mercoledì

INTRALLAZZI MEDIATICI

Di Antonella Randazzo


Nessuno di noi ama l’idea di poter essere condizionato dai mass media, eppure sappiamo che i media hanno un forte potere condizionante, ma preferiamo pensare che tale potere venga esercitato su altri.
Molti studiosi, specie psicologi, sociologi e filosofi, si sono interrogati circa gli effetti che i mass media producono sulla mente e sul comportamento delle persone. Alcuni di essi hanno elaborato concetti utili per comprendere tali effetti e far luce sulle tecniche utilizzate dagli “esperti” mediatici.
Molte pubblicazioni spiegano come e quanto siamo soggetti al condizionamento mediatico, che oggi non riguarda soltanto il campo pubblicitario o dello svago, ma anche quello politico, ideologico e persino religioso.
"Molti di noi vengono oggi influenzati più di quanto non sospettino e la nostra esistenza quotidiana è sottoposta a continue manipolazioni di cui non ci rendiamo conto", scriveva già negli anni Cinquanta il sociologo americano Vance Packard.
Egli parlava di “persuasori occulti”, ad intendere l’esistenza di “professionisti della comunicazione”, che utilizzavano varie tecniche difficili da riconoscere, mirando ad agire sul subconscio.
Ovviamente, questi “persuasori” sono a servizio dei grandi gruppi bancari e delle grandi imprese, e producono programmi Tv, pubblicità e altri prodotti mediatici, in armonia col sistema da essi creato.

Lo scopo principale dei mass media è quello di renderci “etero-diretti”, ovvero di fare in modo che tutti scelgano il proprio stile di vita, la propria alimentazione, l’abbigliamento e persino le idee politiche e le opinioni, sulla base del mondo mediatico.
Scrive il sociologo David Riesman: “Come in campo commerciale, la suggestione esercitata dalla confezione e dalla pubblicità di un prodotto si sostituisce alla convenienza del prezzo, cosi in campo politico, la suggestione esercitata dalla ‘confezione’ del candidato o mediante una tendenziosa manipolazione dei mezzi di diffusione di massa, si va sostituendo alla ricerca dell’interesse personale che determinava la scelta del tipo auto-diretto”.(1)

Far diventare le persone etero-dirette significa renderle fortemente condizionabili, senza che esse ne abbiano piena consapevolezza, poiché se ne avessero consapevolezza gli effetti sarebbero drasticamente ridotti. Significa creare una sorta di “pensiero collettivo” che tenderà ad uniformare menti, pensieri, opinioni e scelte, in modo tale che qualora apparisse un’idea inconsueta, fuori dal controllo del sistema, essa spingerebbe a guardare in modo sospetto chi la produce, come se “cantare fuori dal coro” rappresentasse di per sé un pericolo. Eppure non c’è vera cultura senza capacità di proporre nuovi punti di vista. Osserva la scrittrice Gloria Capuano:
“Nell'informazione prevalgono un'incivile tifoseria politica, lo scandalismo, la notizia dell'orrore, l'immagine truculenta e pornografica, e una gerarchia di valori affidati alla banalità o allo squallore del sentire... questo tipo di informazione è ciarpame 'diseducativo' perché non offre alcuno stimolo di crescita. E' veramente stupefacente osservare le innumerevoli opportunità e il tempo messo a disposizione di egregie signore del bel mondo o di personaggi dello spettacolo, o di signori esibizionisti e velleitari, o di ex terroristi, mentre la cultura dei contenuti perorata dalla gente più schiva e più isolata ha praticamente il bavaglio. C'è chi teme che si pratichi una ginnastica delle idee non convenzionali. Tutto ciò senza ricordare che questa gente capace di pensare fuori dal contagio di massa, non ha spazio anche perché non ha percorso i canali obbligati della dipendenza politica e culturale. Nel tener conto di questo spaccato di un mondo informativo che si divide... equamente tra la cultura della testimonianza crudele e casuale senza alcun retroterra critico, e la cultura della vanità e dell'esibizionismo, si può ritenere che la cultura sommersa e imbavagliata sia quella in grado d'innestare il nuovo nei contenuti... Siamo quindi ancora e sempre sulla distinzione tra contenuti e contenitori. Povera democrazia! Senza sponsor non ha alcuna possibilità di camminare. E' certa una considerazione: ogni voce messa a tacere costa un ritardo in democrazia... un ritardo di crescita democratica, perché s'impedisce la conoscenza in genere e il conoscersi tra esseri umani... L'idea di libertà consiste proprio nel coraggio d'esprimere soprattutto ciò che si stacca dall'ufficialità e dalla massificazione”. (2)

Il giornalista William H. Whyte parlò di “conformismo razionalizzato”, che mirava a cancellare il peso dell’individuo come essere pensante e agente autonomamente. Egli scriveva: “Si è giunti insensibilmente alla conclusione che l’individuo non ha di per sé nessun valore se non in quanto appartiene a un gruppo”.(3)

Un’altra definizione utilizzata per indicare l’effetto dei media è “pensiero collettivo”, ovvero un bisogno di conformarsi al gruppo e di rinunciare alla propria più autentica individualità. Le pressioni mediatiche per raggiungere questo scopo sono molteplici: dalle risate di sottofondo poste in alcuni programmi televisivi, che indicano persino il momento giusto per ridere, alla scelta dei gadget, dell’abito o del modello di telefonino più in voga.
Negli anni Cinquanta tale fenomeno appariva ancora inconsueto e degno di attenzioni, a tal punto che la rivista “Fortune” scriveva:
“Uno sbalorditivo arsenale di tecniche e discipline sono state prese a prestito dalle scienze sociali per scatenare una grande offensiva contro l’imprevedibilità dell’uomo… ( le persone) non hanno letteralmente un solo minuto per starsene sole… Gli psicologi hanno ottenuto grandi successi nella cura e nella manipolazione di individui inadattati. Pare a me che nulla ci impedisca di raggiungere risultati altrettanto brillanti applicando le stesse tecniche ai dirigenti d’azienda”.(4)

In quegli anni si poneva il problema di controllare gli individui per renderli più efficienti nel lavoro. Osservava il sociologo Richard Worthington:
“Per controllare gli uomini occorre manipolare i loro [istinti e le loro emozioni] e non già tentar di correggere il loro modo di ragionare. È questo un fatto ben noto a molti uomini politici, che sogliono persuadere i loro elettori facendo leva sui loro sentimenti più che ricorrendo [ad argomenti logici], che non sarebbero ascoltati o che, per lo meno, non basterebbero in nessun caso a commuovere le folle”.(5)

In altre parole, per condizionare la mente e il comportamento delle persone occorre manipolare le loro emozioni, potendo così creare affezione, disaffezione, simpatia, rigetto, coinvolgimento emotivo, suggestione, ecc.
I media, specie la pubblicità, mirano a creare un clima di desideri, bisogni e senso di frustrazione, poiché tale clima è quello psicologicamente più adatto a creare individui dipendenti dalla realtà esterna e inclini all’acquisto di prodotti inutili e persino dannosi.
Siamo invogliati a provare nuovi prodotti o a confrontarci con modelli estetici talmente elevati che la maggior parte delle persone non può che sentire di non essere all’altezza. Tale frustrazione o disagio servirà a stimolare l’acquisto di creme di bellezza o di altri prodotti per l’estetica, e farà crescere la domanda di trattamenti estetici e operazioni di chirurgia estetica.

Oggi le tecniche mediatiche per suscitare consensi politici, o per vendere prodotti sono diventate sempre più sottili ed efficaci, ci vedono ignari di subirle, e pochi sospettano della loro esistenza.
Ad esempio, una tecnica si basa su quello che è stato denominato effetto “interazione parasociale” (IPS), ovvero la creazione di personaggi che producono affezione e dunque agiscono da esche per catturare consenso o per vendere prodotti (commerciali o ideologici). L’effetto IPS è la tendenza psicologica a stabilire legami con personaggi dei media. E’ stato appurato che la presenza di un determinato personaggio può alzare gli indici di ascolto, così come il successo di un programma può dipendere dalla capacità del conduttore di stabilire un “legame” affettivo con il pubblico. L’effetto IPS agisce in modo da farci dimenticare che le persone che hanno ruoli mediatici non sono così empaticamente vicine come possono apparire.
Si tratta di persone che ovviamente i cittadini conoscono soltanto come immagini mediatiche, ma esse ispirano fiducia per ciò che dicono e per lo spazio mediatico che viene loro riservato, e di conseguenza giungono ad avere potere di influenzare una certa quantità di persone. Il loro guadagno e la loro importanza mediatica saranno proporzionali al grado di fiducia suscitato e al conseguente potere di condizionare le persone. I personaggi più efficaci, nei periodi in cui i cittadini nutriranno poca fiducia nelle istituzioni, saranno quelli che si mostreranno come paladini della gente comune, ma al contempo saranno guidati da chi detiene il potere, curandosi di nascondere accuratamente la loro vicinanza verso gli ambienti da essi criticati a parole.
L’effetto IPS farà in modo che le persone percepiscano il personaggio come positivo, e qualora si diventasse consapevoli dell’effetto, il potere condizionante sarebbe drasticamente ridotto. La caratteristica principale di questi “legami” affettivi è quella di non avere una vera conoscenza del personaggio, che potrebbe avere una personalità completamente diversa rispetto all’immagine mediatica, e nemmeno potrà esistere una reciprocità, poiché i “fans” non avranno modo di avvicinare il personaggio per sviluppare un vero rapporto umano. La relazione rimarrà dunque sbilanciata e fittizia. Il fan potrebbe dire “Io so chi tu sei, conosco la tua immagine mediatica, ma tu non mi conosci, ed io rimango anonimo anche se nutro fiducia verso di te e baso la mia opinione sulle informazioni che tu mi dai”.
Lo studioso Giuseppe Mininni parla di “fabbrica dei divi” e spiega:
“I media sono rivelatori e insieme costruttori dello star system. Non solo le posizioni di potere – economico, politico, simbolico – trovano visibilità nell’azione dei mass media, ma questi alimentano in modo possente la tendenza inerente a ogni istituzione sociale, cioè quella di operare per "inclusione ed esclusione"… i divi dello spettacolo, dall’attore… cantante o conduttore sono ammirati perché i media li fanno apparire vincenti e quindi li presentano come modelli di personalità capaci di sottrarsi alle derive omologanti della società attuale”.(6)

Negli ultimi anni, a causa della disaffezione dei cittadini alla politica corrotta degli attuali personaggi, hanno guadagnato spazio persone che informano su ciò che i media non dicono, come Beppe Grillo. Il fattore IPS in questo caso ha agito formando gruppi di fans assai “fidelizzati”, a tal punto da trovare nel personaggio un punto di riferimento saldo per comprendere la realtà e cercare di fare qualcosa per contrastarne gli aspetti negativi. In questi casi vi può essere, secondo Mininni, un vero e proprio culto della personalità: “Il fan non si rende conto di inserire l’oggetto della sua ammirazione in un vero e proprio culto della personalità perché la sua relazione di identificazione parasociale è ispirata a slanci idealistici. I fan… reinterpretano un certo materiale simbolico attraverso l’investimento totale delle proprie risorse – cognitive e affettive, di tempo e di denaro -, ritenendo naturalmente di trarne un vantaggio in termini di benessere o di soddisfazione personale”.(7)

Nel caso estremo e ben più gravoso di effetti, ovvero nel fanatismo politico, il culto della personalità del capo serve a nascondere le magagne di chi assurge ad ideale, a tal punto da ignorare persino l’evidenza. Ad esempio, l'ambasciatore inglese in Italia nel periodo fascista Eric Drummond, osservò che Mussolini utilizzava a suo vantaggio il legame emotivo che la propaganda aveva contribuito a creare: "l'atteggiamento popolare nel suo complesso verso il signor Mussolini (...). il Duce e il sistema fascista sono inestricabilmente connessi, ma è possibile distinguere tra i due - e moltissimi italiani fanno in effetti così". In altre parole, Drummond avvertiva l’effetto IPS e sosteneva che molti italiani erano indotti, dal fascino e dal rapporto emotivo stabilito col duce, a dissociare il regime ingiusto e tirannico da Mussolini stesso. Per questo motivo il duce, nonostante i disastri, continuava ad essere visto da molti come un capo forte e autorevole, che aveva a cuore le sorti dei lavoratori. Drummond scrisse addirittura che la gente "considera il sistema come il prezzo da pagare in cambio del suo capo".(8)

Oggi l’effetto IPS può riguardare i personaggi mediatici mostrati come onesti, sinceri e come fossero dalla parte dei cittadini, anche se non può esistere un personaggio del genere nei mezzi mediatici di ampia diffusione, poiché il gruppo stegocratico non lo permetterebbe, sapendo che un personaggio indipendente non si autocensurerebbe e dunque potrebbe parlare di argomenti “scomodi” ad un vasto pubblico. Tale pericolo è attualmente scongiurato dal controllo pressoché totale dei media da parte del gruppo dominante.
Attraverso le tecniche mediatiche elaborate da esperti psicologi e sociologi, si induce uno stato di dipendenza e degrado senza che le vittime ne abbiano alcuna consapevolezza. Come ebbe a dire Alexis de Toqueville, “"Se un potere dispotico s'insediasse nei paesi democratici, esso avrebbe certo caratteristiche diverse che nel passato: sarebbe più esteso ma più sopportabile, e degraderebbe gli uomini senza tormentarli".

Ovviamente, l’elevato potere dei mass media è garantito dall’assenza di un vero pluralismo nell’informazione, poiché se vi fossero più voci l’effetto condizionante sarebbe relativo.
Per questo motivo, il gruppo al potere vuole controllare ogni canale mediatico che raggiunge un numero elevato di persone, e fa in modo che abbiano potere soltanto quelle persone che appoggiano pienamente il sistema. Come molti sanno, Silvio Berlusconi ha avuto un ruolo importantissimo per il controllo delle emittenti private, e coloro che avrebbero potuto inserire canali non controllati sono stati estromessi. Ad esempio, c’è la vicenda controversa di Vittorio Cecchi Gori, che da recente è stato arrestato per bancarotta. Occorre tenere presente che nell’attuale sistema le banche hanno il potere di trascinare alla rovina praticamente quasi tutte le aziende, e talvolta ciò viene fatto quando le persone intendono procedere in modo autonomo, potendo produrre effetti che non sono quelli che il gruppo dominante si auspica. I commentatori hanno scritto “a seguito di comportamenti ostili da parte del sistema finanziario” per spiegare il fallimento di alcune grandi società italiane specie dagli anni Ottanta e Novanta. La verità è che l’assetto economico-finanziario attuale è congegnato in modo tale da poter mettere fuori gioco tutti coloro che potrebbero voler realizzare risultati diversi da quelli previsti dagli stegocrati. Quasi tutte le aziende italiane sono indebitate con le banche, e qualora queste dovessero decidere di esigere immediatamente il prestito, l’azienda inevitabilmente farebbe bancarotta. Oggi il successo di un’azienda si misura soprattutto dal suo accesso al credito bancario e dall’immagine mediatica che viene creata (se è quotata in borsa questo aspetto sarà fondamentale). Entrambi gli aspetti sono sotto il potere del gruppo dominante. Ovviamente, anche nel settore mediatico tutto dipende dai finanziamenti forniti dalle banche. Osserva lo scrittore Giuliano Vigini: “La linea di demarcazione tra un editore e l’altro non è, a conti fatti, la sua dimensione aziendale o la consistenza del suo fatturato: il vero spartiacque è tra chi ha i soldi e chi non li ha, tra chi ha la possibilità di accesso al credito e chi, non potendo dare garanzie patrimoniali, non riesce ad ottenerlo, tra chi può rischiare un salto produttivo e aziendale per ritagliarsi altri spazi di mercato e chi, invece, è costretto a rimanere nei propri confini di operatività, vivendo alla giornata. … Se all’inizio degli anni settanta si poteva ancora intraprendere un’attività culturale con investimenti abbastanza limitati, nella situazione attuale è difficile poterla esercitare con profitto senza disporre di somme consistenti”.(9)
Ciò implica la possibilità, da parte dei banchieri, di controllare quasi tutta l’editoria, oltre che altre produzioni mediatiche. Da questo assunto si può dedurre ogni spiegazione circa chi ha successo e chi invece no, chi va avanti e chi viene intralciato.
Cecchi Gori intendeva trasformare La7, nata nel 2001 da Telemontecarlo, in una Tv “per le famiglie”, ad intendere che la volgarità e le produzioni violente sarebbero state limitate a favore delle produzioni sportive e culturali. Non si trattava certo di risultati rivoluzionari, è risaputo che Cecchi Gori non è mai stato un anti-sistema, ma si trattava comunque di mantenere una certa indipendenza rispetto al controllo stegocratico, e ciò appariva inaccettabile. In altre parole, poteva nascere una TV con una certa autonomia, ma ciò non è stato permesso.

La rottura del monopolio Rai è servita ad introdurre contenuti accattivanti, per creare una realtà fittizia fatta di donne seminude sculettanti, quiz demenziali e produzioni di basso livello. L’obiettivo era quello di offrire un modo superficiale e immediato di intendere la vita, dando spazio agli aspetti più superficiali della realtà, come l’ammiccamento sessuale o il miraggio del facile guadagno. Non si voleva di certo creare un vero pluralismo mediatico, e con la legge Mammì 223/90, il monopolio diventerà duopolio. C’era l’intento di livellare tutto verso il basso, e dunque di evitare che potesse esistere una Tv che proponesse contenuti realmente pluralistici, ed escludesse (o diminuisse) quelli utili a rimbecillire le masse.
Telemontecarlo (TMC) viene ufficialmente acquistata, nell'agosto 2000, dal gruppo Seat Pagine Gialle, che era controllato da Telecom Italia. C’era un progetto preciso che porterà alla creazione di La7, che inizierà le proprie trasmissioni il 24 giugno 2001.
Il progetto della nuova TV prevedeva di creare un “terzo polo”, assai diverso da quello che offriva il duopolio, offrendo film di qualità, molto sport e cultura.

Vittorio Cecchi Gori lamenta di aver subito una sorta di “espropriazione” della Tv: "Siamo sempre rimasti in possesso del 75% di Tmc-La7, visto che non ci hanno pagato".(10) Egli ha denunciato comportamenti illegali attuati da Seat e dagli amministratori di sua designazione operanti nella Cecchi Gori Communications, per estrometterlo con successo come socio di maggioranza.
L’acquisizione di Cecchi Gori Communications da parte di Telecom, proprietaria della maggioranza di Seat, avrebbe dunque aspetti poco chiari.
All’epoca Telecom controllava il 63.3% di Seat, e a sua volta Telecom era controllata dal Gruppo Olivetti, il quale deteneva una partecipazione del 55% attraverso la Tecnost Spa.
Il 17 gennaio 2001, l’Autorità delle Comunicazioni si pronunciò contro l’autorizzazione all’operazione di acquisizione della TV perché, in base all’articolo 4, comma 8, della “legge Maccanico”, Telecom non poteva entrare nel settore televisivo in quanto aveva una posizione dominante sul mercato.
Intanto Vittorio Cecchi Gori presentò richiesta di annullamento del contratto di compravendita, ma sia il tribunale civile che il Consiglio di Stato gli negarono la richiesta.
Nonostante la decisione dell’Autorità delle Comunicazioni, attraverso il provvedimento numero 9142 del 23 gennaio 2001 l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) notificò che l’operazione poteva essere avviata non contrastava con la normativa antitrust italiana.
Di fatto, anziché proporre qualcosa di nuovo rispetto ai canali del duopolio, La7 diventò un canale assai simile agli altri, e come direttore fu scelto l’ex direttore di Italia 1 Roberto Giovalli. I programmi trasmessi sono prodotti dalle stesse società (come Magnolia) che producono programmi sulle altre reti, e i personaggi che figurano sono tutti ben integrati nel sistema. L’unico personaggio di spettacolo autenticamente “deviante” rispetto al sistema era Daniele Luttazzi, che nel dicembre 2007 è stato cacciato.
Diversi lavoratori furono licenziati alcuni mesi dopo l’acquisto da parte di Telecom. Scrive Tiziana Nicolini a nome di un gruppo di persone che lavoravano per La7, nel novembre del 2002:
“Televisione LA7... sta vivendo un momento di grande difficoltà e dolore anche perché oltre ad essere brutalmente sbattuti in mezzo alla strada, nonostante l'impegno che in tutti questi anni e in mezzo a tutte le difficoltà affrontate, si vedono scaricati dai colleghi "più fortunati"che, per paura di essere ugualmente cacciati, si parano il culo e nascondono la testa sotto la sabbia”.(11)
Furono licenziate almeno una settantina di persone, e la Concessionaria di Pubblicità fu smantellata per far posto a persone di fiducia, alcune provenienti dalle reti di Berlusconi.
Oggi le società che producono i programmi televisivi più seguiti sono sotto il controllo delle stesse persone che hanno potere mediatico, finanziario ed economico. Ad esempio, il gruppo De Agostini è un’holding che ha il controllo di Magnolia, oltre che di almeno novanta altre società internazionali. Il controllo dell’altra importante società di produzioni mediatiche, la Endemol, è oggi di Mediaset. Secondo il "Sole 24 Ore" l’acquisizione sarebbe stata promossa dalle banche d’affari: “le banche d'affari sono già al lavoro per un eventuale affiancamento del gruppo televisivo: sul tavolo c'è l'ipotesi di un maxi-prestito sindacato da 2,5 miliardi, ossia l'intero ammontare della capitalizzazione di Endemol”.(12)

Per capire le possibili insidie mediatiche occorrerebbe tener presente che tutti i personaggi mediatici sono immagini, costruzioni, non sappiamo fino a che punto vere. Dato che i media di massa sono controllati dal gruppo stegocratico, non è pensabile che tale gruppo abbia interesse a dare il benché minimo spazio a chi si oppone al sistema. D’altronde, occorre tener presente che se fosse troppo evidente che i media sono tutti controllati, le persone svilupperebbero un senso di estraneità eccessivo, che minerebbe il sistema alla radice, sottraendo pericolosamente consenso. Per questo motivo i media appaiono spesso come “neutri”, oppure danno spazio a persone che apparentemente si ergono a critici del sistema, dando un senso di pluralismo e di fiducia. Queste persone sono indispensabili al sistema, ancora di più di quelli palesemente sottomessi, che suscitano sospetto e diffidenza. Ovviamente, i personaggi che criticano e denunciano, non toccheranno mai le pietre miliari su cui si basa il sistema, limitandosi a toccare argomenti dettagliati, relativi all’assurdità del momento, alle beghe politiche, ecc.
Per misurare il grado di onestà di un personaggio mediatico bisognerebbe chiedersi: “Chi lo paga?”, “Cosa dice e cosa non dice?”, “In quali canali mediatici viene ospitato?”, “Da chi e in che modo viene “promosso?", "Può un giornalista onesto ignorare ogni riferimento storico e dare le notizie in modo slegato dal contesto storico ed economico?"
Oggi esistono diversi giornalisti molto preparati sotto tanti punti di vista, ma nel contesto mediatico attuale essi vengono tenuti fuori, oppure alcuni di essi vengono limitati nelle loro potenzialità, essendo controllati dall’alto e spesso censurati. (vedi a questo proposito il video: http://www.youtube.com/watch?v=eRwIxlcE2xY)
Viceversa, esistono altri giornalisti ben inseriti nel sistema, che però intendono suscitare fiducia e si comportano come se non vi appartenessero.
Tali personaggi potranno addirittura anche inscenare una loro possibile estraneità al sistema mediatico, lamentando poco spazio oppure tentativi di censura, ma di fatto persino queste loro lamentele godranno di spazio mediatico, mentre i veri esclusi dai media (ad esempio, le persone che lottano per una causa che è contro il sistema, i precari, i centri sociali, le associazioni di lotta per i diritti, gli emarginati, i giovani, i dissidenti, i giornalisti indipendenti, ecc.) non avranno spazio né per le lamentele, né, men che meno, per le proprie istanze.
A questo proposito, Mininni parla di “credibilità costruita”, ad intendere il potere mediatico di convincere circa la buona fede di un personaggio, curandosi al contempo di controllare tale personaggio affinché operi all’interno del sistema e, in ultima analisi, nonostante le apparenze, per il sistema. Scrive Mininni:
“L’enorme potere dei media risiede nella loro capacità di costruire e diffondere rappresentazioni almeno temporaneamente e parzialmente condivise… (esistono) strategie interpretative degli eventi… tese ad una continua e reciproca risaintonizzazione fra bisogni del lettore e programmi dell’enunciatore…La spettacolarizzazione della politica ha rarefatto la disponibilità di un’informazione seria… I media plasmano le identità personali perché essi sono potenti amplificatori delle capacità umane di sperimentare il mondo e di imbastire rapporti sociali… I media si trasformano in strumenti di dominio, alienando la loro natura di artefatti culturali a gestione condivisa in quella di aziende immateriali asservite all’esercizio di un potere divenuto insensibile ai presupposti della giustizia e della solidarietà”.

Per concludere, osserviamo la complessità e il grado di potere manipolatorio che oggi hanno raggiunto i mass media, grazie agli immensi investimenti che gli stegocrati fanno per scoprire sempre nuovi metodi efficaci a condizionare le menti e il comportamento delle persone. L’unico modo per rendersi sempre meno condizionabili è quello di diventare coscienti dell’esistenza di queste insidie, facendo atto di umiltà nel ritenersi, come tutti, influenzabili.




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NOTE

1) Riesman David, “La follia solitaria”, Ed. Il Mulino, Bologna 1967, cit. Packard Vance, “I persuasori occulti”, Einaudi 1958, p. 196.
2) Capuano Gloria, “Progetto Informazione per creare un giornalismo di pace”, Edizioni per scuole e Università, Roma 1995, pp. 12-42.
3) Packard Vance, op. cit., p. 215.
4) Packard Vance, op. cit., p. 219.
5) Packard Vance, op. cit., p. 233.
6) Mininni Giuseppe, “Psicologia e media”, Laterza, Bari 2004, p. 27.
7) Mininni Giuseppe, “Psicologia e media”, Laterza, Bari 2004, pp. 28-29.
8) Rapporto Drummond 1935, cit. in Palla Marco, "Il fronte italiano della guerra d'Etiopia. Aspetti e problemi dalle fonti diplomatiche britanniche", Del Boca Angelo (a cura di), Le guerre coloniali del fascismo, Laterza, Roma-Bari, 1991, p. 439.
9) Vigini Giuliano, “L’Italia del Libro”, Milano, Bibliografica, 1990.
10) http://www.rainews24.rai.it/Notizia.asp?NewsID=13914
11) http://digilander.libero.it/mel_ba/blog/la7_1.htm
12) http://www.key4biz.it/News/2007/02/20/Contenuti/Endemol_fa_ancora_discutere_rest
13) Mininni Giuseppe, “Psicologia e media”, Laterza, Bari 2004, pp. 63-140.


BIBLIOGRAFIA

Capuano Gloria, “Progetto Informazione per creare un giornalismo di pace”, Edizioni per scuole e Università, Roma 1995.
Mininni Giuseppe, “Psicologia e media”, Laterza, Bari 2004
Packard Vance, “I persuasori occulti”, 1958, Einaudi.
Pratkanis Antony R., Aronson Elliot, “L’età della propaganda”, Il Mulino, Bologna 2003.

sabato

I MESSAGGI DEL POTERE

Di Antonella Randazzo


Per capire meglio la realtà in cui viviamo, di tanto in tanto, valutando l’operato delle autorità occidentali, occorrerebbe chiedersi: “Cosa ci vogliono dire con questo?”
Infatti, difficilmente le scelte delle autorità sono casuali o prive di significato in ordine al potere e al consolidamento del sistema.

Ad esempio, la questione delle impronte digitali non è certo casuale o di poco conto. Attraverso di essa le autorità ci vogliono comunicare che siamo tutti “schedabili”, tutti controllabili. Andare a farsi prendere l’impronta è di per sé un fatto umiliante. Immaginate di recarvi all’Ufficio anagrafe e di dover bagnare il dito nell’inchiostro per rilasciare l’impronta. Come vi sentite? Vi sentite cittadini sovrani o piuttosto sudditi che devono essere schedati? Vi sentite che le istituzioni rispecchiano voi stessi o piuttosto sentite il peso del potere?
Rispondendo a queste domande si può capire come il potere può dare messaggi in modo indiretto ma efficace.
Questo avviene spesso, e talvolta in modo assai più tragico. Ad esempio, andando indietro nel tempo possiamo considerare un fatto tremendo accaduto in Cile nel 1973.

Nel settembre del 1970, Salvator Allende vinse le elezioni presidenziali, e il popolo cileno festeggiò a lungo, nella certezza che il nuovo presidente avrebbe attuato una svolta democratica e un vero sviluppo economico.
Si trattava di un periodo storico per molti aspetti straordinario: da alcuni anni, per la prima volta nella Storia erano nati molti movimenti di lotta per i diritti civili, e le dittature, come gli interventi armati statunitensi, apparivano fatti inaccettabili.

I movimenti e le pressioni popolari al cambiamento furono così forti che portarono, nel 1964, all'abolizione della legge del 1798 chiamata "Sediction Act", che impediva la libertà di opinione o di parola attraverso l'accusa generica di "sedizione". Da quell'anno diventò possibile esprimere la propria opinione liberamente, e sollevare critiche verso il sistema. In quegli anni furono molte le manifestazioni e le proteste contro guerre, dittature e i vari crimini attuati dal gruppo dominante.

La svolta politica cilena aveva alimentato le speranze di gettare nel passato i sistemi dittatoriali, costruendo assetti realmente favorevoli ai popoli. Si trattava di un fatto che dunque aveva avuto un valore mondiale, a tal punto che milioni di persone, specie in Europa e in America, seguirono i fatti cileni con trepidazione.

Ma le autorità statunitensi preparavano l'ennesimo piano per distruggere tempestivamente un’altra possibile democrazia sudamericana. Il presidente Richard Nixon, con Henry Kissinger e l’allora direttore della Cia Richard Helms, preparò il piano “Track II”, per corrompere politici, deputati e generali, per creare disordine e per assassinare chi si rifiutava di sostenere i golpisti. Nel 1973, come prevedeva il piano, il Cile fu gettato nel caos, e destabilizzato attraverso scioperi, manifestazioni e una notevole propaganda antigovernativa.
Allende aveva migliorato la condizione economica del paese, nazionalizzando le risorse (rame, salnitro, ferro), le banche e la Itt, la compagnia telefonica statunitense, scatenando le ire delle autorità di Washington, che dunque volevano abbattere il governo ad ogni costo.
L’11 settembre del 1973 fu attuato il colpo di stato, che porterà al potere il generale Augusto Pinochet. Il giorno del golpe, Allende si presentò per l’ultima volta al balcone del Palazzo de la Moneda, e manifestò tutta la sua amarezza verso “coloro che ricorrono alla forza invece che alla ragione”.(1) Il Palazzo presidenziale fu circondato da carri armati e bombardato, mentre Allende, a detta di un testimone, si sparava con un fucile.
Le autorità statunitensi sapevano che il Cile di Allende era servito ad innescare un meccanismo di grande sviluppo democratico e per questo fu progettato un evento di notevole ferocia. Alcune scene tragiche del colpo di Stato cileno furono trasmesse per televisione a milioni di persone, per privarle di botto della speranza nel cambiamento, e per far capire che la legge del più forte continuava ad imperare.

Nonostante i giornalisti fossero impediti dal dare una giusta informazione (diversi furono arrestati o uccisi), fu permesso a milioni di persone di vedere praticamente in diretta il crollo drammatico delle migliori speranze di libertà che un popolo sudamericano aveva nutrito, dando linfa vitale a tutti i popoli del mondo.
La Cia pianificò tutto nei minimi particolari, compresa la trasmissione televisiva delle scene più sconcertanti, come il bombardamento del palazzo presidenziale, il palazzo della Moneda. Questo dimostra che gli stegocrati non vogliono sempre nascondere i crimini, ma esigono il potere di mostrarli come e quando vogliono, curandosi che l’informazione possa andare comunque a vantaggio del loro dominio.
“Il presidente” – racconterà anni dopo nel suo libro di memorie l’allora direttore della Cia Richard Helms – “mi ordinò di preparare un golpe militare in Cile, un Paese fino a quel momento democratico”.
I militari occuparono il paese e decretarono lo stato di guerra, che era guerra contro l'intera popolazione. I giornali furono quasi tutti chiusi e molti direttori furono uccisi. Tutto il mondo, che aveva guardato al Cile di Allende con molto favore, vide crollare le speranze di un mondo migliore, e molti seguirono gli eventi con grande costernazione.
Amnesty International poté constatare gli orrori che il popolo cileno dovette subire a causa della repressione militare. Lo stadio di Santiago diventò un immenso campo di sterminio, con migliaia di persone orrendamente uccise e mutilate. La Commissione interamericana per i diritti umani dell’Osa denunciò torture fisiche e psicologiche attuate con indicibile sadismo. Furono uccise persone che simboleggiavano le speranze di un mondo migliore, come ad esempio Victor Jara, uno dei cantanti del gruppo simbolo del "nuovo Cile", che fu torturato e a cui furono spezzate le mani, in segno di spregio, prima di ucciderlo. Egli aveva cantato bellissime canzoni contro la guerra e per la democrazia, come "Vientos del pueblo".
Secondo Paolo Hutter, militante politico italiano che si trovava in Cile in quei giorni e fu arrestato, si trattò di un’”enorme macchina per spaventare la gente”.(2)
Negli anni successivi, centinaia di migliaia di persone inermi, studenti, donne e lavoratori, anche senza militare in una precisa formazione politica, furono fatti “sparire”, facendo coniare la tragica parola "desaparecido".
Le autorità statunitensi sapevano che tutto questo sarebbe stato devastante per la fiducia nella libertà che era stata alimentata da Allende e da altri come lui.
Il messaggio del potere era: non ti illudere, anche se esistono persone realmente oneste e capaci di istituire sistemi democratici, puoi adesso vedere con i tuoi occhi che questo non ha alcun effetto concreto nella realtà. Devi convincerti che trionfa il dittatore e non la persona integra.
In ultima analisi, in questo caso le comunicazioni del potere mirarono a far credere di essere impotenti e a minare la fiducia in un futuro migliore e nell’umanità.

Ciò testimonia, se ce ne fosse bisogno, che il potere degli attuali stegocrati si basa, oltre che sul crimine e sul controllo finanziario, anche sulla prevenzione delle lotte per la libertà e su una serie di comunicazioni, dirette e indirette, volte a far accettare il sistema come immodificabile e a minare la fiducia in se stessi e negli altri.
Le comunicazioni del potere mirano dunque a far accettare tutti gli aspetti del sistema e a trasmettere l’idea che non può essere che così.

Oggi, attraverso messaggi sul “terrorismo” ci trasmettono un forte senso di paura e di insicurezza.
Le autorità occidentali tendono sempre più ad accrescere il senso di panico: il “nemico" viene descritto così disumano, irrazionale, preda del “male”. Ma il punto principale è che la definizione di “terrorista” è suscettibile di estensioni assai ampie, a tal punto che senza saperlo e senza aver commesso alcun reato, nella definizione potreste rientrarvi anche voi.
Infatti, i nemici elencati da Bush sono: I tiranni, i terroristi, chi si arma, chi non condivide la cultura americana, chi aiuta i terroristi e chi non riconosce i principi posti dal governo. Questi nemici, come dichiara Bush, saranno combattuti con ogni mezzo possibile. Egli dice:

(...) Gli Stati Uniti d'America sono in guerra contro il terrorismo globale. Il nemico non è un singolo regime politico, o un'unica persona, o una particolare religione o ideologia. Il nemico è il terrorismo: la violenza premeditata, politicamente motivata e perpetrata ai danni di innocenti.
(...) In molte regioni, risentimenti pure legittimi impediscono l'emergere di una pace duratura. Tali risentimenti meritano di essere e devono essere risolti all'interno di un processo politico. Ma nessuna causa giustifica il terrorismo. Gli Stati Uniti non faranno concessioni alle richieste dei terroristi e non scenderanno a patti con essi. Non facciamo distinzione tra terroristi e persone che consapevolmente li ospitano o li aiutano. La nostra priorità sarà innanzitutto sgominare e distruggere le organizzazioni terroristiche globali e attaccare la loro leadership, le loro centrali di comando, di controllo e di comunicazione, il loro sostegno materiale e le loro finanze. Queste operazioni avranno un effetto devastante sulle capacità di pianificazione e di azione da parte dei terroristi.
Continueremo inoltre a sollecitare i nostri partner regionali ad intraprendere azioni coordinate per isolare i terroristi. Quando la campagna regionale isolerà la minaccia ad un particolare Stato, faremo in modo che quest'ultimo abbia gli strumenti militari, legislativi, politici e finanziari per portare a termine il compito".(3)

Il nemico viene descritto dagli Usa con disgusto e disprezzo assoluto, egli viene identificato con la "bestia" biblica contro cui lottare senza pietà, dando un sapore mistico di lotta bene/male.
Il popolo americano, pur con molte perplessità, è stato trascinato in un nuovo vortice di guerre, in cui la lotta bene/male appare come inevitabile e necessaria per il trionfo del bene. Bush si erge a condottiero valoroso che guida l'America alla vittoria.

La comunicazione data attraverso il fenomeno del “terrorismo” è che non si deve attuare alcun cambiamento poiché le autorità occidentali hanno il compito di proteggere i popoli, e questi ultimi non possono fare a meno di questa protezione. Ma un altro importantissimo messaggio meno diretto è un messaggio di minaccia: stai attento a non mettere in discussione l’attuale sistema perché chi lo fa sarà considerato “terrorista” anche se non avrà ucciso nemmeno una mosca, e sarà perseguitato senza alcuna pietà.

Un altro esempio di comunicazione del potere lo troviamo nelle recenti notizie sui carnefici della caserma di Bolzaneto.
Al G8 del luglio 2001 furono organizzate le violenze durante le manifestazioni e nella caserma-lager di Bolzaneto. Nonostante le prove inoppugnabili delle violenze organizzate del bliz alla scuola Diaz, diversi media cercarono di creare confusione, facendo credere che si trattasse soltanto di poche decine di agenti, o che tutto fosse accaduto "per caso". Alcuni agenti furono "consigliati" di rispondere ai processi con frasi come "non ricordo", creando così un quadro poco chiaro degli eventi. Ma esistono prove schiaccianti sulla pianificazione dell'irruzione alla Diaz, che mostrano il fatto come un modo per seminare terrore e panico fra i ragazzi che avevano l'unica "colpa" di non condividere i crimini del sistema. Gli agenti della Digos avevano preparato prima due bottiglie molotov per far credere che fossero dei no-global violenti, e dunque giustificare le repressioni. Si tratta chiaramente di una confusione organizzata, con lo scopo di intimidire i dissidenti.

Diversi agenti si travestirono da Black Bloc allo scopo di creare confusione e giustificare le repressioni. Questo spiega come mai ai Black Bloc non fu impedito nulla, dalla parata con le bandiere nere alla distruzione di automobili e negozi. Soltanto pochissime decine di essi furono successivamente individuati.

Le violenze organizzate durante il G8 di Genova, furono ampiamente dirette anche contro i giornalisti, come testimoniano diversi filmati. Lo scopo era di intimidire e di impedire la documentazione precisa degli eventi. Persino il quotidiano "Il Corriere Mercantile", fu chiuso e i locali furono perquisiti dagli agenti della Digos. La "colpa" era sempre relativa al pericolo che si raccontassero fatti scomodi.
Nel carcere provvisorio di Bolzaneto le persone arrestate furono massacrate di botte, minacciate di morte, di stupro o costrette a fare il saluto fascista e a subire diverse altre umiliazioni. I il dottor Giacomo Toccafondi ha attuato comportamenti contrari all'ordinamento penitenziario e alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Egli è accusato di aver trattato in modo disumano e degradante, eppure è ancora al suo posto, e lavora come aiuto chirurgo all’ospedale di Pontedecimo gestito dalla Asl n. 3 di Genova. Svolge anche la mansione di direttore sanitario nel carcere femminile di Pontedecimo. Un suo infermiere, Marco Poggi, intervistato da "Peacereporter", raccontò il comportamento che il Toccafondi riservò alle persone portate a Bolzaneto:

"Il medico era quasi sempre vestito con tuta mimetica, con una maglietta blu con scritto 'Polizia penitenziaria'. Io, in tanti anni, non ho mai visto un medico prendere servizio con la mimetica. Non aveva l'atteggiamento che dovrebbe tenere un medico in quelle circostanze, e cioè di mettere a proprio agio i pazienti, specie i traumatizzati. Aveva un modo di fare spavaldo. Diceva ai giovani manifestanti: 'Te lo dò io il Che Guevara', 'Sento puzza di comunismo', oppure 'Sei un brigatista'. Era un esaltato, uno che si sentiva onnipotente. Toccafondi aveva messo da parte alcuni oggetti dei manifestanti. Disse che erano 'trofei'. Si vantava anche dei trofei che aveva raccolto in Bosnia, e che conservava in un sacchetto. Un comportamento e un linguaggio che denunciano uno scarso rispetto della dignità umana. Nella mia decennale esperienza, sia in carcere che in manicomio, non ho mai visto un comportamento così. Mi ha segnato. E se ha segnato me, pensi quei poveri ragazzi, che arrivavano in infermeria feriti e terrorizzati". Cosa si aspetta dalla giustizia? "Per me, sinceramente, niente. Mi aspetto che ci sia giustizia per i ragazzi". Secondo lei il dottor Toccafondi è colpevole?. "Senza il minimo dubbio".(4)


Addirittura alcuni poliziotti incriminati sono stati promossi di grado, ad esempio Alessandro Perugini (lavora alla Digos genovese) e Alessandro Canterini. Quest’ultimo è uno dei responsabili del massacro alla Diaz.
Nonostante fosse possibile provare chi aveva voluto creare un clima di repressione, e chi era responsabile dei fatti violenti avvenuti alla Bolzaneto e alla Diaz, la giustizia non è stata fatta.
La comunicazione che viene data attraverso questi fatti è che persone che rappresentano lo Stato possono commettere impunemente (o quasi) ogni genere di violenza, e i cittadini devono (volente o nolente) accettarlo. Si afferma l’idea della violenza di Stato come evento “normale”, che può avvenire qualora le autorità decidessero. Questo rivela in modo chiaro che ci troviamo in una dittatura mascherata da democrazia. Infatti è proprio nelle dittature che il cittadino viene schedato e si trova costretto a subire violenza proveniente dalle istituzioni, senza poter far nulla per opporvisi.
Riconoscere i messaggi diretti e indiretti dell’attuale sistema di potere dittatoriale significa poter comprendere la portata distruttiva di tali messaggi, e reagire costruttivamente. Significa comprendere che se le autorità hanno bisogno di impartire tali “lezioni” significa che il loro potere potrebbe vacillare, qualora i cittadini cessassero di essere inclini alla loro manipolazione mentale.
Infatti, è proprio sulla manipolazione dell’opinione pubblica che si basa l’attuale sistema. La verità è che non siamo obbligati a tenerci un potere dittatoriale, il fascismo del passato è crollato, proprio quando le persone hanno capito cos’era veramente, e potrebbe crollare anche quello di oggi.
Se ogni persona decidesse di liberarsi davvero dal condizionamento e lavorasse in tal senso, il sistema potrebbe crollare come un castello di carte.



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NOTE

1) Nieto Clara, “Gringos. Cento anni d'imperialismo in America Latina”, Nuovi Mondi Media, Bologna 2005, p. 285.
2) http://www.youtube.com/watch?v=T4qXEmbKDb0
Il video che riprende la trasmissione del golpe potete vederlo su:
http://www.youtube.com/watch?v=Sxfl-IAqIU4
3) Discorso di George Bush a Washington D.C. (The National Cathedral) il 14 settembre del 2001.
4) http://www.peacereporter.it/dettaglio_articolo.php?idart=8675

martedì

CASTRONERIE VARIE

Di Antonella Randazzo


Nel nostro paese esistono diversi personaggi che si ergono a denunciare gli aspetti più paradossali della nostra politica. Queste persone appaiono oneste e autorevoli, ma analizzando meglio i contenuti delle loro argomentazioni emerge che accanto a molte cose vere, ci sono anche contenuti mistificati, non detti o travisati. L’effetto è quello di far apparire il nostro paese peggiore di ciò che è, come se la classe politica rispecchiasse i cittadini. Inoltre, questi personaggi, facendo leva sulle naturali tendenze esterofile degli italiani, tendono a far apparire paesi stranieri, come gli Stati Uniti o altri paesi europei, come esempi da seguire.
Ad esempio, Marco Travaglio nella “Lezione di legalità dall’Albania” su Passaparola
( vedi http://www.youtube.com/watch?v=2sNxqXJZZYs&eurl=http://www.mentereale.com/)
denuncia le leggi inique e altre assurdità del governo italiano, ma non fa luce su tutta la verità circa la situazione del sistema.
Dice Travaglio:
"Furio Colombo ieri scriveva: ‘Nella campagna elettorale degli Stati Uniti, espressioni come ‘guerra fra politica e giustizia’ insomma le stupidaggini che scrivono i Panebianco, i Sergio Romano, gli Ostellino, i Galli Della Loggia, i Pierluigi Battisti, il plotone anti toghe del "Corriere della Sera" sono intraducibili. Sul "New York Times" non si riuscirebbe nemmeno a tradurli in lingua inglese. Infatti i due candidati dei grandi partiti americani che si fronteggiano alle elezioni non hanno alcuna posizione sulla giustizia salvo le garanzie e i diritti umani e civili di tutti i cittadini. Non l’hanno e non devono averla perché tutto è già stabilito dalla Costituzione Americana, e inoltre perché i candidati delle elezioni sono in corsa per ottenere il potere esecutivo, non il potere giudiziario. Quando il presidente e la signora Clinton sono finiti sotto inchiesta per bancarotta – su una piccola proprietà dell’Arkanso gestita insieme con soci infidi – l’America non si è fermata un istante. Non c’è stato alcun convegno… Il presidente… si è ben guardato dal denunciare persecuzioni. Eppure il procuratore che lo aveva convocato era Kenneth Starr, un esponente del partito repubblicano a lui avverso. Quando i Clinton sono poi stati assolti nessuno ha parlato di teorema svuotato come una bolla di sapone – come dice il portavoce di Berluscon Bonaiuti, a proposito dei processi di Berlusconi. Hanno semplicemente detto – i Clinton – ‘è finita bene’. Hanno ricominciato e sono stati sottoposti ad altre sette inchieste.”
Allora io e tre colleghi, Pino Corrias, Peter Gomez e Marco Lillo, abbiamo preparato questo libretto che esce oggi e si chiama “Bavaglio”… Ci siamo andati a studiare i sistemi stranieri perché quello che sta succedendo in Italia è talmente grave da richiedere un surplus di menzogna rispetto a quelle che ci vengono somministrate quotidianamente. Quindi ci stanno martellando sul fatto che in tutto il mondo c’è l’emergenza della guerra della magistratura contro la politica e all’estero i politici si mettono al riparo perché in tutto il mondo – ci dicono – ci sono il Lodo Alfano, il Lodo Schifani, … non c'è paese al mondo che conosca sistema d’immunità che ci stanno per regalare a rate prima per le quattro cariche – per le faccende urgenti – poi per tutti gli altri parlamentari come si vuole prevedere per la ripresa autunnale.
Cominciamo a vedere alcuni flash tratti dal libro. Il Parlamento Europeo dovrebbe essere il nostro punto di riferimento: al Parlamento europeo c’è una norma approvata l’anno scorso, una brutta norma che prevede che il Parlamento possa chiedere di sospendere qualche procedimento a carico di un europarlamentare. Questo non significa però che i processi ai parlamentari si bloccano autonomamente: deve intervenire il Parlamento per bloccarne uno. E quando lo può bloccare? Lo può bloccare, spiega il socialista tedesco Rothley che ha fatto da relatore a questa norma, quando ci siano dietro l’indagine sul parlamentare, azioni repressive arbitrarie e ostacoli frapposti dal potere esecutivo sul libero esercizio del mandato elettivo. Cosa vuol dire? Che se c’è una magistratura collegata al governo che vuol perseguitare un oppositore, allora il Parlamento europeo lo deve proteggere. Questo per quali paesi vale? Vale per quei paesi in cui la magistratura è il braccio operativo del governo, le procure sono dipendenti dal ministro della giustizia e quindi può capitare che qualche giudice particolarmente servile e zelante voglia addirittura colpire qualcuno soltanto perché si oppone al governo a cui è legato e nel quale vuole, magari, fare carriera.
Non è il nostro caso perché noi siamo l’unico paese al mondo che può vantare… una magistratura che non è collegata al governo. Tant’è che qui sono spessissimo membri del governo che chiedono protezione contro le indagini fatte dalla magistratura. Quindi accusano la magistratura di essere troppo indipendente dal governo, il sogno di tutti gli altri paesi democratici. L’immunità eiropea col sistema italiano non c’entra e mai può capitare che il governo usi un magistrato per colpire un oppositore… In Franci il parlamentare è un cittadino come un altro… L’unico tutelato è il Capo dello Stato… il che ha consentito a Chirac di non avere il processo durante la sua presidenza, ma appena uscito. Infatti è sotto processo, tra l’altro per una sciocchezzuola, per aver fatto assumere, quando era sindaco di Parigi alcuni impiegati che in realtà erano attivisti del suo partito. In pratica li pagava il comune ma lavoravano per il partito. Una cosa che accade in Italia comunemente… Vorrei concludere con un paese che sta diventando un faro di legalità e di eguaglianza dal quale prima o poi dovremo prendere anche noi: l’Albania. Nella Costituzione albanese… all’articolo 72 si legge: “Il mandato del deputato termina o è invalido…” e c’è una serie di casi in cui il parlamentare decade dal suo mandato. A, B, C, D, E, assenze, indennità varie, conflitti di interesse – ci sono persino i conflitti di interesse puniti in Albania! – e alla lettera F si dice che il deputato decade… speriamo che gli albanesi vengano presto a civilizzarci”.

Ma di quale paese parlano i vari Furio Colombo e Marco Travaglio?
Forse dovrebbero fare un ripassino di Storia per tener conto che il nostro paese è di fatto una colonia statunitense, occupato militarmente ed economicamente, e che le autorità occidentali (europee o statunitensi) non possono dare alcuna lezione di civiltà né agli italiani né ad altri. I genocidi commessi da queste persone presentate da Colombo come “a modo”, non si contano.
Si utilizza il pretesto delle leggi inique proposte da questo governo per esaltare un’improbabile “civiltà” degli ex presidenti statunitensi e si citano da esempio paesi come l’Albania.
Va benissimo l’ironia di Travaglio, ma, attenzione, dire che alcuni fenomeni iniqui e illegali siano “sciocchezzuole” soltanto perché il sistema attuale ci costringe a subirli è una cosa moralmente gravissima. La corruzione, il conflitto di interessi, il clientelismo, l’assumere personale di partito e farlo pagare ai cittadini sono fenomeni assai gravi, e non bisogna minimizzarli. Da ciò possono derivare altri fenomeni, come le persecuzioni ai lavoratori statali per costringerli al prepensionamento per assumere personale di “partito”, oppure la creazione di società pseudo-statali per poter assumere personale che lavora per il gruppo politico.
Questi fenomeni, caro Travaglio, non vanno banalizzati soltanto perché il sistema attuale, basato proprio sulla corruzione e sulla mafia, li vuole spacciare come “normali” o inevitabili.
Personaggi come Travaglio e Colombo denunciano la corruzione di Berlusconi ma tendono a giustificare altri fenomeni altrettanto gravi per far ingoiare il “rospo” ai cittadini italiani. I loro argomenti tendono a far apparire l’Italia come il paese peggiore del mondo, e addirittura prendono a baluardo paesi come gli Stati Uniti e l’Albania.
Ricordiamo che il presidente Clinton, mostrato tanto pacato e rispettoso della giustizia, è un criminale contro l’umanità, come tutti i presidenti statunitensi e molte autorità europee. Egli approvò nel 1996, la "deregulation", una legge che rese possibile grandi concentrazioni di proprietà nel settore delle comunicazioni, rendendo impossibile una vera democrazia, dato che oramai le stesse persone controllavano un numero enorme di mass media. Ad esempio, la Clear Channel Communications è diventata la più grande proprietaria di stazioni radio degli Usa. Gestisce ben 1.233 emittenti che trasmettono nei 50 Stati del paese, ed è seguita da più di 100 milioni di americani. La Clear Channel Communications è un'enorme piattaforma propagandistica a favore del governo americano. Trasmette moltissimi programmi patriottici a favore della guerra in Iraq e a favore delle politiche degli ultraconservatori.
Clinton, come altri presidenti statunitensi, ha dato prova molte volte di essere contrario alla democrazia e favorevole a sistemi dittatoriali. Ad esempio, egli creò uno stretto rapporto con l’allora presidente russo Boris Eltsin, a tal punto che i due ormai agivano in perfetta armonia. Le scelte dittatoriali di Eltsin erano non soltanto approvate dagli Usa, ma auspicate e suggerite. E quando Eltsin decise di utilizzare le maniere forti per rafforzare il suo potere, i potenti di Washington lo appoggiarono decisamente. Il 3 ottobre del 1993 il Parlamento russo venne preso a cannonate, a significare che una "nuova era" stava sorgendo nel paese. Un'era di prepotenze, di saccheggi, di corruzione e di grave impoverimento per il popolo. Secondo stime in difetto, i morti del bombardamento del Parlamento furono almeno un centinaio.
Nel 1994, Clinton impedì che l'Onu mandasse le forze di pace per contrastare il genocidio in Rwanda. Il giornalista David Corn scrisse:
“Bill Clinton e la sua amministrazione hanno reso possibile il genocidio di 500.000/800.000 ruandesi nel 1994. Negando ogni responsabilità e senza un briciolo di vergogna, l'amministrazione Clinton si è rifiutata di muovere un dito per evitare il genocidio in Ruanda”.(1)

Inoltre, egli, il 20 agosto del 1998 fece bombardare la parte Nord-est dell'Afghanistan, dicendo che lì c'erano i campi di addestramento di Osama Bin Laden. Ma le vittime, 21 morti e trenta feriti, erano tutte afghane e pachistane.
Nel 2000, Clinton chiese l'inasprimento delle sanzioni contro l’Afghanistan, in vista di una futura nuova invasione. Le sanzioni furono confermate da Bush junior, nel gennaio del 2001, e provocarono la morte di centinaia di persone, soprattutto vecchi e bambini.
Questi e altri crimini di cui Clinton è responsabile sono ormai tristemente noti, ma sembra che né Colombo né Travaglio ne abbiano notizia, dato che parlano di Clinton e del sistema statunitense come di un esempio per noi tutti.
Denunciare la corruzione imperante oggi in Italia senza rivelare chi sono coloro che garantiscono e proteggono tale sistema, anzi, addirittura elevare queste stesse persone ad esempio, è ripugnante. Specie se questi giornalisti italiani suscitano fiducia e hanno ampio spazio mediatico, al contrario di quelli che la verità la dicono per intero.

Il sistema giudiziario statunitense è assai diverso rispetto a quello italiano, e molto più sottomesso al sistema. Le persecuzioni giudiziarie subite da Clinton derivavano da personaggi del sistema stesso, con l’obiettivo di limitare l’operato del presidente, specie negli anni in cui egli aveva come consigliere l’economista Joseph Stigliz, che cercò di attuare una politica più favorevole ad un vero sviluppo economico, naturalmente avversata dagli altri. Non si trattava dunque di giudici veramente indipendenti dal sistema, che avevano l’intento di fare il proprio dovere, ma di uso strumentale della giustizia, molto comune negli Stati Uniti, anche se i vari Colombo sembrano non accorgersene.

In Italia abbiamo vari casi di giudici davvero indipendenti, come la Forleo e De Magistris, che fanno paura alle autorità statunitensi perché tendono a rivelare ciò che il sistema è alla radice, ovvero le tecniche di corruzione, massoniche e mafiose.
Dunque, la magistratura è diventata un problema per i politici italiani non già soltanto per esigenze di Berlusconi, ma per la protezione dell’intero apparato di potere, e tale situazione non è da considerare avulsa rispetto alla morsa del potere statunitense, che non ci lascia mai, ed è alla base del fenomeno massonico e di quello mafioso.
E’ ovvio che dietro ogni corrotto c’è un corruttore. E se la nostra attuale classe politica è corrotta significa che qualcuno con un notevole potere finanziario, economico e mediatico ha scelto di imporre tale sistema controllando dall’alto i partiti e decidendo le candidature politiche. Questo è ovvio, eppure i vari Travaglio e Colombo non lo notano, e si prodigano a criticare l’operato del governo senza scoperchiare gli altarini alle autorità statunitensi. Anzi, curandosi di far apparire queste ultime di gran lunga migliori di ciò che sono.
Occorre ricordare a Travaglio, brevemente, che anche la nostra Costituzione ha conservato una certa qualità, e che l’Albania, negli ultimi decenni è un paese devastato dalla mafia e dalla corruzione.
Prendere ad esempio l’Albania soltanto perché un articolo della loro costituzione è ben fatto significa dare uno schiaffo morale al popolo albanese (oltre che a quello italiano), che negli ultimi anni più volte ha protestato contro la miseria e il potere mafioso, che rendono questo paese oggi assai simile al nostro Sud.
L’Albania è uno dei paesi in cui maggiormente i vertici politici sono corrotti e si ergono a proteggere la mafia (come le nostre autorità).
Specie dal 1991, i traffici illeciti sono lievitati e la corruzione ha dilagato. L’idea del guadagno facile ha creato una realtà di corruzione e altri crimini. Le autorità occidentali, proteggendo traffici mafiosi e cercando possibilità di sfruttamento di risorse e persone, hanno rafforzato tale sistema, scatenando le proteste del popolo. Nel 2000, in una statistica fatta da Transparency International sulla percezione che i cittadini hanno del grado di corruzione nel paese, l'Albania era all'84° posto fra 99 paesi.
In Albania, le accuse di corruzione hanno riguardato quasi tutti i personaggi politici più importanti, compreso il presidente. Le condanne sono state pochissime, e molti personaggi sono rimasti al loro posto. Per questo motivo i cittadini albanesi hanno alimentato sfiducia nel sistema giudiziario. In realtà c’è stata, nel periodo 1994-95, un’”epurazione” con cui il governo Berisha si sbarazzò dei magistrati più indipendenti, accusandoli di essere “oppositori” e sostituendoli con giovani laureati disposti a sottomettersi al governo. Ciò produsse l'effetto di rendere il sistema giudiziario albanese inefficiente e facilmente manipolabile dal governo.
Ma questo Travaglio sembra non saperlo, e ci vuole far credere che un paese con tali caratteristiche possa costituire un esempio per noi, che invece qualche magistrato onesto ancora lo abbiamo.

Travaglio e Colombo, essendo persone molto conosciute e considerate autorevoli hanno una notevole responsabilità nell’informare gli italiani su ciò che succede in Italia e nel mondo. Dare un’informazione parziale, per non toccare chi il sistema lo ha creato e lo rafforza a suon di bombe, di corruzione, di mafia e di saccheggi, è gravemente immorale.
Chi non denuncia l’intero sistema, è complice di coloro che torturano e uccidono civili inermi per conservare il potere.
Far credere che i presidenti americani possano costituire un esempio e non raccontare la verità sul nostro paese e sui paesi esteri, rimanendo a denunciare soltanto le leggi inique che sono la punta dell’icesberg del sistema, significa fare male il proprio lavoro di scrittore e giornalista.
La verità prima o poi viene a galla, ma si ricorda che dovrebbero dirla (tutta) coloro che hanno ruoli mediatici, e non i piccoli blogger su Internet.



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NOTE

1) Censored 2000, cit. Graziano Walter, “Hitler ha vinto la guerra”, Arcana, Roma 2005, p. 124.

sabato

LA DISSIDENZA IGNORATA - Le capacità manipolatorie delle ideologie dominanti

Di Antonella Randazzo


E’ uscito in questi giorni il numero 6 di “Critica Sociale”, che riporta un saggio dello studioso Paolo Sensini, dal titolo “I due Sessantotto” (si può trovare nelle migliori librerie, come la Feltrinelli). Il saggio tratta la rappresentazione che i diversi gruppi della sinistra extraparlamentare ebbero sul dissenso nei paesi dell’Est europeo durante il periodo 1968-1977.
Si tratta senza dubbio di un lavoro assai utile per comprendere molte caratteristiche del periodo della Guerra Fredda, che possono, se comprese appieno, far capire meglio anche la realtà di oggi, negli aspetti relativi al potere dei partiti e ai metodi del sistema volti ad impedire una rappresentazione chiara e veritiera dei fatti che accadono nel nostro paese e altrove.

Il saggio di Paolo Sensini ha numerosi pregi: è basato sull’analisi obbiettiva delle pubblicazioni del Partito Comunista e dei gruppi extraparlamentari nel periodo 1968-1977, e svela impietosamente le carenze informative e le distorsioni ideologiche praticate in nome del “Partito”. Fatti come la Primavera di Praga furono, tranne eccezioni, poco considerati, oppure mistificati, per mantenere intatta l’immagine dell’Urss come di un sistema in cui i proletari trionfarono.
L’approccio analitico è nuovo in ordine a tali contenuti, e la ricostruzione lucida, priva di facili commenti, riporta a realtà sottaciute nel nostro panorama informativo, come la vera natura delle stragi terroristiche e l’acquiescenza delle autorità italiane verso i gruppi di potere.
Emerge dai documenti presentati, assai chiaramente, l’interesse che ha il sistema attuale, al fine di autoproteggersi e rafforzarsi, a potenziare determinate ideologie, curandosi che esse vengano recepite come vere, potendo in tal modo offuscare le normali capacità di intendere i fatti e di capire quali sono i propri interessi.
Dal saggio emerge come le ragioni dell’ideologia di Partito superino di gran lunga quelle relative ai diritti umani, in un continuum mistificato, in cui le vittime diventano “controrivoluzionari borghesi” e i carnefici vengono intesi come strenui difensori del potere del popolo. Ignorando clamorosamente che proprio contro il popolo si erano accaniti.
Emergono mistificazioni che oggi appaiono abnormi, ma all’epoca erano intese come naturale difesa di ciò che appariva un’ideologia indispensabile alla “liberazione dei popoli”. Ciò testimonia il potere che le ideologie dominanti hanno nel determinare un giudizio, anche su fatti gravissimi come le repressioni e i crimini di Stato.
Spiega Sensini: “Il tema delle libertà civili, economiche e politiche sistematicamente conculcate nei paesi del blocco comunista non venne assunto e valutato nella sua reale portata epocale. La capacità di condizionamento e di egemonia politico-culturale del Partito comunista italiano, per quanto apparentemente respinta da molti raggruppamenti nati in quel torno di tempo (1968-1977), impediva in realtà un ponderato e onesto giudizio circa la vera natura del potere dietro la “cortina di ferro”… Così il dissenso che andava manifestandosi in vari paesi dell’Est, le poche volte che assurgeva agli onori della cronaca nei giornali di “movimento”, veniva essenzialmente inteso come un grimaldello per incalzare “da sinistra” un sistema che, invece, nell’ottica gruppuscolare di quegli anni, lo si vedeva precipitare nelle spire del “capitalismo di stato”… Ecco perché l’insistente richiesta di un “socialismo dal volto umano”, levatasi dagli insorti di Praga, venne sostanzialmente snobbata dalla gran parte di queste formazioni”.(1)
Subordinare la questione dei diritti umani al potere del Partito significa mettere sotto gli occhi di tutti quello che realmente i partiti di regime sono: formazioni autoritarie con una struttura di potere piramidale, che puntano ad imporre il proprio potere utilizzando la fascinazione ideologica, che si vuole mantenere anche quando essa mira a subordinare i diritti umani. Per riuscire a raggiungere tale obiettivo, si utilizzano varie tecniche che offuscano le normali capacità di giudizio: si tira in ballo la dicotomia capitalismo/comunismo, gridando al “controrivoluzionario!”, oppure, più tristemente, si invoca un “male necessario” per evitarne uno peggiore. Chissà perché però il male “minore” deve toccare sempre a chi lotta per una vera democrazia, e mai a chi impone dittature.
Fa parte delle strategie di obnubilamento cerebrale il creare schieramenti inconciliabili, metodo fondamentale durante la Guerra Fredda. In tale periodo i due schieramenti posti attraevano tutta l’attenzione, e si instillava la sindrome del “da che parte stai? Sei amico o nemico?”, e la vera lotta per migliorare la realtà e per far rispettare i diritti umani veniva ad essa subordinata.
In altre parole, elementi fortemente ideologici o ideologizzati impedivano in vari modi una chiara visione di ciò che è meglio per i popoli o di ciò che dovrebbe essere una democrazia. I due blocchi dovevano anche servire a terrorizzare i popoli attraverso il pericolo incombente della guerra nucleare, facendo così in modo che essi rinunciassero alle lotte per la libertà, sopraffatti dalla paura. Tempo dopo sarebbe emerso chiaramente ad alcuni studiosi che le differenze fra i due blocchi erano entrambe funzionali al sistema di oppressione dei popoli. Ad occhi smaliziati la realtà della Guerra Fredda poteva apparire come una sorta di esperimento ambivalente di controllo dei popoli, in cui due diversi gruppi di stegocrati mettevano in atto due sistemi socio-economici. Da un lato c’era (e c’è ancora) un sistema fondato sul controllo mediatico e su un apparente clima di libertà, in cui non vengono garantiti i diritti economici, e dall’altro un sistema spacciato per “socialista”, in cui le direttive dall’alto venivano intese come azioni fatte in “nome del popolo”, restringendo le libertà civili e garantendo i minimi diritti economici. Ma in entrambi i casi c’era un forte controllo stegocratico, e le “Primavere di Praga” venivano duramente represse, seppur in modo diverso, da entrambe le parti. Basti pensare alle repressioni degli slanci del popolo italiano verso l’autodeterminazione, attuati a suon di bombe nel periodo dello stragismo di Stato. Contro chi voleva migliorare il sistema facendo valere i diritti umani non furono utilizzati soltanto i carri armati, ma anche la mafia, le logge, le bombe e i servizi segreti.
Nel periodo della Guerra Fredda fu particolarmente rafforzata la sindrome del “nemico”, inducendo a rimanere all’interno dei contenuti della propaganda anche quando si trattava di valutare crimini gravissimi. Come in guerra, ogni schieramento si curava di additare l’altro come depositario dei più gravi crimini, per poter apparire puro come una colomba. La faccenda della difesa dei diritti umani fu dunque considerata non già alla luce dei diritti stessi, in ordine al loro rispetto o mancato rispetto, ma all’interno delle indicazioni fornite dall’ideologia, e dei termini dicotomici che decretavano ciò che doveva essere considerato “amico” o “nemico”, “favorevole” o “sfavorevole”. Da ciò derivarono molti paradossi, come quello di considerare la dittatura come una fonte di difesa della libertà. Ad esempio, su “Lavoro politico” si leggeva: “In Cina i problemi della libertà e della democrazia socialista hanno trovato una corretta soluzione attraverso il rafforzamento della dittatura del proletariato”.(2)
Ciò suona assai simile alla propaganda statunitense recente, che predica di portare la democrazia per poi istituire dittature.
Dalla dicotomia Urss/Usa derivarono innumerevoli termini contrapposti che decretarono divisioni, contrasti, odi e persecuzioni: Dittatura/democrazia, popoli emancipati/popoli oppressi, borghesia/proletariato, rivoluzionario/controrivoluzionario, ecc. Era proprio all’interno di tali categorie che avveniva il giudizio sugli eventi, spesso tralasciando i massacri, le repressioni e le restrizioni alle libertà civili. Ad esempio, scriveva su “Maquis” il direttore Filippo Gaja: “Condannare l’intervento sovietico in Cecoslovacchia su una base legalitaria, e proclamare che si tratta di una ‘catastrofe’ del movimento operaio mondiale, è un atteggiamento tipicamente controrivoluzionario e reazionario”.(3)

Si induceva una stretta identificazione fra proletariato e sistema sovietico, a tal punto che prendere le parti delle truppe sovietiche equivaleva a mantenere un “sano orgoglio di classe”.
In questo contesto, chiedere maggiori libertà significava “restaurare il capitalismo”, si considerava chi fuggiva dai gulag come uno che cercava popolarità e ricchezza in Occidente, e chi denunciava la dittatura sovietica diventava un “nemico di classe”.
Ovviamente, nell’ampio panorama considerato da Sensini ci sono anche delle eccezioni, ovvero persone che hanno difeso il dissenso, pur sapendo di essere in minoranza nel contesto delle sinistre, e che hanno operato un corretto giudizio sui fatti. Ad esempio, su “Umanità Nova”, Umberto Marzocchi scriveva: “Questa rivoluzione dovrà crescere insieme in Polonia e nei paesi affini, a cominciare dall’Unione Sovietica, per far crollare questo finto socialismo dal volto disumano”.(4)

Oggi quel periodo appare a molti nella sua veridicità, essendo accaduti molti fatti che hanno mostrato il regime sovietico per ciò che era.
La possibilità di modificare nel tempo le proprie convinzioni in ordine al cambiamento ideologico favorito da un “nuovo corso”, comunque indotto dai mass media e da personaggi influenti, dovrebbe essere, per chi vuol diventare consapevole, un campanello d’allarme. Occorre certo poter modificare le proprie idee e giudizi sui fatti, ma è conveniente che ciò avvenga sulla base delle proprie capacità autonome di pensiero, piuttosto che sulle manipolazioni operate da parte del sistema mediatico o del Partito. Altrimenti altre “Primavere di Praga” ci appariranno pericolose, salvo cambiare idea quando ciò non costerà più l’espulsione dal Partito o altre conseguenze negative.

Un altro elemento importante che emerge dal saggio di Sensini è l’idea completamente distorta che molti militanti politici ebbero sulle Rivoluzioni russa e cinese.
Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, periodo in cui non pochi comunisti europei avevano sotto il cuscino il libretto rosso dei pensieri di Mao, dire che in Cina non c'era vero comunismo equivaleva ad un anatema terribile. Oggi, dopo il crollo dell'impero sovietico, e col sopraggiungere della rampante imprenditoria cinese, dirlo è diventato quasi un obbligo. In Occidente proliferano le pubblicazioni che demoliscono il mito di Mao, e lo definiscono senza mezzi termini un dittatore. Questi ribaltamenti ideologici dimostrano quanto sia importante valutare fatti e personaggi, di qualsiasi tempo e luogo, in modo indipendente rispetto alla propaganda del momento, considerando soprattutto il livello di crudeltà del personaggio o il rispetto dei diritti umani.
In Cina il "comunismo", inteso come un sistema di equità economica e di potere del popolo, non c'è mai stato. Mao Tse Tung, al contrario di ciò che la propaganda ha detto per lungo tempo, non è stato il fondatore del Partito comunista cinese, e le sue idee erano tutt'altro che comuniste. Egli era a servizio del gruppo di banchieri che non desideravano affatto porsi sotto il controllo statunitense, come stavano facendo i "nazionalisti" di Chiang Kai Shek. Nemmeno il "nazionalismo" cinese era davvero tale, poiché non si trattava di tutelare gli interessi nazionali, ma di agire a favore della finanza occidentale. Infatti, Chiang Kai Shek e i suoi compari ottennero molto denaro dagli Usa, e fu creato un narco-finanziamento. Si trattava del commercio di eroina cinese all'interno degli Stati Uniti, che veniva fornita dallo "Shangai Cartel" (cartello cinese) alla mafia italo-americana, all'epoca capeggiata da Lucky Luciano.

Le dittature totalitarie, fasciste o “comuniste” sono da ricondurre all'interno del modello economico che le crea e le sostiene, facendo chiarezza sulle ideologie a cui i sistemi totalitari vengono comunemente associati.
Oggi ad alcuni non sfugge come il gruppo stegocratico elabori ideologie di vario genere, fra loro contrapposte, allo scopo di creare dittature mascherate da qualcos’altro, oppure per imporre le idee favorevoli all’attuale sistema, anche attraverso l'interpretazione manipolata della Storia.

A partire dal secolo XIX, nacquero ideologie (socialismo e comunismo) formulate per difendere gli interessi delle classi povere. Il sistema creato da Karl Marx suscitò così tanti consensi da diventare per molti comunisti una vera e propria religione. Dopo secoli di oppressione, i popoli hanno creduto di poter creare un futuro senza discriminazioni e ingiustizie economico-sociali. Per realizzare una società di eguali, in cui ogni persona avesse la possibilità di vivere una vita economicamente dignitosa. Il sistema di Marx sarà elaborato da Lenin e applicato alla società russa, le cui classi povere erano prevalentemente contadine. In Russia, nonostante la lunga e sanguinosa "rivoluzione", non sarà realizzata alcuna società di eguali. Di fatto, una nuova élite soppianterà la vecchia. Anche l'ideologia social-comunista è stata dunque utilizzata dal gruppo dominante per imporre il proprio potere spacciandolo per "proletario".
A differenza del nazifascismo, che con la sconfitta bellica sarà condannato e considerato un sistema iniquo, il "socialismo" sovietico, dopo la guerra, ebbe fama di aver realizzato una società comunista, e di essere frutto delle lotte proletarie della rivoluzione russa. L'Urss permise al mondo intero di credere che i proletari potessero prendere il potere e gestirlo a proprio vantaggio.
L'Europa socialista e comunista, dal dopoguerra, trovò nella Russia sovietica un'enorme forza per combattere contro lo sfruttamento e le ingiustizie, ottenendo risultati importanti in Francia come in Italia, in Gran Bretagna e in tutti i paesi dell'Europa occidentale. Furono anni in cui si ebbero riforme sociali che concedevano diritti lavorativi e di tutela della salute. Dagli anni Cinquanta fino agli anni Settanta, l'Europa trasse grandi benefici dall'immagine positiva del sistema sovietico, e realizzò una società politicamente migliore ed economicamente più equa.

L'errore che ancora alcuni storici europei commettono è di non ammettere che la rivoluzione russa sia stata sin dall'inizio organizzata e propagandata dall'élite economico-finanziaria dominante. Occorreva molto denaro per la propaganda e l'attuazione della guerra rivoluzionaria. I contadini e gli operai russi furono convinti con l'inganno a fare la guerra rivoluzionaria: furono indotti a credere che in caso di vittoria del bolscevismo avrebbero avuto il potere di prendere decisioni politiche ed economiche a loro favorevoli. La propaganda a favore della rivoluzione fece leva sul grave malcontento delle classi povere. Molti russi erano arrabbiati per la condizione semicoloniale assegnata loro dall'Occidente, e volevano cambiare le cose una volta per tutte. Scrive lo storico Zbynek A. Zeman: "La rivoluzione bolscevica fu, in un certo senso, la reazione di una società in via di sviluppo, essenzialmente agricola, contro l'Occidente con il suo egocentrismo politico, l'avarizia economica e gli sprechi militari. L'attuale divario Nord-Sud tra i paesi ricchi e quelli poveri, con tutte le tensioni che ha creato nel Ventesimo secolo, ha avuto i suoi precedenti europei nei rapporti Est-Ovest... (fra '800 e inizio '900) i contrasti tra l'Est e l'Ovest europeo... divennero più stridenti di quanto non lo fossero mai stati"(5)

La rivoluzione, anziché vedere la forza e il trionfo dei proletari, ne vide la sconfitta. I contadini e gli operai erano in preda all'insicurezza e alla disperazione.
Banchieri come gli Harriman, i Rockefeller, gli Schiff e i Rothschild, finanziarono entrambi gli schieramenti della rivoluzione russa, ma volevano far cadere il potere zarista per ottenere più vantaggi: l'oro degli zar, interessi più alti sui prestiti e un maggior controllo dell'economia dopo la fine della guerra.(6)

Paradossalmente, Lenin sosteneva l’idea che la rivoluzione si "imponeva dall'alto", ovvero a farla dovevano essere i proletari ma a dirigerla no. Egli era convinto di possedere la "coscienza politica" dell'intera classe operaia, pur non appartenendo affatto a tale classe (apparteneva alla piccola nobiltà).
La promessa di costruire una società libera e giusta non fu mantenuta dai bolscevichi. Lenin richiamò al potere i vecchi funzionari zaristi e molti esponenti della borghesia e della piccola nobiltà. Medici, ingegneri, professori e funzionari zaristi ottennero ruoli egemoni e di privilegio, mentre i contadini e gli operai rimasero alle prese con i loro vecchi problemi: la miseria e la disoccupazione.
Dopo la rivoluzione, Lenin e Trosky smantellarono le organizzazioni dei lavoratori, mettendole fuori legge. Istituirono la Čeka, che avrebbe sostituito l'Okhrana (i servizi segreti degli Zar), e ridussero il popolo russo in una nuova schiavitù, provocando altre sofferenze e miseria. Scrive lo storico Enrico Melchionda:
“(Per Lenin e Trotsky) non sussisteva alcun dubbio sul carattere operaio del potere post-rivoluzionario, pur sapendo benissimo che tale potere era in realtà esercitato da un'élite politico-intellettuale di origine prevalentemente borghese.(7)

Era assurdo pensare che la "rivoluzione proletaria" avesse avuto successo, in un contesto in cui si stavano affermando principi antidemocratici, che avrebbero soffocato ogni rivendicazione da parte delle classi povere, proprio come accadeva nel regime zarista. Eppure dai documenti analizzati da Sensini, nel periodo preso in oggetto nel suo saggio, emerge che molti intellettuali celebravano la rivoluzione russa come “trionfo del proletariato” e consideravano Mao come un geniale e saggio personaggio, ignorando le sofferenze immani del popolo cinese e russo.
Le vittime delle rivoluzioni russa e cinese furono decine e decine di milioni, uccise durante e dopo. C’era sempre un pretesto per massacrare: chi reagiva perché capiva che non si era realizzato nulla di ciò che era stato promesso veniva accusato di essere un “controrivoluzionario” o “nemico del popolo”, e chi era scomodo alla luce del nuovo assetto economico veniva massacrato senza pietà (ad esempio i kulaki).
Il comunismo dal volto umano, purtroppo non si è attuato né in Cina né in Russia, e le prove a sostegno di ciò sono innumerevoli, ed erano presenti anche negli anni analizzati da Sensini, eppure molti hanno continuato ad inneggiare a queste rivoluzioni, ignorando spudoratamente i massacri di civili e le immani crudeltà praticate dai regimi.

Ognuno di noi crede di essere immune dal condizionamento ideologico del sistema, eppure in ogni contesto ideologico, nel periodo fascista come in quello del Partito Comunista e del potere della Democrazia Cristiana, soltanto pochi si ergevano a difendere i diritti umani contro le ideologie prevalenti.
Le domande da porsi sono: quali sono oggi gli aspetti ideologici che ci rendono sottomessi al potere? E come poter comprendere le mistificazioni indotte dai media senza dover attendere anni per capire come realmente stavano le cose?
C’è da chiedersi se le persone che hanno scritto gli articoli mistificati analizzati da Sensini siano oggi più sagge di allora, considerato che molte di esse ricoprono importanti cariche politiche, economiche e mediatiche, o se, invece, sbagliando, non hanno imparato nulla. E non si intende certo il limitarsi a cambiare idea sui fatti di allora (troppo semplice), ma soprattutto del divenire coscienti del potere manipolatorio delle ideologie dominanti.
Come dice un vecchio adagio: sbagliare è umano ma perseverare è diabolico.



NOTE

1) Sensini Paolo, “I due sessantotto”, “Critica Sociale”, n. 6, 2008, pp. 40-41.
2) “Lavoro politico”, a. II, n. 10, settembre 1968, pp. 47-48. Cit. Sensini Paolo, “I due sessantotto”, in “Critica Sociale”, n. 6, 2008, p. 23.
3) “Maquis”, a. II, n. 3, ottobre 1968, pp. 3. Cit. Sensini Paolo, “I due sessantotto”, “Critica Sociale”, n. 6, 2008, p. 24.
4) “Umanità Nova”, a. XLVIII, 13 aprile 1968, pp. 1-2. Cit. . Sensini Paolo, “I due sessantotto”, “Critica Sociale”, n. 6, 2008, p. 35.
5) Zeman Zbynek A., The Making and Breaking of Communist Europe, Blackwell, 1991, pp. 15-16
6) A questo proposito si veda: Randazzo Antonella, “Dittature. La storia occulta”, Il Nuovo Mondo Edizioni, Padova 2007.
7) Melchionda Enrico, "Sull'Urss e sul socialismo: riapriamo il discorso", Cassandra, settembre 2001.

martedì

LA PROTESTA IERI E OGGI

Di Antonella Randazzo

Il modello economico attuale ebbe origine nel Regno Unito alla fine del XIV secolo. Le autorità inglesi, per distruggere il vecchio assetto e creare il nuovo, espropriarono centinaia di migliaia di contadini, che furono costretti a diventare salariati, oppure ad accrescere la massa di poveri e vagabondi. Da allora la protesta contro il sistema ha acquisito diverse forme, alcune fantasmatiche, altre concrete.
Talvolta venivano utilizzati menestrelli e cantori per diffondere storie e leggende utili a placare l’ira contro l’autorità e ad impedire le proteste. Erano tante le storie che avevano come protagonisti personaggi che sfidavano le autorità e diventavano i paladini del popolo. La più nota è quella di Robin Hood, personaggio che nel tempo diventò simbolo della lotta contro l’autorità ingiusta e corrotta.
Nonostante l’enorme popolarità che egli ebbe, la sua esistenza non è mai stata provata. Alcune ballate del XIV secolo lo descrivevano come un ladro che derubava tutti quelli che avevano la sventura di passare lungo le rive del fiume Went. Si trattava di storie che avevano come protagonisti comuni malviventi, che per sopravvivere alla miseria sceglievano la ribellione e l'illegalità.
Lo studioso Joseph Hunter scoprì nel XIX secolo che nel 1324 alla corte di Edoardo II c’era un suo fedelissimo cameriere di nome Robin Hood. Altri Robin o Robert Hood risultano da alcuni documenti processuali, si trattava di persone accusate di saccheggio o furto. Ciò testimonia che all’epoca tale nome era alquanto comune.
Le prime storie di Robin Hood lo vedevano come una persona del popolo, che praticava la criminalità spicciola in un periodo di confusione, in cui i baroni lottavano contro il potere del re e il popolo era costretto a vivere in miseria.
Nel corso dei secoli, le storie su Robin Hood cambiarono per adattarsi ai tempi e alle esigenze emotive degli ascoltatori. Dal XVI secolo Robin Hood diventò un lord e apparve anche Marion, anch’essa di nobili origini. Robin diventerà un rifugiato nella foresta di Sherwood, perseguitato dallo sceriffo di Nottingham, ma in realtà non esisteva né la foresta né lo sceriffo.
Le imprese attribuite a Robin Hood erano frutto di fantasia, e tendevano a diventare storie in cui un eroe amato dal popolo trionfava sull’oppressore. Queste storie producevano un senso di sollievo e di riscatto che, ovviamente, rimaneva sul piano fantasmatico. Nell’Inghilterra dell’epoca la vita era brutale, e la lotta alla sopravvivenza assai difficile a causa della povertà e delle malattie. La gente comune non sapeva leggere e scrivere, e non distingueva le storie inventate da quelle vere. Credeva alle imprese di Robin Hood come fossero reali, producendo l’idea di un eroe del popolo, che sfidava l’autorità crudele e ingiusta. Accanto a lui c’era anche un frate, Fra Tuck, attraverso il quale viene rappresentato il lato positivo della chiesa, facendo credere che anche il clero può essere vicino alle persone comuni e contro i corrotti.
In queste storie appariva anche il fuorilegge Little John e la sua banda, che simboleggiavano l’esistenza degli emarginati o dei ribelli che si davano alla criminalità spicciola.
Questi personaggi diventavano un canale per dare sfogo all’infelicità e alla rabbia. Robin Hood veniva vestito di verde che è il colore che simboleggia la libertà e la prosperità. Il clima in cui si svolgono le storie è gioioso, talvolta festoso. Robin è sempre in gruppo, è intelligente, coraggioso, è libero, e si diverte nello sfidare l’oppressore. Egli rappresenta il bene di tutti, la possibilità di porre fine all’infelicità e all’oppressione, e per questo è amato.
Nell’Inghilterra dell’epoca in effetti lo sceriffo poteva prelevare le tasse e ricorrere alla tortura o alla pena di morte se la legge veniva infranta. Egli basava il suo potere sulla paura. Robin giungeva a personificare il combattente coraggioso per la libertà e per questo diventava un “capo carismatico” che nella fantasia forniva sollievo emotivo. Tale sollievo serviva come catarsi e faceva perdere l’idea di poter sfidare concretamente l’autorità. A ciò contribuiva il far credere che Robin Hood non lottasse contro l’autorità ma contro la corruzione e l’abuso di potere. In tal modo si instillava l’idea che soltanto in casi rari l’autorità fosse crudele e corrotta, nascondendo che la miseria e le vessazioni di cui il popolo soffriva fossero in realtà dovute al sistema di potere e alle leggi vigenti.
Diventando nobile, dal XVI secolo Robin giungerà a personificare la sensibilità all’ingiustizia e i valori attribuita al ceto nobiliare. Da popolano un po’ selvaggio diventò un nobile filantropo, a testimonianza che non fosse il sistema di potere dei baroni e del re ad essere rigettabile, ma i rari casi di corruzione (“le mele marce”, direbbe oggi qualcuno).

Nel tempo la miseria riguardò sempre più persone, e crebbero la criminalità e la ribellione. Non bastarono più i menestrelli a dare sfogo emotivo. Per impedire che le persone impoverite diventassero pericolose per il sistema, il governo inglese approvò una legge (Le Poor Laws) capace di criminalizzare e uccidere tutte quelle persone che fossero rimaste a vagabondare o a mendicare. Anche nei secoli successivi furono emanate leggi assai crudeli e disumane contro i poveri. Nel 1572, la regina Elisabetta perpetuò leggi già approvate sotto Enrico VIII. C’era il reato di “vagabondaggio”, come oggi è stato inserito il reato di “clandestinità”, ossia si poteva condannare colui che era poverissimo senza che egli commettesse reati. Queste leggi permettevano di arrestare i vagabondi, di frustarli e di mozzare metà dell’orecchio. Se recidivo, il vagabondo veniva impiccato.
Lo sfruttamento lavorativo diventò nel tempo sempre più terribile, e col passare degli anni le proteste diventarono sempre più aspre, specie nei secoli XVIII-XIX.
Le sollevazioni dei contadini e degli operai venivano represse duramente ovunque. Ad esempio, una sollevazione degli operai manifatturieri del cartaio Jean-Baptiste Réveillon, nel 1831, si concluse con l’uccisione di centinaia di persone. Erano molte le leggi che vietavano ai lavoratori ogni tipo di protesta. Ad esempio, la legge francese Le Chapelier, del 1791, impediva il diritto di sciopero. Le proteste operaie venivano sempre considerate come un affare di polizia. Il gruppo al potere poteva anche ingaggiare picchiatori o persone incaricate di terrorizzare e impedire ogni protesta. I media, posti sotto totale controllo dell’élite dominante, argomentavano le proteste operaie come fossero gravi reati. Ad esempio, scriveva "Le Temps" del 1831: “Le agitazioni operaie sono contagiose ed esigono una pronta repressione”.(1)
Anche i tentativi del 1871, con l’istituzione della Comune a Parigi, videro una repressione sanguinosissima, che non risparmiò nemmeno donne e bambini. La Comune era un governo socialista, che rimase in carica dal 18 marzo al 28 maggio del 1871. Dal 2 aprile la città fu bombardata, e il 21 maggio le truppe di Versailles entrarono a Parigi, uccidendo migliaia di comunardi, compresi donne e bambini. Altri furono costretti ai lavori forzati. Complessivamente si stimano almeno 30.000 morti. Parigi rimase sotto legge marziale per cinque anni.
Il gruppo che deteneva ricchezza e potere si mostrava cinico, crudele e inflessibile nel difendere il proprio potere e i propri privilegi. C’era un notevole disprezzo per la popolazione, che veniva considerata ancora più nemica di un paese rivale. Louis-Auguste Blanqui disse che l’élite francese pensava che fosse “meglio il re di Prussia che la Repubblica”.(2)
Il disprezzo per il popolo si accompagnava al timore che esso potesse acquisire potere. Il pur minimo potere al popolo era del tutto aborrito dall'élite dominante. Gli intenti di quest'ultima erano di tenere sotto controllo l'incremento demografico, e di sottomettere completamente le classi popolari, anche col crimine o con la guerra. Ad esempio, uno dei padri della Costituzione statunitense, James Madison, dichiarò: "Un incremento della popolazione aumenterà per forza la proporzione di coloro che tribolano sotto le durezze della vita e che segretamente aspirano ad una più equa distribuzione delle sue benedizioni. Costoro possono nel tempo superare numericamente quelli che sono al di sopra dello stato di indigenza".(3) Un altro padre della Costituzione americana, Governeur Morris, spiegò le priorità da porre per realizzare la società ideale: "Si è sempre detto in generale che la vita e la libertà valgono più della proprietà. Un'analisi accurata della materia, al contrario, dimostrerebbe che la proprietà è sempre stata il principale soggetto della società".(4) Di questo avviso erano tutti i banchieri, i grandi capitalisti e i sovrani. Alexander Hamilton, che divenne Ministro del Tesoro Usa, sosteneva che "tutte le comunità si dividono nei pochi e nei molti. I primi sono ricchi e ben nati, e gli altri la massa del popolo, che di rado giudica e stabilisce giustamente".(5)

Nel XX secolo fu attuata anche una durissima repressione antisindacale. Le lotte contro i sindacati e i gruppi social-comunisti divennero vere e proprie guerre in molte parti del mondo. I sindacalisti venivano perseguitati, criminalizzati attraverso i media e costretti alla clandestinità.
La Confederazione Generale del Lavoro (Cgt), nata nel 1902, organizzò e sviluppò il movimento operaio in Francia. Nel 1905 la Cgt organizzò una serie di scioperi e cortei a Parigi il primo giorno di maggio, per ottenere la giornata lavorativa di otto ore. La città fu assediata da 60.000 soldati, che arrestarono 800 persone. Centinaia di persone furono ferite, e due morirono. Il Primo maggio era diventato un giorno di rivendicazione in seguito allo sciopero di centinaia di migliaia di lavoratori (400.000 solo a Chicago) avvenuto il 1° maggio del 1886 negli Stati Uniti, represso nel sangue dai poliziotti, che sparando fra la folla uccisero cinque persone e ne ferirono diverse altre.
Si ebbero numerose lotte dei lavoratori anche in Gran Bretagna, Germania, Spagna e Italia. In Germania, il cancelliere Bismark, nel 1890, approvò numerose leggi antisocialiste, che vietavano lo sciopero e l'attività sindacale. In Italia nascono, fra il 1901 e il 1906, diverse formazioni sindacali, come la Federazione dei metalmeccanici (Fiom), la federazione dei braccianti e la Confederazione Generale del Lavoro (Cgl). Questi sindacati organizzarono manifestazioni e scioperi, per ottenere aumenti salariali e la giornata lavorativa di otto ore, e le forze di polizia intervennero a reprimere e a rendere vane le rivendicazioni.
Uno dei metodi utilizzati dai poliziotti per poter iniziare la repressione era quello di infiltrare finti agitatori, che gettavano bombe o iniziavano a picchiare. Veniva creato un clima di violenza e di scompiglio, per criminalizzare i manifestanti bollandoli come "violenti" e per poter terrorizzare i lavoratori.
Il primo dopoguerra fu un periodo di veri e propri massacri per i lavoratori in sciopero. In Francia, in Italia, in Spagna, in Germania, negli Usa, in Argentina e in molti altri luoghi, si ebbero numerose sollevazioni represse nel sangue.
Il gruppo dominante non ebbe mai alcuna intenzione di scendere a compromessi con gli strati più poveri della popolazione e utilizzarono metodi criminali per osteggiare le lotte dei lavoratori. Il leader sindacale John Lewis disse: “Il governo francese preferisce mandare loro in corpo (dei minatori) una pallottola, piuttosto che mettere del pane nei loro stomaci”.(6)

Ai giorni nostri il gruppo dominante ha lo stesso disprezzo per i popoli, dimostrato attraverso analoghi metodi per impoverirlo e, in molti paesi, costringerlo a morire di fame.
Le strategie di protesta sono state modificate, specie nelle aree più ricche, attraverso potenti società di “think thank” o di “social networking”. Oggi è possibile condizionare la mente umana senza che le vittime ne abbiano consapevolezza, anzi, facendo credere loro addirittura di agire per protesta contro il sistema.

In teoria un think thank sarebbe un luogo culturale che utilizza i media per diffondere idee e fare ricerca. Quello che non viene detto è che tali “ricerche” sono spesso finanziate da persone molto ricche, che si nascondono dietro banche o grandi società. Queste persone non hanno alcun interesse a che la ricerca proceda in modo costruttivo e disinteressato, al contrario, hanno l’obiettivo principale di creare un’ideologia a loro favorevole o diffondere pseudo-conoscenze funzionali al loro interesse e utili ad eliminare eventuali dissensi o proteste.
Le strategie utilizzate da queste società o associazioni sono molteplici. Ad esempio si mira ad arruolare personaggi molto conosciuti e di grande fama, che già hanno la stima di milioni di persone, come scrittori, giornalisti o personaggi di spettacolo.
Queste persone scriveranno libri o articoli che metteranno in evidenza i concetti o le idee da loro propugnati, oppure presenzieranno in molti programmi TV o organizzeranno spettacoli, esponendo le tesi volute da chi li paga, in modo quanto più possibile efficace e spontaneo. Ad esempio, all’inizio degli anni Novanta molti personaggi parlarono spesso positivamente dei concetti di “neoliberismo” e di “globalizzazione”, dicendo parecchie menzogne e cercando di mettere in ridicolo chi già allora aveva subodorato l’inganno.
Da molti anni l’American Enterprise Institute (AEI) si occupava di produrre ed esportare l'ideologia neo-conservatrice in tutto il mondo e Dick Cheney ne era il vicepresidente (oltre ad essere vicepresidente degli Stati Uniti). Anche la Fallaci trovò grandi ispirazioni antislamiche praticando questo istituto. Diversi suoi libri nacquero da una committenza che pagò parecchio e la convinse quindi ad asserire anche concetti palesemente erronei dal punto di vista storico e culturale. La scrittrice e giornalista ripropose tutti i più comuni pregiudizi xenofobi in una nuova veste pseudo-intellettuale; parlò di invasione islamica, di arabo come un'unica categoria di persona poco intelligente e poco evoluta, e propagandava che secondo lei l'immigrato era sempre un terrorista criminale.

Un esempio recente di “social networking” è quello della Casaleggio Associati che è una società nata nel 2004, che si occupa proprio di strategie di persuasione che mirano ad orientare le opinioni e a veicolare il malcontento.
Ufficialmente la Casaleggio dichiara di occuparsi di “consulenza per le Strategie di Rete… gestisce, su mandato di Beppe Grillo, le attività e i processi legati alla vendita on line dei prodotti multimediali dell’Artista”.(7)
C’è da chiedersi perché Grillo dovrebbe aver bisogno di appoggio, e come mai prima del 2004 fosse più disposto a parlare di argomenti che oggi non tratta più. Col passare degli anni il “territorio” di argomenti trattati da Grillo si è via via ristretto, fino a comprendere soltanto i politici e altri personaggi corrotti, evitando sempre più di parlare dei corruttori. Il controllo da parte della Casaleggio potrebbe coincidere con la sua “rinuncia” a trattare temi che maggiormente denunciano le radici marce del sistema, come il signoraggio. Avere bisogno di “agenzie di business” risulta davvero sospettoso e pericoloso per un personaggio che mira ad apparire come colui che denuncia le magagne del sistema in modo indipendente.
Considerando poi che la Casaleggio Associati avrebbe fra i suoi partners anche la J. P. Morgan e la Biving Group, che a sua volta è legata a grandi corporation come la Monsanto, che è stata più volte citata in giudizio per gravissime violazioni ai diritti umani.
Esistono legami della Casaleggio anche con la società statunitense Enamics, che a sua volta ha contatti d’affari con molti grandi gruppi come l’American Financial Group, la Pepsico, la Northrop Grumman e la J. P. Morgan.

La Biving Group vanta di agire per condizionare le opinioni e non nasconde di aver lavorato durante le elezioni politiche statunitensi per condizionare il voto dei cittadini. E’ chiaro che queste società tutelano e proteggono il sistema, guadagnando cifre altissime, e cooptano i personaggi più influenti affinché agiscano in armonia con i loro obiettivi.
Peraltro, la Casaleggio pubblicizza anche Second Life, un gioco di ruolo di massa potenzialmente assai nocivo (vedi http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/01/infelicit-umana-e-disumanizzazione.html).

Le società di social networking parlano di “business”, e non precisano che per molte di queste società gli affari riguardano il controllo della mente delle persone, in modo tale da controllare il loro comportamento ed impedire che possano aversi proteste efficaci. Esse agiscono sull’analisi sociologica delle emozioni, elaborando tecniche complesse per attrarre le persone potenzialmente “pericolose” (come i giovani, le donne o gli intellettuali) all’interno di contesti in cui esse potranno manifestare le loro proteste "manipolate" oppure elaborare opinioni non pericolose.
il termine inglese “social network” indica una rete di persone che determina legami sociali e la possibilità di ricerche sociologiche e antropologiche. L’interesse di queste società è di fare soldi anche attraverso le partnership con altre società e banche illustri, che permetteranno loro di pagare i personaggi famosi che verranno arruolati alle loro “ricerche”.
In pratica si tratta di controllare il malcontento e di veicolarlo su binari non pericolosi per il sistema. Ad esempio, uno dei modi più innocui e inefficaci è quello della raccolta delle firme. Grillo negli ultimi anni ha fatto ampio uso di questo metodo, attivando migliaia di persone per poi, paradossalmente, presentare le firme a quelle stesse persone che egli aveva denunciato come corrotte!
L’effetto era che le persone che avevano firmato si sentivano di aver fatto qualcosa per protestare ed esprimere il dissenso, mentre invece le loro energie di protesta erano state rese sterili.
Grillo di sicuro ha detto molte verità, e per questo ha suscitato consenso e fiducia.
Egli utilizza imprecazioni, insulti, e parolacce come se la protesta fosse una cosa discinta, scurrile, come se non fosse da ritenere una cosa seria. Grillo usa moltissimo il coinvolgimento emotivo, si avvicina al pubblico, gesticola, fa le facce iperespressive, strabuzza gli occhi, muove le mani in modo da attrarre l’attenzione. E’ come se dicesse col suo viso: “sono uno di voi”, “le mie emozioni sono le stesse che avete voi”, “capisco la vostra rabbia”. In realtà egli non sa cosa significhi essere precari o guadagnare soltanto poche centinaia di euro al mese, e dato che guadagna impedendo una vera lotta sociale e politica, dimostra di pensare soltanto ai suoi personali interessi.
Grillo fa gesti con le braccia e le mani, che potrebbero essere accettabili quando si intavolano discussioni fra vecchi amici al bar dell’angolo, ma non quando si stanno analizzando seriamente le gravi problematiche di mafia e corruzione che attanagliano il paese. Egli potrebbe giustificarsi dicendo che in effetti è soltanto un comico. E’ vero, è un comico, ma chi può negare che in questi anni è diventato un canale per molti giovani per sfogare la rabbia e sperare in un cambiamento? Chi può negare che, nonostante il paradosso che debba essere un comico a dire alcune verità del sistema, si sia prodotto in molti suoi fans l’effetto di suscitare gregarismo con la speranza di trovare in lui e nelle sue proposte un modo di reagire alle ingiustizie e alla corruzione? Se di un comico si tratta, senza dubbio egli è un comico sui generis, dato che nessun altro comico ha suscitato così tanto entusiasmo e ha promosso iniziative politiche o economico-finanziarie. Come osservava Erasmo da Rotterdam, ti possono lasciar dire quando passi per un personaggio poco serio, che dice le cose facendo ridere. Anche se dici quelle stesse cose che le autorità avrebbero il dovere di dirti e che invece ti nascondono.

Raramente Grillo parla del Terzo Mondo, o delle vittime di guerra in Africa o in Asia. Ha parlato dei cinesi per dire “sono troppi, e dove vanno a morire?”, non parlando, ad esempio, di ciò che avviene in Cina, come in India, ovvero l’impoverimento di moltissime persone causato delle espropriazioni volute per aumentare il processo di industrializzazione.
Grillo “educa” i giovani a manifestare in modo sterile e scomposto la loro rabbia, come se non vi fosse una carta dei diritti e non potessero pretendere con un comportamento serio il rispetto dei loro diritti. Questo significa incoraggiarli a sfogare rabbia per quello che si subisce, attraverso un comportamento “viscerale”, privo di autonoma elaborazione critica e di vera progettualità.
La lotta per i diritti è una cosa estremamente seria, da attuare con determinazione, intelligenza e capacità di smascherare i metodi mediatici per impedirla. Seguire da gregari un personaggio, per giunta un comico, è il metodo di protesta concessoci oggi dal regime. Ciò implica l’incapacità acquisita a sollevarsi in massa anziché limitarsi a scrivere sul blog di Grillo o a partecipare ai suoi spettacoli.
Un altro metodo utilizzato da Grillo ma anche da altri personaggi, come Travaglio, è quello di fare grandi ed efficaci discorsi di denuncia su alcuni argomenti o su alcune persone, cercando di indirizzare l’attenzione per distoglierla da altre persone e altri argomenti. Le loro denunce sono come “recintate”, altrimenti potrebbero scordarsi di avere tutto quel rilievo mediatico che hanno. Quando qualcuno fa notare loro le cose che “dimenticano” di dire, rispondono che essi non credono alle “tesi complottiste” o che bisogna pur avere fiducia in qualcuno, non si può dubitare di tutti. In altre parole, questi personaggi, per rimanere nel sistema e continuare a guadagnare soldi e popolarità, e nel contempo passare per “dissidenti”, cercano di liquidare i veri temi di protesta attraverso facili etichette come “complottisti” evitando in tal modo di considerare la veridicità dei contenuti che vengono sollevati.
Grillo, Travaglio e altri, pur svelando alcune verità, si valgono dunque anch’essi degli stessi metodi della propaganda di regime: etichettare per non considerare, generalizzare eccessivamente, deviare l’attenzione, occultare fatti, fare accordi con chi protegge il sistema, colpire i corrotti e nascondere i corruttori, ecc.
Con l’aggravante che essi si spacciano per persone che stanno dalla parte del popolo e non del potere, mentre la realtà è ben diversa.
Le lotte per la libertà e i diritti umani sono sempre state durissime, difficili e impegnative, illudersi che trovare un “capo” possa renderle più agevoli è utile soltanto al sistema. Più si è gregari e più si rischia di vivere in un sistema che ci tratta da schiavi.
Un’esistenza di qualità esige azioni di qualità, volte a renderci consapevoli di noi stessi e dei mille inganni che il sistema usa per farci rimanere sottomessi.
Nessun personaggio, comico, politico o giornalista che sia, dovrebbe sostituirsi al nostro cervello per farci vedere alcune cose e non altre e per dirci come e quando dobbiamo reagire al sistema.



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NOTE

1) Bordier Roger, in AA.VV., Il libro nero del capitalismo; Marco Tropea Editore, Milano 1999, p. 53.
2) Bordier Roger, in AA.VV., Il libro nero del capitalismo; op. cit., p. 57.
3) Cit. Gozzoli Sergio, "L'America: i plutocrati 'eletti da Dio'", in L'uomo libero, n. 54 1 ottobre 2002.
4) Gozzoli Sergio, op. cit.
5) Gozzoli Sergio, op. cit.
6) Rajsfus Maurice, ., in AA.VV., Il libro nero del capitalismo, op. cit., p. 108.
7) http://grillorama.beppegrillo.it/catalog/info/condizioni_vendita.php