che erano sulle tracce di personaggi che stavano progettando il piano terroristico, furono depistati dagli stessi servizi segreti americani.
Grazie al "pericolo terrorismo", gli Usa hanno attuato una massiccia militarizzazione in moltissimi paesi del mondo, imponendo basi permanenti e personale per addestrare le forze armate locali. In molti paesi africani, come il Marocco, il Congo, il Ciad, il Senegal, il Niger, la Tunisia e l'Algeria, il Pentagono ha provocato gravi destabilizzazioni, e utilizza il "pericolo terrorismo" per giustificare le ingenti forniture di armi e l'addestramento di gruppi militari e paramilitari, il cui vero scopo è di tenere i paesi sotto controllo, per consentire alle corporation di appropriarsi delle risorse, specie petrolio, diamanti, uranio, coltan, ecc.

Il terrorismo permette agli Usa di nascondere il controllo che impone quasi ovunque. Ad esempio, in Africa, è stato creato un programma di intervento militare chiamato African Coastal Security Programme (ACSP), con l'obiettivo ufficiale di combattere il terrorismo di al Qaeda, ma in realtà si tratta di difendere i giacimenti off-shore americani, e di controllare le principali rotte attraverso cui il petrolio e gli idrocarburi affluiscono in Europa e nel Mediterraneo. Se le autorità di qualche paese africano chiedessero di poter esercitare autonomamente controlli sul traffico marittimo nelle loro acque territoriali, gli statunitensi le accuserebbero di "terrorismo", per avere la libertà di reprimerle e di riportare tutto sotto il proprio controllo.

Nella base americana di Djibouti sono state organizzate operazioni della forza navale congiunta (statunitense, tedesca, francese, italiana e spagnola), che ha svolto pattugliamenti lungo il Golfo di Aden, il Mar Rosso, e il Mare d’Arabia, dichiarando di avere come obiettivo la cattura di membri e dirigenti di al Qaeda, ma in realtà si trattava di operazioni di controllo dei governi africani e di tutti coloro che si opponevano al dominio statunitense, mentre i traffici di droga, armi e di esseri umani proseguivano indisturbati.
Il terrorismo è un'arma del potere neocoloniale, che oggi ha bisogno di giustificare con nuovi argomenti la brutalità e i crimini che lo caratterizzano. Per questo ha elaborato un modo per atteggiarsi a "difensore dei diritti umani" e al contempo attuare le più crudeli repressioni contro popolazioni inermi, che hanno l'unica "colpa" di voler vivere la loro esistenza senza essere oppressi e saccheggiati.

Col passare del tempo, il termine "terrorismo" viene sempre più utilizzato per criminalizzare ogni dissidente, o chi dice la propria contro il sistema di potere. Viene accusato di essere un terrorista chi chiede un ambiente più protetto e meno militarizzato, persino chi critica il Vaticano o il governo, e chi osa ragionare con la propria testa, denunciando i paradossi e i crimini delle autorità occidentali.

Il "terrorismo" viene utilizzato dalle autorità europee e statunitensi per tenere impaurite le persone anche nel Primo Mondo, poiché uno stato perenne di paura garantisce la sottomissione acritica all'autorità, che si intende "protegga" dal pericolo. Uno dei modi per impaurire è quello di organizzare simulazioni o esercitazioni contro il terrorismo, rendendo il pericolo plausibile e creando una situazione di attesa dell'attentato. Negli Stati Uniti sono ormai diversi anni che la popolazione viene impaurita con vari metodi, basti pensare alle installazioni tipo "semafori" che cambiano colore in ordine al "grado di pericolo terroristico", sulla base di non si sa bene quali criteri. In Europa, le autorità stanno introducendo gli stessi metodi già utilizzati negli Usa. Ad esempio, dal 12 al 26 marzo, si svolse nelle acque tra La Spezia e Viareggio l’esercitazione Italian Minex 2007 attuata dalle unità navali italiane ed estere (cacciamine francese Capricorne, cacciamine spagnolo Tajo e cacciamine turco Edremit) e della Nato con 6 cacciamine appartenenti alla forza permanente del Sud Europa, che simularono la presenza di mine o ordigni. Altre simulazioni hanno riguardato anche civili, e si sono svolte in molte città europee, come Londra, Roma, Milano, Parigi e Madrid.

Il fatto assai inquietante è che le stesse autorità che organizzano le simulazioni sono quelle che realizzano gli attentati terroristici, e persino durante l'attuazione reale dell'attentato sono avvenute simulazioni analoghe al vero evento terroristico, come nel caso dell'11 settembre 2001 a New York e del 7 luglio 2005 a Londra.
Il terrorismo risulta dunque un'arma del sistema di potere, che oggi si impone su quasi tutto il mondo, per garantirsi la sottomissione dei popoli e la licenza di portare a compimento guerre ovunque ritenga necessario. Cadere nelle trappole propagandistiche, che mirano a farci credere che le autorità occidentali abbiano a cuore i diritti umani, e che esista un nemico oscuro e inspiegabilmente crudele, significa ignorare la vera natura dell'attuale sistema di potere, che commette atroci crimini ma vuole spacciarsi per filantropo, in modo da non perdere l'indispensabile appoggio dei popoli delle aree ricche del pianeta.



NOTE:

[1] "Il manifesto", 11 agosto 2004. http://www.unknownnews.net/herero.jpg
[2] "Il manifesto", 11 agosto 2004.
[3] Rapporto C.S.O., della Colonial Political Intelligence, dicembre 1954. Archivio Privato.
[4] Vedi Elkins Caroline, Imperial Reckoning: The Untold Story of Britain’s Gulag in Africa, Hardcover, 2005.
[5] Elkins Caroline, "Britain's Gulag. The Brutal End of Empire in Kenya", Jonathan Cape, Londra, 2005.
[6] Elkins Caroline, op. cit. p. 155.
[7] Elkins Caroline, op. cit. pp. XIV, 49.
[8] http://justworldnews.org/archives/001339.html).
[9] Cit. Pilger John, "Andatevene", http://pilger.carlton.com/
[10] Le Figaro, "The Providential of London", 3 novembre 1995. Vedi anche Le Parisien, 4 novembre 1995.
[11] Intervista rilasciata alla Tv Svizzera Telévision Suisse Romande nel gennaio 1998.
[12] Prenant André, AA.VV. "Il libro nero del capitalismo", Marco Tropea Editore, Milano 1999, p. 301.
[13] Palast Greg, "Democrazia in vendita", MarcoTropea Editore, Milano 2003.