giovedì

LE PERSECUZIONI DEL GOVERNO CONTRO I MAGISTRATI NON CORRUTTIBILI

Di Antonella Randazzo


La nota vicenda dell'infame tentativo del ministro di Giustizia Clemente Mastella di far trasferire il Procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris è da inserire in un contesto assai più ampio. Da sempre l'attuale sistema ha utilizzato diversi metodi per rendere inoffensive le persone (magistrati, autorità militari, giornalisti, ecc.) non corruttibili. I metodi sono sempre gli stessi: la persona viene trasferita o rimossa dall'incarico; viene posta sotto il controllo di un superiore che la intralcia; viene calunniata attraverso i mass media per fare in modo che non abbia l'appoggio dell'opinione pubblica; oppure, quando i precedenti metodi falliscono, viene uccisa.
Già nel 1871, il magistrato Diego Tajani denunciò coraggiosamente le collusioni dello Stato con la mafia. Egli era stato mandato in Sicilia come procuratore generale, e aveva trovato una situazione gravissima: i soprusi, le torture e le ingiustizie venivano commessi dalla mafia in connivenza con le autorità governative. Tajani ordinò l’arresto del questore di Palermo Giuseppe Albanese e aprì un’inchiesta sul prefetto garibaldino Giacomo Medici. Spiega lo storico Napoleone Colajanni:

"Le autorità governative, in connivenza spesso con la mafia, esercitavano ingiustizie, ricatti, soprusi e torture indicibili, arrivando ad organizzare, esse stesse, delitti, furti, cospirazioni ed agguati. Il Tajani ne era esterrefatto, e per porre un freno a quella situazione, arrivava a procedere, per omicidio ed altri reati, persino contro il Questore di Palermo, accusandolo di avere agito in pieno accordo con lo stesso generale Medici".(1)

Il governo italiano era stato smascherato come "re della mafia", e per questo Tajani sarà costretto a dimettersi. Consentirgli di proseguire le indagini avrebbe aperto la strada alla distruzione del potere mafioso, e dunque anche del sistema iniquo che lo reggeva.
Falcone dovette subire tutti i metodi del regime contro gli incorruttibili. Egli annotò nel suo computer diverse riflessioni su come alcuni suoi colleghi ostacolavano il suo lavoro. Ad esempio, scriveva: "Al tribunale di Palermo sono stato oggetto di una serie di microsismi, fattisi via via più intensi con il passare del tempo. Davo fastidio".(2)
Anche altri magistrati impegnati a lottare contro la mafia sono stati preda di numerosi tentativi di discredito e indotti a creare distanza fra il loro lavoro e la gente comune. A questo scopo saranno utilizzati giornalisti, intellettuali e altri magistrati. Il pentito Buscetta aveva avvisato Falcone di ciò che sarebbe accaduto: "Non credo che lo Stato italiano abbia veramente l'intenzione di combattere la mafia... L'avverto signor giudice, dopo questo interrogatorio lei diventerà una celebrità. Ma cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente".(3)
Alla sorella Maria, dopo aver subito calunnie, persecuzioni e sabotaggi, Falcone disse: "Tu non capisci che io ormai sono un cadavere ambulante".

Come si è appreso il 21 settembre scorso, Mastella ha chiesto al Csm di aprire un'inchiesta disciplinare e di avviare la pratica di trasferimento cautelare d'ufficio del sostituto Procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris e del capo della Procura Mariano Lombardi. Anche il sostituto Procuratore di Potenza Vincenzo Montemurro sarebbe oggetto di una pratica di trasferimento cautelare.
Se Mastella ha agito in modo così impopolare (De Magistris è conosciuto in tutto il paese per la sua bravura nel condurre indagini senza guardare in faccia nessuno), significa che si tratta di una misura dettata da motivi considerati assai gravi dal governo. Anche se bisogna osservare che Mastella non sembra tanto perspicace: ha aperto un blog e si lamenta di ricevere tanti insulti e che gli scrivono "ti odio". Si aspettava che gli scrivessero "Ti amo"?
Se la richiesta di Mastella verrà accolta dal CSM, De Magistris dovrà abbandonare diverse inchieste, che di sicuro saranno messe nelle mani di un magistrato "controllabile".
Il comportamento di Mastella rientra all'interno delle strutture tipiche dell'attuale apparato spacciato per "democrazia". La faccenda dovrebbe far aprire gli occhi su quello che davvero accade nelle istituzioni. Dopo "Tangentopoli" hanno parlato di "Seconda Repubblica" per farci credere che qualcosa era cambiato, ma si trattava, com'è ormai evidente, di specchietti per le allodole.
Il sostituto Procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris stava svolgendo le inchieste "Why not" e "Poseidone", che vedono coinvolte lobby di potere e associazioni massoniche, e nel registro degli indagati c'è anche il presidente del Consiglio Romano Prodi. L'indagine "Why not" stava portando alla luce un presunto comitato d'affari politico-massonico con sede a San Marino, che si occupa della gestione di fondi comunitari destinati alla Calabria, mentre l'indagine chiamata "Poseidone" si occupa degli appalti per la depurazione in Calabria.
Anziché preoccuparsi per la 'Ndrangheta e per la grave situazione di "malaffare" che opprime i calabresi, il governo si preoccupa di nascondere la propria corruzione, colpendo i magistrati non corruttibili.
Vedi la casualità: proprio il magistrato che stava indagando su Prodi e altri personaggi eccellenti viene trovato a commettere "irregolarità", e proprio quando stava valutando l'iscrizione dello stesso ministro Mastella nel registro degli indagati.
Si tratta di evidenti tentativi del governo di ostacolare o bloccare l'emergere dalle indagini di reti mafiose e massoniche. Da diverso tempo De Magistris, alcuni suoi collaboratori e diversi giornalisti erano nel mirino del governo perché si temeva che smascherassero il sistema corrotto e criminale che domina il paese.
Nel luglio scorso sono state effettuate strane perquisizioni delle abitazioni, uffici e autovetture di alcuni giornalisti, accusati di una presunta "fuga di notizie sull'inchiesta sulle Toghe Lucane". Persino i PC dei figli furono posti sotto sequestro. Fra questi giornalisti c'erano Carlo Vulpio, del "Corriere della Sera" e Chiara Spagnolo del "Quotidiano della Calabria". Guarda caso, questi giornalisti si erano occupati delle indagini condotte da De Magistris. Era un chiaro segno di intimidazione della stampa e di controllo di tutti coloro con cui il De Magistris parlava.
Chiara Spagnolo era stata la giornalista che il 15 luglio aveva scritto l'articolo pubblicato sul "Quotidiano della Calabria" in cui si rendeva nota l'iscrizione di Prodi nel registro degli indagati. E' preoccupante dover constatare come i giornalisti possano essere duramente perseguitati se dicono la verità, e come i personaggi più in vista del panorama politico, come Prodi, abbiano così paura che la gente sappia che sono indagati. Da questo comportamento si deve presumere che questi personaggi siano tutt'altro che "puliti".
Si vuole far credere che gli imputati debbano essere i giornalisti che danno le notizie, e non chi è indagato per aver presumibilmente appoggiato illegalità e truffe. La presunta "violazione di segreto istruttorio" è diventata un reato più grave della corruzione, del saccheggio di denaro pubblico e dell'associazione a delinquere di stampo mafioso.
Il provvedimento contro De Magistris è stato chiesto "con provvedimento d’urgenza", ma sono molti mesi che il magistrato e tutti coloro che egli avvicina (compresi i giornalisti) vengono tenuti d'occhio in modo ossessivo.
Dopo aver appreso del comportamento di Mastella, De Magistris si è sfogato dicendo a un amico: "E´ impossibile, mi sembra una cosa enorme ma io sono sereno anche se l´unica cosa che mi preoccupa è il messaggio che passerebbe in questa terra: chi tocca i potenti alla fine viene messo ko".(4)
Il principale imputato dell´inchiesta "Why Not" è l'imprenditore Antonio Saladino, che è stato intercettato per mesi, e in alcune conversazioni parlava con Mastella. Saladino è accusato di associazione per delinquere, truffa aggravata e violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete.
In particolare, sono state oggetto di indagini diverse schede telefoniche SIM GSM intestate alla DELTA S.P.A. e altri cellulari sequestrati a Saladino. Una di queste SIM sembra fosse utilizzata dallo stesso Prodi. Dalle telefonate di Saladino emerge una sorta di "comitato d'affari" che coinvolge numerose persone, molte delle quali personaggi della politica.
Le reti affaristiche creavano un sistema clientelare, che permetteva lucrosi introiti, ma anche il controllo e l'assoggettamento politico di molte persone. Era un sistema di raccomandazioni, clientelismo e forte condizionamento morale. Ad esempio, in una conversazione, avvenuta il 9 marzo del 2006 fra il Vescovo di Lamezia Terme e Saladino, quest'ultimo rassicura il prelato circa il licenziamento e la riassunzione in un'altra società di una ragazza che avrebbe insidiato un uomo sposato. Un testimone raccontò persino che Saladino spingeva i propri dipendenti all'assunzione di psicofarmaci, per poterli controllare meglio. Questo personaggio aveva molti rapporti nel mondo della finanza, della politica, del clero, del sindacato, delle logge massoniche, della magistratura, dei Servizi di Sicurezza, della Guardia di Finanza, dell'imprenditoria, ecc. Era tenuto in grande considerazione da molti personaggi di potere, come testimoniano le numerose segnalazioni di raccomandazioni di poliziotti, finanzieri e carabinieri.
Saladino scambiava strani SMS col Generale della Guardia di Finanza Walter Cretella Lombardo (andati avanti fino al gennaio 2007), in cui si parlava di conoscenze comuni. Nel cellulare sequestrato al Cretella Lombardo è stato trovato il numero riconducibile a Luigi Bisignani, che è stato iscritto alla loggia P2 e risulta condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione nel processo per la maxi tangente Enimont. Sia il Bisignani, che Mastella e Cretella Lombardo avevano in comune numerose conoscenze. Oltre che con Saladino, il Bisignani avrebbe avuto stretti rapporti con Mastella, con collaboratori di Romano Prodi e col deputato Sandro Gozi.
Il 16 marzo del 2006, Mastella chiama Saladino e gli chiede un incontro, ma quest'ultimo gli dice che non può raggiungerlo e che gli farà incontrare un amico "grande costruttore.. amico del generale... e amico suo e mio".(5) Nelle intercettazioni c'era spesso il riferimento ad "amici" comuni, o "amici generali", come si trattasse di una confraternita con attività e interessi comuni.
Fra il 2004 e il 2006 Prodi e altri personaggi del suo entourage ebbero diversi contatti con gli indagati. Nell'agenda di Saladino, oltre ai numeri di personaggi già indagati (i generali della Guardia di Finanza, Walter Cretella e Paolo Poletti, Luigi Bisignani e il senatore di Fi, Gianfranco Pittelli) c'era anche il numero di Sandro Gozi (ex funzionario dell'Unione europea, assistente politico di Prodi e attualmente suo sostituto in commissione Affari Costituzionali della Camera), di Pietro Scarpellini e di Romano Prodi.
Il De Magistris aveva anche lavorato all'indagine detta "Toghe lucane", in cui aveva indagato su cinque magistrati lucani: i procuratori della Repubblica di Potenza e Matera, Giuseppe Galante e Giuseppe Chieco; il sostituto procuratore di Potenza, Felicia Genovese; il presidente del Tribunale di Matera, Iside Granese; e sul giudice del Tribunale di Matera, Rosa Bia. Era emerso che Chieco avrebbe evitato di indagare su presunti illeciti. Il De Magistris iniziò ad essere perseguitato dalla stessa magistratura, appoggiata dal governo, mentre le "toghe" indagate furono in diversi modi protette.
La cosa certa è che in Calabria (e non solo) esistono gravissime irregolarità nelle amministrazioni pubbliche e nella realtà economica, e queste irregolarità vengono coperte in tutti i modi dall'attuale governo, che si mostra disposto a colpire magistrati, giornalisti e persino siti web pur di proteggere le reti illegali.
Mastella e l'attuale governo avevano già attuato diversi interventi per ostacolare la lotta alla 'Ndrangheta e alla corruzione in Calabria. Il ministro della Giustizia, proprio quando le indagini sull'omicidio Fortugno erano a un punto importante e stavano emergendo i rapporti tra mafia e politica, ha rimosso dall'incarico il giudice titolare delle indagini Giuseppe Creazzo. Mastella ha stranamente spostato la Scuola di Magistratura da Catanzaro a Benevento e non ha dato alcun peso all’ispezione al Tribunale di Vibo Valentia, durante la quale è stata arrestata la presidente della sezione civile Patrizia Pasquin, sospettata di essere vicina al clan della ‘Ndrangheta dei Mancuso di Limbadi. Allo stesso tempo il ministro mostra di non essere per nulla interessato a risolvere il problema delle carenze di organico, di strutture e di mezzi nel sistema giudiziario calabrese e non solo.
Il governo cerca così di togliere alla Calabria ogni speranza di un futuro migliore.
Da tempo De Magistris denuncia la presenza in Calabria di gruppi di persone ben inserite nel sistema finanziario ed economico, che organizzano operazioni per controllare il traffico di droga e sottrarre finanziamenti pubblici. Spiega il magistrato:
"Mentre per quanto riguarda la droga si tratta di un settore che è appannaggio della criminalità organizzata, come dire, di tipo tradizionale, se invece parliamo di finanziamenti ed erogazioni pubbliche c'è una nuova forma di criminalità organizzata, la criminalità organizzata dei colletti bianchi, cioè formata da pezzi importanti delle istituzioni, della politica, delle professioni, del mondo finanziario, dell'impresa. E' un sistema che tenta di controllare tutti i finanziamenti pubblici, in particolare quelli che provengono dall'Unione Europea... E' un sistema che fa comodo a molti. A parole si vuole cambiare ma con i fatti, per lo meno per la mia esperienza di magistrato, ma anche di cittadino e di uomo non calabrese che ha deciso di vivere in Calabria, è una situazione veramente allarmante. Dalle indagini chiuse quello che è venuto fuori è che la trasversalità appare sempre di più essere una regola. Io credo che sia in gioco lo stato di diritto in Calabria. Viviamo una situazione di isolamento, come me altri colleghi. Ma l'isolamento potrebbe anche essere un dato neutro. Ciò che ci inquieta di più è il contrasto che perviene da settori delle istituzioni e che per quanto mi riguarda ho denunciato anche nelle sedi competenti".(6) De Magistris stava svelando un fenomeno più grave di "Tangentopoli", poiché coinvolge tutti gli schieramenti politici. Spiega il magistrato: "Fino a poco tempo fa, si parlava di singoli che deviavano. Ora invece "deviati" sono considerati quelli che cercano di contrapporsi a quella che ormai è una metastasi".(7)

La testimone chiave dell'inchiesta "Why not", Caterina Merante, ha scritto una lettera aperta al ministro della Giustizia, in cui dice:
"Se la Procura di Catanzaro è un verminaio non posso pensare che lei creda davvero a ciò che ha detto, che è colpa del De Magistris, perché qualora i suoi ispettori le avessero riferito questo sarebbe gravissimo. Tutto il popolo calabrese conosce fin troppo bene la verità su quel palazzo. Il magistrato di cui lei ha chiesto il trasferimento, semmai, è stato l'unico ad avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, di spiattellarci in faccia la realtà. A smuovere le coscienze, certo, si potrebbe obiettare che non è compito di un magistrato, intanto però lo ha fatto lui, piaccia o no... sono mesi che viviamo io e i miei familiari, calunniati, pedinati, spiati nel tentativo di trovare qualcosa che non va, attenzionati da ricattatori di professione, in combutta con imprenditori senza scrupoli, decisi ad eliminare da processi testimoni scomodi e dal mercato imprese oneste. Mi sono detta in questi mesi che il dottor De Magistris ha fatto bene ad usare i media come abilmente ha fatto, perché è vero che è necessaria una rivoluzione culturale, ma i tempi sono diventati lunghi, eccessivamente lunghi. Lei, con il suo gesto ha legittimato la chiusura senza esito delle indagini, ha legittimato una nuova bufera mediatica e al momento di prendere quella insana decisione doveva tenerne conto, per rispetto dei cittadini che rappresenta, della giustizia che rappresenta, ma anche per rispetto di se, visto che lei stesso è in quei fascicoli. Tutto quel che accadrà da ora in poi avrà il sapore della ritorsione, non potremo più guardare con fiducia alcun magistrato, perché avremo davanti a noi, l'immagine di una persona intimorita dalle leggi del sistema, dai poteri occulti, dalle logiche circolari che vanno bene solo a chi è dentro al cerchio e guai, guai se si decide di uscirne".(8)
Il caporedattore del periodico "Il Resto", Nicola Piccenna, in una denuncia-querela al PG della Corte di Cassazione ha chiesto l'arresto di Mastella. Ma credo che moltissimi parlamentari andrebbero arrestati per corruzione e associazione a delinquere.
Su uno striscione esibito in una manifestazione a Catanzaro a favore di De Magistris c'era scritto: "E adesso trasferiteci tutti", parafrasando lo slogan diretto alla mafia "E adesso ammazzateci tutti". I cittadini parlano al governo nello stesso modo in cui parlano alla mafia. Questo la dice lunga su quanti hanno ormai compreso cos'è realmente l'attuale sistema.


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NOTE

1) Colajanni Napoleone, "Nel regno della mafia. La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi", Ila Palma, Palermo 1971.
2) Falcone Giovanni, "Cose di Cosa Nostra", Rizzoli, Milano 1991, p. 45.
3) Falcone Giovanni, op. cit., p. 44.
4) "La Repubblica", 22 settembre 2007.
5) Rapporto del Consulente tecnico del Pubblico ministero De Magistris Gioacchino Genchi, Relazione 12, Palermo 25 luglio 2007.
6) Fonte: Apcom, 16 luglio 2007.
7) Intervista di Luigi De Magistris al "Corriere della sera", 17 luglio 2007.
8) Fonte: Ansa, 26 settembre 2007.

venerdì

COSA SONO REALMENTE I PARTITI E COME CREANO DITTATURE MASCHERATE

Di Antonella Randazzo


Tanti anni di propaganda hanno convinto molti occidentali che il sistema multipartitico è "democratico" poiché permette a tutti di fare una scelta. Le dittature sono state associate al partito unico, e dunque le democrazie al multipartitismo.
Ma cosa sono davvero i Partiti? Possono davvero di per sé garantire la democrazia?
In realtà i Partiti non sono affatto istituzioni democratiche, al contrario, sono formazioni rigide e autoritarie, con una struttura piramidale di potere. Chi sta al vertice prende le decisioni più importanti e le impone in virtù del principio di autorità, curandosi che tale assetto possa essere accettato grazie alla fascinazione ideologica. In armonia con le caratteristiche del sistema nel suo complesso, che vede il prevalere del più ricco, i Partiti seguono la volontà di chi li finanzia. Anche se cambiano nome o logo, rimangono sostanzialmente gli stessi perché le persone che li controllano non cambiano. Il sistema partitico impedisce ai cittadini la libera scelta dei propri candidati politici, imponendoli dall'alto e ostacolando la candidatura di troppe persone oneste o incorruttibili (ne bastano pochissime di queste, tanto per dare una buona parvenza).
I partiti hanno lo scopo principale di sottrarre la sovranità al popolo, facendogli credere di averla. Si tratta di un metodo che ad oggi ha avuto una certa efficacia grazie a tecniche di manipolazione mentale. La vera natura dei Partiti viene accuratamente nascosta grazie a meccanismi sofisticati di propaganda. Da molto tempo chi detiene il potere si cura anche di accrescere le proprie conoscenze per manipolare la mente. I trucchi della politica risalgono all'età antica, ma le tecniche sofisticate di persuasione, e il potere di incidere sulla psiche senza che la vittima ne abbia la consapevolezza, sono acquisizioni recenti, dovute allo sviluppo delle conoscenze psicologiche e sociologiche e dei mezzi di comunicazione di massa. Molti sanno dell'esistenza di ricerche finalizzate ad acquisire maggiore conoscenza dei meccanismi utili al controllo del comportamento umano. Ad esempio, a Londra, nell'Istituto Tavistock venivano messe a punto tecniche di manipolazione mentale. Nel 1961, l'agente del Tavistock Aldous Huxley, durante una conferenza alla Scuola Medica di San Francisco disse: "(Occorre) produrre una sorta di campo di concentramento indolore per intere società, in modo che la gente sarà privata delle proprie libertà, ma sarà felice di ciò, perché sarà dissuasa da ogni desiderio di ribellarsi - attraverso la propaganda, o il lavaggio del cervello".
Come disse lo psicologo Edward Bernays: "Se conosci i meccanismi e le logiche che regolano il comportamento di un gruppo puoi controllare e irreggimentare le masse a tuo piacimento e a loro insaputa".(1)
Grazie ai meccanismi di propaganda, i Partiti non soltanto promuovono i candidati da loro scelti, ma organizzano anche iniziative per creare affezione verso questi candidati. Oggi esistono gli spin doctors ("dottori del raggiro"), ovvero i professionisti dell'inganno politico. Essi puntano a capire come passivizzare le potenzialità intellettive autonome dei cittadini, per eludere gli aspetti più importanti con cui il candidato dovrebbe confrontarsi, come la guerra, il saccheggio operato dalle banche attraverso il signoraggio, le leggi che sfruttano il lavoro o impediscono una vera democrazia, ecc. Si cerca di manipolare l'attenzione e di limitare le reazioni dei cittadini. Durante le campagne elettorali si dispiega un enorme apparato fatto di consulenti ed esperti di mercato politico, agenzie di fotografi, grafici, copywriter, sondaggisti, istituti per il monitoraggio dell’elettorato, truccatori, insegnanti di recitazione, e può essere utilizzato perfino un team di psichiatri, psicologi e sociologi. Le tecniche di propaganda e di persuasione sono tantissime. In Italia, da quando c'è stata la discesa in campo di Silvio Berlusconi, anche la propaganda elettorale ha avuto un cambiamento: la nota vanità del personaggio lo induceva ad arricchire le scene con canti, bagni di folla, battute scherzose, barzellette, acclamazioni, invocazioni, provocazioni, ostentazione di vallette, attricette, ecc. Tutto questo per "comunicare" cos'è vincente e come diventare un vincente, evitando accuratamente argomenti come il falso in bilancio e le tante indagini giudiziarie a carico di alcuni soggetti candidati di “Forza Italia”.
Le campagne politiche vengono oggi sempre più banalizzate, spettacolarizzate e ridotte agli aspetti superficiali. Si sceglie una comunicazione che punta all'emotività, agli aspetti percettivi, mettendo in secondo piano la vera empatia, l'autentica preoccupazione per il futuro del paese, o l'umiltà di ammettere la difficoltà di costruite un futuro e di risolvere i problemi.
Le tecniche mediatiche di inganno sono tantissime: la disinformazione, la selezione degli argomenti, la creazione di eventi mediali propagandistici, l'uso di parole efficaci o di artifici linguistici, ecc. Vengono utilizzati segni e simboli anche in modo subliminale, per condizionarci ad apprendere un determinato modo di pensare e a fare determinate associazioni. Tali condizionamenti mirano a modificare lo stato mentale, stimolando risposte automatiche evocate dalle struttura profonde della coscienza, che attivano meccanismi comportamentali immediati di azione e reazione.
I politici scelti dai Partiti sono lontani dalla cittadinanza ma tendono a negarlo mettendosi dalla parte del cittadino comune e denunciando alcuni aspetti del sistema che gli elettori non accettano, come il lavoro precario o l'aumento delle tasse. Ma si tratta di pura persuasione emotiva, dato che poi le stesse persone che denunciano i problemi, una volta elette, non mostreranno alcuna intenzione di risolverli, giustificandosi dando la colpa a qualcun altro.
Negli Stati Uniti, durante le campagne elettorali, avviene anche una forte selezione degli argomenti da dibattere. Ad esempio, nelle ultime elezioni statunitensi, Karl Rove si occupò della campagna elettorale del presidente Bush, manipolando con successo l'attenzione dell'opinione pubblica. Durante la campagna elettorale la gente venne investita da una dose massiccia di predicazioni religiose, in cui questioni morali teoriche e opinabili furono presentate come importantissime per il futuro del paese. Furono utilizzate le reti televisive della destra cristiana per portare avanti battaglie contro l'aborto, i matrimoni gay e contro i "liberals", indicati come un pericolo per le radici cristiane degli Stati Uniti. Questi argomenti furono trattati su tutti i media, e occuparono tutti gli spazi, impedendo di trattare i veri problemi delle famiglie americane. E i veri problemi da trattare sarebbero stati parecchi: l'economia che andava alla deriva, i salari che si abbassavano, il lavoro che diventava sempre più precario, la politica di governo che si interessava soltanto delle questioni che riguardavano le imprese, le guerre americane che sottraevano risorse allo sviluppo del paese, la disoccupazione, ecc. Tutti problemi gravissimi, ma dirottati fuori dall'attenzione pubblica.

I personaggi politici vengono "venduti" come un prodotto, e prevale chi evoca maggiori emozioni o suscita maggiore fiducia. Si punta soprattutto all'immagine del personaggio o alla percezione superficiale che se ne può avere. La comunicazione di massa amplifica aspetti irrisori rispetto al ruolo che si ricoprirà, come la fotogenia o la capacità di gestire l'immagine mediatica. Secondo il filosofo Jürgen Habermas, oggi i mass media hanno rifeudalizzato la politica, trasformandola in uno spettacolo controllato, dal quale la massa è esclusa, essendo solamente un canale da cui i Partiti possono ricavare informazioni sull'efficacia delle tecniche mediatiche in grado di far convergere il consenso. In tal modo viene distrutto ciò che la politica dovrebbe essere per i cittadini, ossia il terreno per gestire gli aspetti comuni, per aiutare i più deboli e per incrementare lo sviluppo materiale e morale di un popolo. Tutto questo viene svilito all'interno della politica-spettacolo, allegra e colorata, ma che nasconde la miseria di essere manipolata da pochissime persone, incuranti del danno che provocano alla maggior parte della popolazione.

Per difendersi dalla comunicazione persuasiva occorre un livello di autoconsapevolezza e di riconoscimento delle strutture di potere che è difficile da acquisire attingendo dalla realtà mediatica, e dunque richiede un impegno culturale e cognitivo che non tutte le persone possono avere.
E' proprio su questo che si basa l'attuale potere: la comunicazione prevalente è quella di "massa" e soltanto pochi potranno smascherare le strutture di potere. Come scrisse il filosofo Guido Calogero: " (il nemico) o solleva il clamore dello scandalo, cercando di screditare il disturbatore agli occhi dei benpensanti, come stravagante autore di discorsi sconvenienti; oppure organizza la congiura del silenzio, affinché le sue idee non siano conosciute che dal minor numero possibile di lettori".

Un potere politico che, come diceva Michel Foucault, produce il sapere, ma all'interno di una “polizia discorsiva” che controlla la mente di individui disciplinati e disillusi, e attraverso il linguaggio perpetua le strutture di potere. Foucault parla di “comunicazione-guerriglia”, fatta di varie tecniche: il significato distorto, capovolto, l’affermazione sovversiva, l'etichetta stereotipata, il nome multiplo, il plagio, la falsa promessa, ecc. Lo scopo è sempre quello di eliminare il pensiero critico, troppo pericoloso per chi deve dominare.
I media vengono utilizzati massicciamente dai partiti per ogni occorrenza, oltre che per promuovere i candidati politici, anche per infamare chi denuncia l'iniquità e l'antidemocraticità dell'attuale sistema. Il termine "antipolitica" è stato utilizzato soprattutto in seguito a "Tangentopoli", ad indicare lo scollamento della gente comune verso l'apparato politico corrotto. Oggi viene sempre più utilizzato ad indicare chi denuncia la corruzione del sistema politico. Non si precisa che l'attuale assetto politico è volutamente concepito come corrotto e antidemocratico, per impedire che i popoli spodestino il gruppo dominante, e che non è la "politica" in generale ad essere rifiutata dalla gente ma soltanto il sistema politico attuale.

I Partiti in Italia hanno un costo molto elevato, pagato da tutti noi. Nel nostro paese, pur avendo gli italiani espresso la chiara volontà di non dare denaro pubblico ai partiti, attraverso il referendum del 1993 (oltre il 90% degli elettori votò contro), i Partiti possono ottenere finanziamenti molto elevati. La gente crede che i Partiti non siano finanziati con denaro pubblico, e non è stata informata quando, nel 1999 è stata approvata una legge che di fatto reintroduceva il finanziamento pubblico ai partiti chiamandolo "rimborso elettorale". Nel 2002 tutti gli schieramenti, ad eccezione dei radicali, votarono a favore della nuova legge, la n. 156 del 26 luglio 2002, che titolava "Disposizioni in materia di Rimborsi Elettorali". La legge abbassava il quorum di accesso al rimborso dal 4% all'1% e aboliva il tetto di spesa, permettendo a quasi tutti i partiti di ricevere somme molto alte di denaro pubblico. Ad esempio, Berlusconi ha incassato, dopo le ultime elezioni, 41 milioni di euro per Forza Italia, la Margherita ne ha presi 20 milioni, l'Udc 15 milioni, i Ds 35 milioni, An 23 milioni, Rifondazione 10 milioni,(2) ecc.
Pensate quanto si riuscirebbe a risparmiare se si distruggesse l'attuale sistema e si eleggessero alcune persone fidate scelte dal basso, che si occuperanno dei nostri interessi e non di quelli di chi ci sta colonizzando.

Un'altra importante funzione dei Partiti è quella di svilire la democrazia, facendola diventare un circo, in cui non prevale il più competente e onesto, ma il più adattato al sistema. Utilizzando i metodi propri della pubblicità e della propaganda, i Partiti fanno in modo che le campagne elettorali diventino simili al tifo da stadio. Tendono a diseducare i cittadini al loro stesso benessere, inducendoli a riporre fiducia in un simbolo o a sventolare una bandiera, illudendosi che il Partito opererà nel loro interesse. Attraverso il Logo si attiva un meccanismo di identificazione: la simbologia riprende immagini che vengono associate a contenuti importanti per gli elettori, come il lavoro, la famiglia e la libertà. Durante le campagne elettorali vengono create divisioni e contrapposizioni sempre più fittizie dato che tutte le formazioni partitiche sono a servizio di chi le finanzia, ovvero del gruppo dominante. Oggi è sempre più evidente che i Partiti predicano di avere a cuore l'interesse di tutti, ma in realtà non sono a servizio della collettività. Anche i Partiti di sinistra, che prima difendevano i diritti dei lavoratori, hanno assunto prospettive favorevoli al rafforzamento del potere dell'oligarchia dominante, e attuano politiche simili a quelle dei partiti di destra.
Il punto è: come si può pensare di avere una democrazia attraverso formazioni non democratiche? E' un paradosso.

La prova che la sovranità è sottratta al popolo sta nella realtà inoppugnabile di mancato rispetto della volontà popolare su questioni importanti, come la presenza massiccia di basi militari americane sul nostro territorio, la costruzione della Tav o la privatizzazione delle nostre risorse senza chiederci conto. Ci hanno convinti che significa avere potere politico se alle elezioni si può scegliere fra "destra" e "sinistra", anche se in concreto la nostra volontà viene calpestata. Quando i cittadini chiedono concretamente che venga rispettata la loro si scatena una campagna mediatica infamante contro coloro che osano contraddire il governo, e così si evita di concedere il benché minimo reale potere ai cittadini.
Le nostre autorità, pur spacciandosi per "democratiche" non hanno alcun rispetto per la volontà popolare. Ad esempio, tempo fa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, disse, in riferimento alla manifestazione di Vicenza, che le "manifestazioni (sono) legittime, ma sono le Istituzioni a decidere... E' nel riconoscimento della rappresentatività delle Istituzioni elettive che ogni forma di partecipazione deve trovare la sua misura".(3)
Queste parole attestano che egli ritiene che, una volta salite al potere determinate persone indicate dai Partiti, la volontà della cittadinanza si possa calpestare. Ma non ci viene spiegato che la democrazia è il sistema politico in cui il popolo è sovrano? O è sovrano soltanto il giorno in cui va a votare? Ricordiamoci che anche Adolf Hitler fu regolarmente eletto all'interno di un sistema partitico.

L'attuale sistema partitico è frutto di un'elaborazione delle autorità inglesi, che avevano l'intento di evitare che col tempo le colonie pretendessero l'indipendenza. Occorreva un sistema che desse la sensazione di avere potere, ma che al contempo permettesse all'oligarchia di mantenere completamente il controllo. Il sistema è stato introdotto per la prima volta nel 1855, nelle colonie inglesi, come Australia e Nuova Zelanda, per dare l'impressione che qualcosa fosse cambiato e che i cittadini avessero acquistato potere politico. Ma in realtà non cambiava nulla, perché i partiti che si contendevano il potere erano controllati dalle autorità inglesi. Lo stesso modello partitico venne introdotto anche negli Stati Uniti e in Europa. Col passar del tempo molti elettori anglosassoni si resero conto della truffa, e la quantità di coloro che si recavano alle urne diminuiva di anno in anno, fino a toccare i livelli bassissimi di oggi (30/40%). Alla fine della Prima guerra mondiale, il modello partitico era in grave crisi, a tal punto che gli storici Charles e Mary Beard, scrissero che i partiti si erano "accampati" come un "esercito permanente".(4) E infatti proprio di un controllo militaresco si tratta, anche se non avviene con divise e armi.
L'uso di formazioni create dall'alto, che manipolano le decisioni degli individui, non è prerogativa della politica, ma una tecnica manipolatoria assai diffusa anche negli ambienti finanziari, economici e giuridici. Lo scopo è quello di determinare dall'alto effetti che senza un vertice di controllo non si potrebbero avere. Ad esempio, anche il controllo delle nomine del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) avviene grazie ad una tecnica simile al sistema dei partiti in politica. Come nel sistema dei partiti, si impone al singolo il principio degli schieramenti, obbligandolo così a votare un determinato magistrato scelto da tutto lo schieramento a cui appartiene. Secondo il magistrato Antonino Caponnetto si tratta di un sistema che rende inefficiente e clientelare la magistratura:

"Il CSM è un groviglio inestricabile di interessi di varia natura... incrostazioni corporativistiche, correntizie, e politiche provocano uno stato di paralisi nei rapporti con le istituzioni... Negli ultimi anni quest'organismo ha dimostrato di non riuscire a svolgere una politica giudiziaria credibile, efficace, coerente... (occorre) Togliere forza alle correnti, che sono diventate un punto di debolezza: i magistrati dunque dovrebbero rispondere direttamente alla loro coscienza... la designazione da parte dei partiti, diretta dall'alto, è diventata un inconveniente. Bisognerebbe sostituirla con una elezione più libera da parte del Parlamento".(5)

Il sistema di controllo, dunque, si articola, come nel settore politico, sulla creazione di "fazioni" che determinano un'appartenenza o uno schieramento obbligatorio, indispensabile a canalizzare le nomine e a controllare l'operato della magistratura. In tal modo, l'organismo, anziché perseguire gli interessi generali (ad esempio combattere realmente la mafia), risulta manipolato e limitato dal sistema oligarchico. Chi fuoriesce da queste logiche viene ostracizzato, oppure, se tenta di diffondere il suo punto di vista, viene messo in cattiva luce dai mass media.
La nostra è dunque una "democrazia" manipolata dall'alto, che mira a farci credere che chiunque possa diventare parlamentare, mentre in realtà le candidature vengono severamente e accuratamente selezionate dall'alto, in modo tale da ridurre al minimo la presenza di persone "normali", che hanno l'intento di operare per il bene comune. In tal modo il Parlamento risulta un'istituzione corrotta, sottomessa al potere del più forte e non all'interesse generale. Chi dubita di questo valuti il comportamento del nostro Parlamento: le leggi che vengono fatte servono a migliorare la vita di tutti? Si stanno abolendo le leggi che permettono lo sfruttamento lavorativo? Si stanno facendo leggi per distruggere la mafia? Si sta facendo in modo da restituire ai cittadini la sovranità monetaria?
Queste e molte altre questioni ci dimostrano che i Partiti non candidano nessuno che possa mettere a rischio il potere del gruppo che oggi affligge il nostro paese e ne impedisce la crescita.
L'unico modo per riprenderci la sovranità è quello di sbarazzarci dei Partiti e di tutti coloro che essi pretendono di imporci dall'alto.



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NOTE

1) Bernays Edward L, "The importance of public opinion in economic mobilization", Unknown Binding, Washington 1953.
2) "Report", 1 ottobre 2006.
3)http://www.repubblica.it/2007/02/sezioni/cronaca/base-usa-vicenza-due/napolitano-piazza/napolitano-piazza.html
4) Cit. Testi Arnaldo, "Trionfo e declino dei partiti politici negli Stati Uniti, 1860-1930", Otto Editore, Torino 2000, p. 2.
5) Caponnetto Antonino, "I miei giorni a Palermo", Garzanti, Milano 1993,
p. 105.

LA DISSIDENZA E IL G8

Di Antonella Randazzo

14 settembre 2007


Perché le autorità di alcuni paesi si riuniscono nei cosiddetti "G8"? Considerando che queste persone si incontrano anche senza alcun bisogno di notificarlo alla stampa (non soltanto nei noti appuntamenti annuali delle riunioni del Bilderberg o di altri club esclusivi), occorre capire i motivi di queste riunioni così ampiamente notificate.
I componenti del gruppo oligarchico sono spesso in contatto fra di loro, bisogna immaginarli come una banda di delinquenti, che agisce con grande complicità, anche se talvolta litiga per la distribuzione del bottino, come avviene in tutti i gruppi criminali. Allora perché il G8? Possiamo fare delle ipotesi per rispondere a questa domanda. Consideriamo cosa accade nei giorni del G8 e cosa i mass media mettono in evidenza. Accade che le autorità manifestano l'intenzione di deliberare su determinate questioni importanti e fondamentali per il futuro del pianeta, questioni che tutti gli esseri umani conoscono: fame nel mondo, disparità fra paesi ricchi e paesi poveri, disastri ambientali, ecc. Alla fine, puntualmente, non deliberano nulla di importante e di significativo, tuttavia si è parlato delle questioni fondamentali e si è detto che le autorità le stavano affrontando. In sintesi, i media danno ad intendere che le nostre autorità sono impegnate a trattare i temi che più ci stanno a cuore, e addirittura, per affrontarli, organizzano un vertice. Di fatto queste autorità non sono per nulla interessate ad affrontare i problemi del mondo e tanto meno a risolverli, tuttavia il G8 diffonde la notizia contraria, attestando un impegno che non c'è.
Le autorità del G8, dopo il vertice, esaltano puntualmente presunti "importanti risultati dell'incontro" o presunti "successi", senza spiegare bene cosa faranno e come. Dunque, il G8 potrebbe avere soprattutto una motivazione propagandistica, che però non sarebbe l'unica.

E' accaduto spesso che tali riunioni fossero accompagnate da eventi musicali come i "Live Aid", allo scopo dichiarato di stimolare le autorità a mettere al primo posto questioni relative allo sviluppo del Terzo Mondo o alla difesa dell'ambiente. I concerti del Live Aid, di fatto, permettono a diverse persone di avere guadagni consistenti, e non modificano in alcun modo il comportamento dell'oligarchia dominante. Non bisogna sorprendersi per questo, dato che le richieste di difesa dei diritti umani vengono avanzate a coloro che rappresentano il gruppo di persone che ha voluto creare la situazione di povertà e di devastazione in cui il mondo oggi versa. Chiedere che queste persone cambino è come chiedere a un leone di diventare vegetariano.

Ci viene detto che fanno parte del G8 i "paesi economicamente più sviluppati", e allora come mai ne fa parte il moscerino Italia e non il gigante Cina? La verità è che fanno parte del G8 le autorità che rappresentano l'élite egemone occidentale, e i loro "vassalli" più o meno sottomessi.
Le autorità che si riuniscono sono quelle dei sette paesi del G7, più la Russia. I sette paesi sono Usa, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Canada. Durante il summit, i rappresentanti di questi paesi dicono di voler discutere le questioni più importanti di politica internazionale, al fine di delineare l'assetto futuro del mondo.
Ci viene detto che si tratta di una riunione degli otto "grandi", ma, stranamente, sono escluse India e Cina, i due paesi che negli ultimi anni hanno avuto uno sviluppo economico non certo irrisorio. Soltanto negli ultimi anni la Cina è stata invitata ad assistere, senza però farne parte. All'ultimo summit, del giugno 2007 in Germania, sono stati invitati Brasile, Cina, India, Messico, e Sudafrica, ma soltanto come "alleati e concorrenti del mondo industrializzato".
Ormai gli Stati Uniti, l'Europa e il Giappone controllano il 44% della produzione mondiale, mentre il 56% del PIL mondiale è prodotto soprattutto dalla Cina e dall'India. Dunque i paesi più forti economicamente non fanno parte del summit, e ciò fa credere erroneamente all'opinione pubblica mondiale che l'area di potere statunitense sia forte come prima, quando, dopo la Seconda guerra mondiale, soltanto gli Stati Uniti producevano la metà di tutto quello che si produceva nel mondo. Ma le cose sono molto cambiate. La Cina e l'India hanno oggi il più alto tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo, e allora come mai non fanno parte del summit a tutti gli effetti?
Come mai l'Italia, nonostante la sua attuale insignificanza politica ed economica ne fa parte?
Negli ultimi anni si è consolidata sempre più la vicinanza fra India, Cina e Russia, a tal punto che i tre paesi hanno stipulato importanti accordi economici e attuato esercitazioni militari congiunte. Il 17 marzo del 2006, nonostante la ferrea opposizione delle autorità Usa, India e Russia hanno raggiunto un accordo per la cooperazione nel settore dell’energia nucleare ad uso civile. Nel National Security Strategy del 2006, gli Usa spiegano che in futuro la Cina potrà essere un pericolo per gli Usa poiché potrà "competere militarmente con gli Stati Uniti e con le sue avanzate tecnologie militari".
Cosa sta avvenendo oggi riguardo alle presunte rivalità o contrasti fra Cina, Russia e Stati Uniti? Le nostre autorità non ci fanno sapere nulla a questo proposito, però ci fanno sapere chi sono gli otto "grandi" e quali sono le autorità preminenti.

Al G8 gli oppositori non vengono invitati, nonostante il sistema si autodefinisca "democratico". Non viene contemplata nemmeno lontanamente la possibilità di poter ospitare una delegazione che rappresenti le istanze sollevate dai dissidenti di tutto il mondo. In fondo cosa chiedono le varie associazioni umanitarie? Esattamente quello che le autorità dicono di voler rispettare: la difesa dei diritti umani. E allora perché li lasciano fuori? Perché chiedono interventi precisi e non vaghe promesse. Chiedono norme per un commercio più equo, la tutela delle risorse necessarie alla vita, come l'acqua, e che i popoli del Terzo Mondo abbiano assistenza sanitaria e tutto il necessario per una dignitosa sopravvivenza.
Le autorità del G8 vogliono mostrare la dissidenza come esclusa dal sistema, come estranea alla "normalità". Dunque, un altro motivo dei G8 è la possibilità di strumentalizzare la folla dei manifestanti per criminalizzare o ridicolizzare la dissidenza. I media mostrano i manifestanti come un branco di scalmanati incapaci di rispettare le autorità, o come gruppi di violenti squilibrati. Non risulta che abbiano mai notificato l'impegno delle diverse associazioni di lotta per i diritti umani. Che le abbiano mostrate al telegiornale con una dignità ideologica, o che, in occasione dei G8, abbiano intervistato i leader per mostrare a tutti quale spessore morale e spirituale ci possa essere nel desiderare "un mondo migliore". Nulla di tutto ciò, vengono mostrate soltanto persone che corrono col volto mascherato, oppure che colpiscono le forze dell'ordine. Nei giorni del summit, i media mostrano, oltre a queste immagini dei manifestanti, anche la classica immagine delle autorità in posa per la foto di rito, mettendo così in evidenza il contrasto fra l'impulsività violenta dei dimostranti e la serietà e l'impegno delle autorità. Può essere una propaganda assai efficace.
L'oligarchia utilizza anche metodi per rendere poco efficaci o controproducenti le manifestazioni di dissidenza. Ad esempio, negli ultimi anni, le autorità statunitensi hanno utilizzato diversi metodi per diminuire o rendere difficili le proteste. Quando c'è un evento che potrebbe scatenare una protesta vengono preparati appositi luoghi per "ospitare" le centinaia di manifestanti arrestati, oppure viene preparata una "contromanifestazione", con tanto di cartelli "con messaggi favorevoli", per confondere e indebolire l'effetto della manifestazione. Durante il summit nordamericano in Canada, nello scorso agosto, i manifestanti sono stati tenuti sotto controllo da un elicottero e colpiti con pallottole di gomma e lacrimogeni.
La dissidenza, mostrata come gruppi di sovversivi violenti o di rompiscatole che intralciano il lavoro serio delle autorità, è funzionale al rafforzamento del sistema. In realtà, i disordini, il più delle volte, fanno parte della stessa organizzazione del G8. Questo vuol dire che le forze di polizia organizzano anche le infiltrazioni nei cosiddetti "black bloc".
A Genova molti manifestanti si sono accorti che diversi elementi che si erano spacciati per "black bloc", prima del corteo, erano stati visti in stretto contatto con le forze di polizia, come se ne facessero parte o dovessero assolvere alcuni compiti. A questo proposito, sono giunte diverse testimonianze di manifestanti italiani e stranieri ai microfoni di Radio Gap. Un black bloc tedesco, Adrian, in un'intervista asserì che a loro si erano uniti elementi originariamente estranei, e che mentre i veri black bloc distruggevano simboli del potere (banche, negozi di MacDonald's, Blockbuster, ecc.), gli altri incendiavano automobili e distruggevano negozi di persone comuni.(1)
Chi sono i black bloc (Blocco Nero)? Si tratta di un gruppo di persone non ben definite dal punto di vista ideologico. Quello che si sa è che vestono di nero e sono privi di un’organizzazione, di una sede o di un giornale. Un gruppo del genere è facilmente infiltrabile e strumentalizzabile come si vuole, o per criminalizzare i dissidenti, o per creare caos, violenza e scompiglio durante le manifestazioni di protesta.
Nei giorni del G8 di Genova, i black bloc, col viso coperto e con bandiere nere hanno inscenato una sorta di girotondo, dopo il quale iniziarono le devastazioni. Cittadini e manifestanti assistettero sgomenti al fatto che questi gruppi non vennero quasi per nulla contrastati dalla polizia.
Le forze dell'ordine dovevano andare verso piazza Giusti, mentre i black bloc assalivano il carcere di Marassi. Il contingente dei carabinieri, anziché andare a fronteggiarli, come veniva loro chiesto dalle numerose telefonate, si diresse verso i manifestanti, iniziando a reprimerli in via Tolemaide. Gli scontri iniziarono quando le forze dell'ordine decisero di iniziare a sparare lacrimogeni verso i manifestanti che si trovavano nella parte autorizzata. Le cariche dei poliziotti, come è stato successivamente accertato, si verificarono a 350 metri dalla zona rossa, e non, come era stato detto, in seguito ai tentativi dei manifestanti di penetrare nella zona interdetta. Questo significa che si è voluto colpire il corteo deliberatamente. E' stato volutamente creato il caos, e la manifestazione fu trasformata in guerriglia. Esistono molti filmati, alcuni dei quali sono stati mostrati soltanto da recente (dopo l'inizio del processo), in cui si vede la violenza delle forze di polizia diretta contro i manifestanti inermi. In seguito alle lotte di guerriglia, come sappiamo, è morto Carlo Giuliani. Ad oggi molte cose non sono state chiarite riguardo a quel delitto. Non è stato nemmeno analizzato accuratamente il filmato della morte del ragazzo, per poter capire la vera dinamica dei fatti.

Quel battaglione che andò in via Tolemaide non doveva trovarsi lì perché l'ordine ufficiale era quello di andare dove c'erano i black bloc, e le nostre autorità non ci hanno ancora spiegato perché accadde tutto questo. Sono stati volutamente creati due fronti: i poliziotti messi nel panico e i manifestanti repressi pieni di rabbia o costretti a difendersi. Entrambi i fronti, seppur in modo diverso e con diverse considerazioni di responsabilità, rappresentavano il frutto delle precedenti manipolazioni.
Il G8 di Genova era stato molto pubblicizzato a partire dal 1999, e ciò aveva creato attesa e speranza nelle organizzazioni a difesa dei diritti umani, come potesse essere un grande momento per chiedere importanti riforme o sollevare questioni fondamentali. Le associazioni iniziarono a riunirsi dall'ottobre del 2000, preparando interventi e piani sui temi che sarebbero stati sollevati: la cancellazione del debito dei paesi poveri, l'opposizione alla privatizzazione dell'acqua, il prezzo dei farmaci per curare le malattie che devastano il Terzo Mondo, ecc.
A partire dalla primavera del 2001, fu annunciata una grande mobilitazione delle forze dell'ordine per il G8. Almeno 13.000 agenti avrebbero presidiato le strade di Genova. Le squadre di polizia vennero appositamente aizzate nei mesi precedenti, attraverso metodi di esercitazione che prevedevano anche tecniche di manipolazione mentale, come la ripetizione di frasi del tipo "Vedrai che violenza si scatenerà", "Vedrete cosa accadrà...chi tornerà a casa sarà fortunato". Con queste tecniche miravano a preludere una vera e propria battaglia fra manifestanti e forze di polizia. A poco a poco gli agenti furono messi nel panico psicologico. I poliziotti rappresentano una sorta di "manovalanza" che obbedisce ciecamente ai superiori e fa il lavoro "sporco". Con ciò non si intende dire che essi siano irresponsabili delle loro azioni, ma che, essendo diretti dall'alto, devono dividere le responsabilità con le autorità in carica. Forse ha un senso ciò che un manifestante, sgomento dall'ingiustificato scoppio della violenza, disse: "Ma non volete capirlo?... Siamo tutti pupazzi, questo è come un Truman Show".(2)
In un documentario mandato in onda su La7 il 19 luglio 2007, dal titolo "Genova 2001. Il seme della follia", sono state trasmesse le voci di coloro che in quei giorni chiamavano la polizia in seguito alle distruzioni che stavano avvenendo ad opera dei black bloc. Quello che colpisce da queste conversazioni è il tono pacato di chi risponde, che ricorda assai l'assistenza che gli operatori dei call center forniscono ai clienti. Come se non si trattasse di un'istituzione di protezione e di vigilanza ma di un "servizio clienti". In tal modo svilito, il servizio si autoderesponsabilizzava per tutto quello che stava accadendo. Ad esempio, si sente una persona che dice allarmata: "Mi hanno aperto la saracinesca del negozio!" e la voce risponde con tono indifferente ma ossequioso "perfetto, signora, la ringrazio!". Un'altra persona urlava: "Stanno buttando bottiglie incendiarie!", e la ragazza rispondeva calma e distaccata: "D'accordo, buongiorno". Un altro diceva "Mandate qualcuno immediatamente perché stanno rovinando tutto!". Risposta: "Sì, sì".
Di fatto, com'è stato accertato in seguito, nei punti "caldi", in cui i black bloc o eventuali infiltrati stavano distruggendo la qualsiasi, non c'era nessun poliziotto. Per questo centinaia di cittadini telefonarono alle centrali di polizia per segnalare le zone in cui c'erano persone violente, ma non si ebbe alcuna risposta proporzionata alla richiesta di protezione della cittadinanza. Le registrazioni lo provano. Molte persone chiedevano "Qui non c'è nessuno della polizia, dov'è la polizia?" e veniva loro risposto "Dicono tutti così, ci stanno, ci stanno, sennò la polizia dov'è?" Facendo credere che erano i cittadini a sbagliarsi, come se le pattuglie della polizia potessero facilmente non essere viste.
La verità non veniva detta. La polizia si trovava nelle zone dove c'erano i manifestanti pacifici, ad esercitare le loro funzioni repressive, come molti filmati provano.
Presi dallo sconcerto, alcuni manifestanti iniziarono a telefonare a "Radio Gap" raccontando le strane vicende che stavano vivendo. Alcuni raccontarono di strani personaggi vestiti come i black bloc, oppure con magliette con l'effigie di Che Guevara, che conversavano con esponenti delle forze dell'ordine nella zona rossa. Altri raccontarono di persone appartenenti alla polizia di Stato o personalità militari che erano muniti della tessera che li identificava come giornalisti.
Molti manifestanti (come anche i cittadini che chiamavano la polizia) raccontarono che le forze dell'ordine non mostravano alcuna intenzione di isolare coloro che attuavano devastazioni, al contrario, sostenevano la loro presenza, quasi la proteggevano, come fossero coadiuvanti.
Le forze di polizia attaccarono deliberatamente, con lacrimogeni e manganelli, parti del corteo che non avevano dato alcun segno di provocazione o violenza. Anziché mantenersi distanti dal corteo e astenersi dal provocare, come avrebbero dovuto, i carabinieri e i poliziotti fecero il contrario, creando un clima militarizzato e violento. I blindati della polizia di Stato avanzarono verso il corteo, come se si fosse in guerra, e strinsero in una morsa i manifestanti, per creare panico e nervosismo. Numerosi filmati documentano fatti agghiaccianti: persone con le braccia alzate prese a manganellate sulla testa o sulla schiena, donne e giovani gettati a terra e presi a calci, lacrimogeni sparati in faccia, persone pestate e ammanettate, ecc. Alcuni carabinieri, mentre picchiavano gridavano "Ti uccido!" "Ti sto ammazzando!".
Anche la stessa Radio Gap fu vittima della furia del regime: per impedire che continuasse a trasmettere le telefonate dei manifestanti, fu assaltata dalla polizia. Mentre i poliziotti cercavano di entrare, i presentatori urlavano: "Stanno cercando di sfondare la porta, incredibile!", "Siamo come topi in trappola, non abbiamo fatto nulla di male! Stiamo semplicemente informando su quello che sta facendo questo Stato criminale", "Eccoli! Stanno entrando con i manganelli!".(3) In tal modo Radio Gap è stata zittita.
Alcuni manifestanti ebbero la fortuna di stare nella parte del corteo che non fu aggredita dalla polizia, in cui rimase una relativa tranquillità. Queste persone raccontarono che nel corteo si era creata un'atmosfera meravigliosa, prevaleva un grande sentimento di solidarietà fra gruppi diversissimi fra loro. Ad esempio, c'erano i Curdi che esibivano striscioni con cui inneggiavano al diritto alla libertà, oppure i dissidenti turchi che portavano messaggi di fratellanza e cooperazione.
Un clima così positivo non è stato tollerato, e non si è permesso che una grande manifestazione di dissidenza potesse diventare altamente costruttiva ed edificante per centinaia di migliaia di esseri umani che provenivano da svariate parti del mondo.
Si ebbe anche un corteo di 50.000 migranti, e anche in quel caso i black bloc cercarono di infiltrarsi per creare scompiglio, ma non vi riuscirono. Il corteo della Rete Lilliput era il più pacifico e tranquillo, al suo interno c'erano anche numerose famiglie con bambini, ciò nonostante (o forse proprio per questo) è stato il più attaccato e brutalizzato. I militari non si fecero alcuno scrupolo a malmenare donne e ragazzini, coperti da caschi e da maschere antigas che hanno reso impossibile il riconoscimento.
Racconta la psicologa Marina Pellis Spaccini: "A un certo punto la carica è avanzata e i poliziotti hanno iniziato a colpire e uno di loro mi dette un colpo in testa... pensavo 'questi sono i poliziotti che dovrebbero proteggerci'".(4)
Persone inermi furono pestate, caricate e ammanettate, compresi giornalisti e fotoreporter. Qualcuno gridava "Perché?" oppure "Sono della Rai!"
Un impiegato, Paolo Fornaciari, spiegò: "I poliziotti caricavano con i blindati che andavano ad alta velocità... come non accadeva dagli anni Settanta".
Un ragazza giovanissima, la studentessa Arianna Subri, si ritrovò in stato di fermo, minacciata di violenze sessuali dai poliziotti. Racconta: "C'era un bar... ho sentito urla e ho visto un ragazzo che sanguinava alla testa... mi sono accorta che tutti si erano allontanati dall'uscita del bar perché c'erano poliziotti che continuavano ad aggredire... Un poliziotto mi ha spaccato la macchina fotografica, mi ha messo con la faccia al muro e mi diceva 'se stati zitta non ti succede niente'... Poi mi hanno picchiata e mi dicevano 'cosa ci fai qui, puttana comunista! lo vedi che non capisci cos'è la globalizzazione?'... Non capivo il perché di tutto questo... poi ci hanno portati dove c'erano anche donne con la divisa da poliziotte, io dissi: 'non ho fatto nulla, ero in bagno', e mi risposero 'eri in bagno a fare i pompini, dopo ce li fai vedere".(5)
Le persone arrestate furono ammanettate e di tanto in tanto venivano picchiate e minacciate di morte con frasi del tipo: "vi facciamo la festa! vi mettiamo in gabbia con i cani". Molti poliziotti che minacciavano violenze avevano il viso coperto. I prigionieri venivano pestati anche per costringerli a tenere la testa bassa in segno di sottomissione e per non guardare negli occhi i poliziotti. Probabilmente si trattava di una regola atta a non creare solidarietà fra aggressori e aggrediti (il guardarsi negli occhi può favorire sentimenti positivi fra gli umani e scoraggiare le violenze). I poliziotti si divertivano a fare inciampare i prigionieri oppure a terrorizzare le donne con commenti sessuali e allusioni a violenze future. Ad esempio dicevano "Io mi prendo quella, tu prenditi quell'altra" o "dopo vedrete cosa succederà". Alcuni prigionieri sono stati costretti a fare il saluto fascista mentre i poliziotti urlavano "sporchi comunisti!", oppure davano colpi ai testicoli e alla testa e urlavano "un, due, tre, viva Pinochet" oppure frasi ingiuriose contro i neri e gli ebrei.
Per picchiare meglio, i poliziotti utilizzavano manganelli particolari, considerati "fuori ordinanza". Si trattava del manganello "Tonfa" sperimentato per la prima volta dai poliziotti di Los Angeles. Il tonfa è considerato una vera e propria arma.
Alla fine si registrarono almeno 140 feriti (conteggiati solo quelli che andarono a farsi medicare nelle infermerie) e un morto. I militari avevano sparato almeno 6200 lacrimogeni e alcune decine di proiettili.
L'allora ministro dell'Interno Claudio Scajola così rispose alle critiche sollevate da coloro che avevano visto come si erano comportate le forze di polizia: "Non è che i violenti portassero al braccio un segno di riconoscimento". Tuttavia, sappiamo che i black bloc erano del tutto riconoscibili, avendo anche fatto una sfilata con le bandiere nere prima di iniziare i "lavori". Il ministro sapeva assai bene che era possibile intervenire ad isolare i violenti, e che è stato deliberatamente scelto un altro comportamento: hanno lasciato che si sviluppasse un clima di violenza, fomentandolo essi stessi, potendo così picchiare e terrorizzare centinaia di persone che si trovavano lì per testimoniare la loro dissidenza e non avevano alcuna intenzione di avere comportamenti violenti. Si trattava di studenti, insegnanti, lavoratori di tutti i tipi, e persino persone non giovanissime, pestate senza pietà.
Come tutti sanno, il 21 luglio del 2001 le forze di polizia entrarono con violenza alla scuola Diaz, una delle sedi concesse dal comune ai manifestanti come ostello e sala stampa. 150 uomini del reparto mobile e della Digos sfondarono i cancelli, che erano chiusi con i lucchetti, e iniziarono a pestare tutti. Raccontò una ragazza, Lena Zulk: "Ho visto il cortile davanti alla scuola pieno di poliziotti, abbiamo sentito colpi di manganello dati contro il muro. Abbiamo iniziato a correre... ci siamo nascosti in uno sgabuzzino. La porta dello sgabuzzino è stata scavalcata con violenza. I poliziotti hanno trascinato fuori prima il mio ragazzo e hanno cominciato subito a picchiarlo. Mi hanno trascinata giù tirandomi per i capelli. Io ero aggrappata al poliziotto che mi trascinava, mentre gli altri dietro mi picchiavano sulla schiena e sulle gambe. Vedevo tutto nero, stavo per svenire o loro continuavano a picchiare e a dare calci dappertutto. Quando sono arrivata al pronto soccorso hanno scoperto che avevo costole rotte e che alcune si erano conficcate ad un polmone e lo avevano perforato".(6)
Tutti i testimoni raccontarono di pestaggi violentissimi da parte della polizia, contro persone inermi.
Subito dopo il fatto, le autorità cercarono di minimizzare le violenze e di giustificarle dicendo che erano andati a cercare i black bloc, ma ciò non può essere credibile dato che durante la giornata questi ultimi avevano devastato negozi, distrutto automobili e tutto quello che capitava loro a tiro, sotto gli occhi dei poliziotti. Come mai in quel momento non erano interessati a reprimere il loro comportamento violento e soltanto dopo avevano deciso di cercarli?
Soltanto sei anni dopo, si è capito che le truppe di regime erano state mandate apposta per terrorizzare e reprimere persone che avevano la "colpa" di essere dissidenti. La verità emerse anche dalle testimonianze delle stesse forze di polizia. Durante il processo svoltosi il 13 giugno 2007, il vice questore Michelangelo Fournier confermò questo quadro agghiacciante:
"Arrivato al primo piano dell'istituto ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana. Sono rimasto terrorizzato e basito quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura che stesse morendo. Fu a quel punto che gridai: 'basta basta' e cacciai via i poliziotti che picchiavano... Intorno alla ragazza per terra c'erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze".(7)
Alla domanda "perché non l'ha detto prima questo?", Fournier rispose: "(Per) il senso di appartenenza, che può essere confuso anche con l'omertà. In un momento così difficile, per tutto quello che si stava levando. Non me la sono sentita, non ho avuto il coraggio di dover rilevare in sede così significativa come quella di un procedimento penale un comportamento così grave".(8)
Lo "spirito di appartenenza" potrebbe dunque far tacere la coscienza per anni.
Lo stesso Massimo D'Alema definì l'assalto alla Diaz come "rappresaglie di tipo cileno".
Oggi ci sono 27 imputati nel processo all'assalto alla scuola Diaz, tra agenti e funzionari di polizia. Le accuse sono falso, calunnia e lesioni gravi. Anche il capo di polizia Gianni De Gennaro è stato iscritto nel registro degli indagati per istigazione e rendere falsa testimonianza.

I fatti di violenza del G8 di Genova oscurarono completamente il senso dell'incontro, il motivo e i risultati. Nessuno seppe cosa si erano detti gli otto "grandi", cosa avevano deciso e su cosa avevano discusso.
Le varie associazioni dovettero constatare che ancora una volta i popoli non avevano avuto alcun peso nelle decisioni delle autorità e nelle questioni che esse mettono sul tappeto. Per contro, la dissidenza ne era uscita malconcia, e le immagini delle violenze avevano fatto il giro del mondo, lasciando intendere che manifestare significa mettere in pericolo la sicurezza pubblica. Ancora una volta le tecniche di manipolazione avevano avuto il loro effetto.
Ad incorniciare tale successo, giunsero le parole dell'allora presidente della Repubblica Azeglio Ciampi: "Provo sgomento e dolore per la giovane vita spezzata. Mi rivolgo ai dimostranti perché cessi da subito questa violenza che non dà contributo alcuno alla soluzione dei problemi della povertà nel mondo". Queste parole servirono a suggellare l'idea che tutta la colpa era da imputare ai manifestanti, come si trattasse di gruppi di persone irresponsabili e stupide, che pensano di risolvere i problemi della fame nel mondo con la violenza. E' questa l'idea della dissidenza che il gruppo dominante vuole propagandare, e fino ad oggi, anche grazie ai G8 ci è riuscito. Ciampi addossò ingiustamente tutta la responsabilità delle violenze ai manifestanti, non facendo alcun cenno sulle responsabilità delle forze di polizia nell'iniziare la guerriglia.
Le autorità si permettono di fare la paternale stando dalla parte del più forte, e anche se producono miseria, morte e guerra, vogliono apparire persone equilibrate e sagge.
In tutto questo c'è soltanto una buona notizia: se sono stati così violenti è perché i cortei avevano riunito tantissime persone che avrebbero potuto influire positivamente e accrescere il numero di coloro che si rendono conto della disumanità dell'attuale sistema. E' un'amara verità, ma significa che il gruppo al potere ha paura, anzi, per reagire in questa maniera significa che ha davvero tanta paura.

Se credete che il sistema sia a servizio e a protezione dei cittadini e che i dissidenti abbiano spazio per esprimersi e vengano sempre tollerati dal potere, allora forse sarebbe utile approfondire ciò che accade in tutti i G8 e in altre manifestazioni analoghe, anche se forse le autorità italiane sono state di mano particolarmente pesante, utilizzando metodi in uso nelle dittature. Ma il dissenso, quando sta per produrre effetti, non viene mai tollerato dall'attuale sistema di potere, che cercherà modi subdoli e crudeli per reprimere e terrorizzare, con l'obiettivo di scoraggiare le lotte. Le violenze non sono casuali o imprevedibili, al contrario, fanno parte del piano atto a destabilizzare la dissidenza e a renderla debole psicologicamente. L'obiettivo è produrre effetti devastanti sulla psiche, e purtroppo a Genova ci sono riusciti, come spiega la psicologa Marina Pellis Spaccini: "Sono stata segnata profondamente, è un'esperienza che è riuscita a distruggermi, e se ha distrutto me che sono adulta, figuriamoci i giovani".(9)
L'unico modo per non farsi distruggere è quello di essere consapevoli del potenziale distruttivo e repressivo dell'attuale oligarchia dominante. Credere di poter ottenere protezione e rispetto dei diritti umani dalle stesse persone che uccidono e torturano in molte parti del mondo è un'illusione che può avere un costo molto alto.


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BIBLIOGRAFIA

Bartesaghi Enrica, "Genova il posto sbagliato. La Diaz, Bolzaneto, il carcere: diario di una madre", Nonluoghi, 2004.
Baschiera Stefano, Cipolloni Marco, Levi Guido, "Le strade perdute di Genova. Immagini del G8", Edizioni Falsopiano, 2002.
Bisso Raffaello, Marradi Claudio, "Le quattro giornate di Genova. 19-22 luglio 2001", Fratelli Frilli Editori.
Chiesa Giulietto, "G8/Genova", Einaudi, Torino 2001.
Collettivo antagonista Savonese, "Genova G8, un vertice nel sangue".
Guadagnucci Lorenzo, "Noi della Diaz. La notte dei manganelli e i giorni di Genova nel racconto del giornalista che era dentro la scuola", Editrice Berti.
Ginori Anais (a cura di), "Le parole di Genova", Fandango edizioni, Roma 2002.
Guadagnucci Lorenzo, “La seduzione autoritaria. diritti civili e repressione del dissenso nell'Italia di oggi”, Nonluoghi, 2005.
Magnone Edoardo, Mangini Enzo, "La sindrome di Genova: lacrimogeni e repressione chimica", Fratelli Frilli Editori 2002.
Quattrocchi Angelo, “La battaglia di Genova. Le nostre verità, le loro menzogne”, Ed. Malatempora.


NOTE

1) "Il Secolo XIX", 1 agosto 2001.
2) "Il seme della follia", La7, 19 luglio 2007.
3) Per approfondire vedere Ginori Anais (a cura di), "Le parole di Genova", Fandango Edizioni, Roma 2002.
4) "Blu notte", Rai Tre, 9 settembre 2007.
5) "Blu notte", Rai Tre, 9 settembre 2007.
6) Minoli Giovanni, "La Storia siamo noi", "G8 di Genova 2001", Raidue, 21 giugno 2007.
7) "La Repubblica", 13 giugno 2007.
8) Minoli Giovanni, "La Storia siamo noi", "G8 di Genova 2001", RaiDue, 21 giugno 2007.
9) "Blu notte", RaiTre, 9 settembre 2007.