martedì

NELLA TELA DEL RAGNO I vantaggi e le insidie di Internet

Di Antonella Randazzo

28 agosto 2007

Gli ultimi secoli della nostra Storia sono caratterizzati dall'impeto affannoso del gruppo egemone occidentale ad estendere il suo potere su tutto il pianeta, attraverso guerre, repressioni e massacri. Tale potere ha preso inizio dalle espropriazioni dei contadini e dalla costruzione di un sistema economico-finanziario sempre più basato sulla dipendenza da un nucleo centrale. Attraverso i secoli questo nucleo ha accresciuto la propria potenza militare, mirando a raggiungere una situazione di totale controllo e dominio delle popolazioni. Il sistema di controllo è diventato sempre più sofisticato attraverso i mezzi di comunicazione di massa. La diffusione della TV ha contribuito a diminuire la militanza politica e sindacale, diffondendo il consumismo e il materialismo, spingendo verso uno stile di vita più superficiale ed egoistico, e indebolendo quei valori che avevano animato le lotte popolari all'inizio del XX secolo: la solidarietà, la crescita collettiva e il desiderio di miglioramento delle condizioni spirituali e culturali.
Ciò nonostante, negli anni Sessanta nacque una grande sensibilità verso la condizione dei più deboli e verso i gruppi discriminati. Si ebbe la creazione di molti movimenti e associazioni di lotta per i diritti umani, e le pressioni popolari al cambiamento furono così forti che portarono, nel 1964, all'abolizione della legge del 1798 chiamata "Sediction Act", che impediva la libertà di opinione o di parola attraverso l'accusa generica di "sedizione". Da quell'anno diventò possibile esprimere la propria opinione liberamente, e sollevare critiche verso il sistema. Contro i movimenti giovanili si scatenò una terribile lotta da parte dell'élite al potere: furono prodotte droghe che i servizi segreti diffusero fra i gruppi giovanili e molti leader furono assassinati.
Negli anni Ottanta, in seguito alle politiche di "globalizzazione" nacquero diverse associazioni e movimenti no-global, che sollevarono molteplici problemi relativi alle violazioni dei diritti umani nel Terzo Mondo, chiedendo alle autorità di modificare il loro operato. Questi movimenti potevano disporre di possibilità di rapidi contatti fra le popolazioni, grazie alla diffusione della tecnologia delle comunicazioni. La rete Internet permette la trasmissione delle informazioni fra persone di paesi lontani, anche se, attraverso di essa, il gruppo dominante può identificare i dissidenti, esercitando un controllo più approfondito di quello possibile attraverso i telefoni.

Secondo i dati ISTAT del 2006, il 46,1% delle famiglie italiane possiede un computer e il 35,6% ha l’accesso a Internet (in Europa la media è del 52%). Si usa Internet per entrare in contatto con la Pubblica Amministrazione, per accedere alle biblioteche pubbliche, per l'iscrizione a scuole o a università, per cercare lavoro, per fare acquisti, per socializzare e persino per pagare le tasse. E' in crescita l'uso di Internet nel tempo libero, per scambiare opinioni, per informarsi o per smanettare per il semplice gusto di farlo.
Sulla rete Internet è possibile avere informazioni che non verranno mai date attraverso canali ufficiali, per questo essa genera maggiore fiducia rispetto alla TV e alla stampa, e si percepisce come meno manipolatoria e controllata. In realtà Internet è anch'essa un canale di controllo, anche se offre opportunità di informazione assenti negli altri media. Sulla rete circolano molti contenuti censurati altrove, ma questo non significa che l'oligarchia dominante non trovi altri modi per operare un controllo sull'informazione. Ad esempio, Wikipedia viene definita come un'enciclopedia libera perché scritta da tutti, ma in realtà non è proprio così. Negli ultimi tempi, Wikipedia ha raggiunto un'importanza enorme, e persino motori di ricerca come Google danno la priorità alle sue voci, assegnandole così un grande ruolo informativo. Da numerosi fatti si comincia a capire che anche se Wikipedia offre la possibilità a tutti di scrivere le voci o di modificarle, all'interno di essa appare anche una "mano invisibile" che toglie, aggiunge o cambia.
Il Wikiscanner è un software elaborato dallo studente americano Virgil Griffith, che permette di identificare l'origine delle modifiche fatte alle voci dell'enciclopedia Wikipedia. Fra gli "operatori", che cambiavano, toglievano o aggiungevano contenuti, attraverso Wikiscanner, sono stati identificati la Cia, il Vaticano, le Nazioni Unite e numerose corporation.
Alcune definizioni di Wikipedia venivano per così dire "corrette", togliendo aspetti che non si volevano divulgare perché rivelano fatti negativi del sistema di potere. Ne deriva un'enciclopedia "manipolata", in cui le cose più "scottanti" sono censurate. Ad esempio, il termine "signoraggio" non viene spiegato nella sua verità, e in tal modo viene occultata l'usurpazione della sovranità monetaria del popolo. Se cercate "traffico di droga" leggerete informazioni del tutto parziali e di parte: non si parla ad esempio di come le autorità statunitensi siano coinvolte nel traffico e nella produzione di droga in Afghanistan e in Colombia.
L'informazione su Internet è limitata anche in ordine alla nazione, alla possibilità di approvvigionamento delle informazioni e alle distorsioni o falsità che vi si trovano. Ad esempio, notizie pubblicate soltanto in lingua araba o nell'alfabeto cirillico (usato per scrivere varie lingue slave) non saranno attinte dagli europei occidentali. In Italia arrivano poche notizie sulle ex repubbliche sovietiche, sui Balcani o su paesi arabi come l'Arabia Saudita. Semplicemente le notizie non ci sono, non sono tradotte nelle lingue occidentali. Di conseguenza chi scrive su siti d'informazione indipendente non può riportarle perché non può attingerle da nessuna fonte, a meno che non vada direttamente in quei paesi o abbia contatti con persone che vivono lì.
Non ci accorgiamo di quello che non c'è se non è possibile trovarlo da nessuna parte: né su giornali, Tv o libri. Dunque la nostra informazione, nonostante Internet, è parziale ed esclude alcune aree considerate "scottanti" dalle nostre autorità.
Inoltre, le informazioni reperibili su Internet risentono del "gatekeeper", ossia della selezione e della disponibilità di accesso. Esistono criteri preselezionati di approvvigionamento dell'informazione. Tali criteri possono derivare da "gatekeeper non istituzionali (attraverso il passaparola e le comunità)"(1) o da metodi informatici.
Ciò nonostante bisogna riconoscere il ruolo assai importante svolto dai siti di informazione indipendenti, e la vivacità che possiamo trovare in molti forum e blog. E' senz'altro bello e divertente trovare nuovi siti utili e informativi. Se navighiamo su Internet possiamo sapere molto di più che se ci limitiamo a guardare la TV o a leggere i giornali, tuttavia non bisogna illudersi che con Internet ci si possa liberare facilmente dall'indottrinamento e dalla cultura di massa, perché ciò richiede un impegno costante. La capacità di pensiero libero si acquisisce coltivando la propria mente attraverso la lettura di buoni libri, attraverso interazioni sociali di qualità e altre attività costruttive.
Molte persone si sono disabituate alla lettura trascorrendo ore davanti allo schermo (della TV o del computer), e questo produce effetti passivizzanti che sono funzionali alla cultura di massa.
Internet non è soltanto un canale tecnologico di informazione o di attività sociali ed economiche, è anche un luogo virtuale che produce effetti sul pensiero e sul comportamento. Su Internet si comunica, e la comunicazione è un rilevante fatto sociale. Scrive la professoressa di Economia aziendale Andreina Mandelli: "Possiamo pensare alla rete come modello di organizzazione dei nostri pensieri e della nostra socialità". (2) Non è difficile capire quanti pericoli sono insiti nella possibilità che sia un mezzo tecnologico a condizionare la nostra esistenza a tal punto da determinare forme di pensiero e di socializzazione.
Il modello di comunicazione che la rete offre ha caratteristiche precise, che sfuggono alla maggior parte degli utenti, che dunque risentono inconsapevolmente degli effetti.
Molti studiosi del settore sociologico ed economico producono giudizi sostanzialmente positivi sulla crescita dell'uso di Internet. Questi autori danno per scontato che la tecnologia sia "evolutiva", partendo da assunti epistemologici darwiniani. Assumono implicitamente l'idea che i progressi tecnologici possano rappresentare anche una crescita intellettuale, morale o sociale. Non tengono abbastanza conto del potere che attraverso questi canali si può acquisire, e degli effetti peggiorativi sulle potenzialità cognitive dell'uomo.
Il filosofo Umberto Galimberti osserva che il progresso tecnologico non ha prodotto soltanto effetti positivi: “Per il fatto che abitiamo in un mondo in ogni sua parte tecnicamente organizzato la tecnica non è più oggetto della nostra scelta, ma è il nostro ambiente, dove fini e mezzi, persino sogni e desideri sono tecnicamente articolati e hanno bisogno della tecnica per esprimersi”.(3)
Il pensiero umano condizionato dalla tecnologia, diventa, secondo Konrad Lorenz, un “pensiero tecnomorfo”.(4)
Il sociologo Neil Postman vede la tecnologia come assai pericolosa quando si trasforma in “tecnocrazia totalitaria o totalitarismo tecnocratico”. Ossia quando assume il potere di controllare la società, mentre dovrebbe essere la società a controllare la tecnologia e ad avere senso critico e selettivo nell’accettare o rifiutare alcuni suoi aspetti.
La tecnologia ci abitua ad accettare una realtà che non dipende più da noi anche se ci riguarda. Non dipende dal nostro saper fare, dal nostro pensare o dal nostro volere. Si instilla una dipendenza quasi totale, che ci priva di alcune abilità cognitive che se non utilizzate si atrofizzano.
Gli aspetti negativi di Internet, da capire e contrastare, sono diversi. Il contesto della rete è "asettico", non reale, privo della percezione di oggetti o persone reali, manca l'emotività e l'interazione sociale complessa che soltanto nella realtà si può avere. Gli escamotage per esprimere parte delle emozioni, come il viso allegro o le interiezioni, non ci diranno mai qual'era il vero tono o l'espressione del viso che li accompagnava.
Se definiamo la comunicazione come quell'insieme di possibilità di condividere conoscenze, esperienze e valori, atti a costruire nuovi modi di essere e nuove identità, comprendiamo come il computer non può sostituirsi alla realtà, anzi, può essere nocivo nella misura in cui ci fa credere di poter fare a meno dell'esperienza reale, sostituendola del tutto o in parte con quella virtuale.
Internet non stravolge vecchi equilibri in modo evidente, al contrario, agisce in silenzio, gradualmente, e i suoi effetti sono prodotti in modo inconsapevole. Tende ad eliminare la libera costruzione di simboli e significati, per imporre una realtà predeterminata, a cui l'utente deve passivamente adattarsi, senza accorgersi che le regole del "cyberspazio" non sono quelle della realtà.
Il termine "cyberspazio", utilizzato per la prima volta in un romanzo dal titolo "Neuromancer" scritto da William Gibson, indica un "non-luogo" che ha proprie regole implicite. Questo spazio artificiale tende a sovrapporsi alla realtà fino a sostituirla. Appare attraverso uno schermo, che crea un rapporto, come spiega lo studioso Raphael Lellouche:

"Se, fino a ora, non avevamo che la possibilità di scegliere fra la realtà e il sogno... oggi una terza dimensione si è dischiusa... un terzo polo di esperienza: la simulazione su schermo... Lo schermo è supporto e mezzo di un nuovo rapporto globale con il mondo... L'irruzione e la generalizzazione degli schemi segnala che l'umanità è entrata in una nuova ecologia cognitiva e ambientale del proprio universo artificiale".(5)

Dunque lo schermo, imitando le cose reali, crea esso stesso una realtà, che incide sugli utenti attraverso l'inconsapevolezza e l'abitudine.
Il problema è capire come tale realtà virtuale incide sul nostro modo di costruire conoscenza, di condividerla e di vivere le nostre potenzialità empatiche. Essa può avere il potere di cambiare l'esistenza, modificando i rapporti sociali e le potenzialità cognitive degli individui.
Molti studiosi ipotizzano la riduzione delle complesse potenzialità umane, impoverendo la qualità delle relazioni sociali e l'uso umano di risorse che il computer non potrà mai avere, come l'intuito, la capacità di complessi collegamenti semantici, o lo scambio di "energia" vitale. In altre parole, la ricchezza della comunicazione e della conoscenza "reale" può essere limitata in qualità e quantità. Il filosofo Ray Kurzweil prevede nel futuro una vera e propria invasione tecnologica che sopprimerà le potenzialità umane:

"I computer saranno... dappertutto: nei muri, nei tavoli, nelle sedie, nelle scrivanie, nei gioielli, nei corpi... le persone cominceranno ad avere relazioni con personalità automatiche e le useranno come amici, docenti, domestici e amanti... La maggioranza della comunicazione nel mondo non prevederà l'intervento umano. La maggioranza delle comunicazioni degli umani sarà con una macchina... Non ci sarà più una distinzione precisa tra umani e macchine".(6)

Sembra uno scenario irreale quanto agghiacciante, ma rivela la possibilità non tanto lontana che la tecnologia possa diventare gravemente intrusiva, e che mentre gli oggetti tecnologici diventeranno sempre più attivi nel produrre effetti, gli umani saranno sempre più passivi nel subirli. La diminuzione delle potenzialità cognitive è stata graduale: dalla trasmissione di sapere orale, che vedeva il notevole utilizzo della memoria, alla trasmissione scritta, fino alla codificazione tecnologica del sapere, che richiede l'accettazione passiva delle sue regole implicite. Fino a pochi secoli fa le persone comuni potevano conoscere la realtà nei suoi aspetti essenziali, e padroneggiarla attraverso l'attività. Gradualmente, con gli sviluppi scientifici e tecnologici, è stato inserito l'uso di macchine complesse che la persona comune utilizza senza conoscere appieno né le caratteristiche tecnologiche né gli effetti. La complessità e il determinismo delle nuove macchine hanno prodotto un senso di accettazione passiva di aspetti della realtà che pur appaiono estremamente importanti e condizionanti.

L'esistenza di una sempre più numerosa comunità globale "virtuale" potrebbe produrre pochi autonomi pensatori e molti gruppi omogenei che tenderanno all'autoreferenzialità, diventando fazioni. La mancata complessità comunicativa reale favorisce rapporti basati sull'aggregazione ad un gruppo in cui si svilupperà un alto grado di coesione interna e di rigidezza mentale, che porterà all'intolleranza e all'esclusione dell'"intruso".
Molti soggetti delle comunità virtuali, non potendo disporre di interazioni empatiche, emotive o intuitive, sviluppano la comunicazione con l'altro come un proseguimento della realtà dell'ego, improntata ad aspettative di tipo egoico, ossia che l'altro sia quanto più possibile simile a loro stessi. In tal modo, il senso di gruppo si trasforma in un reciproco riconoscimento dell'ego, che soffoca le differenze e produce radicalità di opinioni. Non saranno dunque la tolleranza o la capacità di imparare dall'altro a guidare i rapporti, ma la ricerca di conferme della propria identità, e la rivendicazione della differenza rispetto ad altri gruppi considerati inadeguati.
Si acquisisce così uno schema cognitivo rigido, in cui risulta difficile il cambiamento, che nella realtà è prodotto dalle esperienze sociali o culturali. I "gruppi virtuali", anche quando nascono per criticare la realtà con l'intento di migliorarla, di fatto possono spegnere l'attivismo e creare un mondo statico perché sostanzialmente privo dell'impulso vitale umano che produce crescita e cambiamenti. Osserva l'economista Jeremy Rifkin: "Le istituzioni che, in un tempo non lontano, hanno spinto gli uomini a combattere battaglie ideologiche... stanno lentamente svanendo, mentre una nuova costellazione di realtà economiche spinge la società e ripensare i legami e i vincoli che nel prossimo secolo definiranno i rapporti tra gli uomini".(7)
Perdendo il contatto emotivo con l'altro si diventa più rigidi e intolleranti quando ci si trova di fronte ad opinioni discordanti rispetto alle proprie, fino a ritenere di non poter dialogare con persone che la pensano diversamente.
Su Internet si può determinare una suddivisione in "greggi", all'interno dei quali si creano significati fondamentali che possono essere trasformati in etichette o diventare dogmatici, riproponendo la medesima realtà di massificazione e di mancanza di libertà di pensiero presente negli altri media. Anziché avvantaggiare le lotte contro l'oligarchia dominante, i gruppi delle comunità virtuali possono produrre passività, rendendo Internet uno strumento efficace per evitare sollevazioni popolari. Ad esempio, i milioni di disoccupati e precari, anziché sollevarsi contro un sistema che li ha privati del futuro, possono stare attaccati al computer a sfogarsi scrivendo sul blog di Grillo o su vari forum.
Siamo abituati a conformarci e ad essere passivizzati e indottrinati, dunque all'interno di Internet molti continuano, senza rendersene conto, a seguire le stesse spinte, poiché acquisire capacità di pensiero autonomo richiede molti sforzi, che non tutti sono disposti ad attuare. Tuttavia, Internet, per la ricchezza di informazioni che fornisce, potrebbe rappresentare il primo passo per costruire una società di persone, che soppianti la vecchia società di massa. La rete può farci capire che è possibile smascherare il sistema e vederlo quale esso è, e si può proseguire a coltivare la mente e lo spirito attraverso altri canali che ci "attivizzano", come la cultura, la socializzazione reale e altre attività costruttive.
Internet incoraggia la depersonalizzazione dei rapporti, rendendoli meno autentici e più superficiali. Ad esempio, i messaggi che si inviano per e-mail hanno di solito un carattere estemporaneo, con idee poco approfondite. Sono il più delle volte messaggi brevi con carattere pratico, e ci disabituano alla scrittura curata, alle idee create dopo una lunga riflessione, o alla scrittura accurata, corretta e forbita, che può esistere soltanto se si è abituati a leggere molti libri.
Su internet si potrebbero ricreare quei meccanismi propri della folla, studiati dalla psicologia sociale. Si tratta di meccanismi che prevedono il superamento delle comuni regole sociali grazie all'anonimato o alla possibilità di un'identificazione fittizia. Il senso dell'anonimato, nelle folle, accresce la possibilità di comportamento non costruttivo o istintivo. Ad esempio, su numerosi forum molti utilizzano un linguaggio che nella vita reale sarebbe da maleducati o irrispettoso. Da ciò scaturisce un falso senso di libertà, come se l'insulto o la critica non costruttiva di per sé potessero garantire la capacità di pensiero libero. In realtà quest'ultimo nasce sempre da un impegno costante e quotidiano, e richiede attività di autoconsapevolezza e di conoscenza. Pensare di conquistare l'indipendenza di pensiero semplicemente potendo criticare o insultare è ingenuo. Certo, essere dotati di senso critico può aiutare, ma tale abilità dovrebbe essere utilizzata in modo costruttivo, e costituisce soltanto il primo passo per raggiungere conoscenze e capacità di pensiero che possono renderci liberi.
Il pericolo è quello di formare gruppi che sfogano la rabbia e la frustrazione attraverso insulti e critiche superficiali, confermando vecchie etichette e stereotipi, come quello del "ribelle al sistema arrabbiato", o del "capo carismatico irriverente".
La questione della lotta al sistema è assai più complessa, e non può certo essere risolta semplicemente identificandosi con un gruppo, anche se questo è capeggiato da un personaggio che sa efficacemente denunciare la situazione attuale. Per contrastare il gruppo dominante criminale occorre essere capaci di superare la fase della protesta per giungere alla rivendicazione di giusti diritti. Per usare un esempio metaforico, immaginate un gruppo di criminali che entra a casa vostra e inizia a distruggere i mobili e a torturare i vostri cari, la reazione giusta non può essere quella della semplice protesta, ma la pretesa che si fermino, paghino per i crimini e liberino immediatamente la casa. Così dovrebbe essere per la liberazione dall'attuale gruppo dominante: criticarli e denunciare i crimini può essere il primo passo, a cui deve seguire la giusta pretesa di costruire uno Stato di diritto, in cui nessuno possa commettere crimini impunemente. Tale consapevolezza è fondamentale per non rimanere allo stato immaturo di sudditi che si lamentano del potere ma non sono capaci di difendere i loro diritti.

Internet può essere nociva alla dissidenza e alle organizzazioni di lotta per i diritti umani, poiché leggendo gli articoli sui siti si tende a non acquistare riviste edite da associazioni o gruppi di cultura indipendenti.
Leggere articoli informativi sui siti indipendenti dà l'illusione di acquisire la necessaria cultura e consapevolezza, ma in realtà ciò non basta a liberarsi dalla massificazione mediatica che si continua a subire tutti i giorni. Occorre leggere buoni libri e acquistare riviste culturali o d'informazione indipendenti. Ciò è importante anche per aiutare gli editori e gli scrittori dissidenti. Se apprezziamo chi ci dice la verità o chi ci stimola culturalmente, dovremmo acquistare i libri o le riviste su cui queste persone scrivono. I giornali di regime vengono sovvenzionati con denaro pubblico, cioè, nostro malgrado, dobbiamo pagare chi ci inganna. Giornali come "Il Corriere della Sera", "La Repubblica", "Libero", "La Padania", ecc. ricevono dal governo milioni di euro, mentre le piccole riviste non allineate ai partiti non ricevono nulla. Alle riviste realmente indipendenti viene negato il finanziamento pubblico, in modo tale che la loro esistenza prima o poi cessi, dunque, è assai importante sostenere la libera editoria.

In rete esistono gli "infiltrati", ossia persone pagate per controllare i siti di controinformazione o i blog indipendenti, e per intervenire in vari modi a intralciare o diminuire gli effetti positivi che gli utenti potrebbero avere. Si tratta di poche persone riconoscibili perché utilizzano le stesse categorie che vengono utilizzate dalla propaganda dei mass media. Ad esempio, definiscono i dissidenti "antiamericani", o fanno in modo che la persona che critica il sistema appaia come estremista o non equilibrata. E' possibile riconoscere queste persone anche perché di solito non si comportano come le persone comuni che, ad esempio, quando non sono d'accordo dicono semplicemente "Su questo non sono d'accordo". Gli infiltrati si comportano come se avessero la verità assoluta in tasca e, ad esempio, scrivono: "Sappi che quello che scrivi è falso". D'altra parte, essi vengono formati a fare questo "lavoro" dalle stesse persone che pretendono di dirci come dobbiamo pensare e cosa dobbiamo pensare. La persona indipendente sta loro sulle scatole e non vedono l'ora di dirle di smetterla di pensare con la sua testa. Ovviamente, oltre a queste tecniche, gli infiltrati utilizzano anche tecniche più sottili, come deviare l'attenzione, soffermarsi su dettagli meno importanti, spostare la questione sull'insulto o sulla denigrazione di persone, ecc.

La rete Internet risulta dunque un canale di passivizzazione e controllo, attuati in modo assai più sottile e nascosto rispetto agli altri mass media. Un "grande fratello" invisibile, che assorbe le nostre energie e trasforma l'esistenza in "merce... diventiamo, così, consumatori della nostra vita".(8)
Internet, dunque, dovrebbe essere utilizzata con intelligenza, cercando ciò che serve, leggendo le informazioni che non vengono date altrove, e contrastandone consapevolmente gli effetti negativi.



Copyright 2007 - all rights reserved.

ATTENZIONE: Questo articolo è protetto dal Copyright.
Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale di questo articolo, inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta di Antonella Randazzo. Per la riproduzione integrale o di parti dell'articolo occorre richiedere l'autorizzazione scrivendo all'indirizzo e-mail giadamd@libero.it



NOTE

1) Mandelli Andreina, "Il mondo in rete", Egea, Milano 2000, p. 193.
2) Mandelli Andreina, "Il mondo in rete", Egea, Milano 2000, p. 9.
3) Galimberti Umberto, "Psiche e techne. L’uomo nell’era della tecnica", Feltrinelli, Milano 1999, pp. 34-36.
4) Lorenz Konrad, "Il declino dell’uomo", Mondadori, Milano 1983, p. 15.
5) "Théorie de l'écran", rivista online "Traverses", n. 2.
6) Kurzweil Ray, "The age of spiritual machines", Viking Press, London 1999.
7) Jeremy Rifkin, "L'era dell'accesso", Mondadori, Milano 2000, p. 6.
8) Slouka Mark, "War of the Worlds: Cyberspace and the High-Tech Assault on Reality", Basic Books, New York 1995.

RISORGIMENTO INSANGUINATO - PARTE I - Eccidi e inganni dell'Unità d'Italia

Di Antonella Randazzo

07 agosto 2007

Esistono retoriche e simbologie assai efficaci a catturare l'animo umano. Fra queste, la retorica delle guerre patriottiche e nazionalistiche, che si basa sul racconto di eventi storici che suscitano orgoglio, commozione e senso di trascendenza morale. Per ottenere questo risultato, le autorità si mostrano disposte anche a mistificare gravemente i fatti, creando falsi eroi e false imprese eroiche. E' il caso degli eventi che portarono all'Unità d'Italia, passati alla Storia come "Risorgimento italiano". A scuola ci hanno raccontato che all'epoca gli italiani elaborarono diversi piani ideologici per raggiungere la tanto desiderata unità nazionale, e che personaggi illustri, come Giuseppe Garibaldi, Nino Bixio, Camillo Benso di Cavour e Vittorio Emanuele II, in perfetta sintonia con ciò che gli italiani volevano, operarono per unire il paese dopo secoli di dominazione straniera. Il periodo risorgimentale emerge dunque come un momento storico ricco di idee che infervorarono gli animi degli italiani, che praticamente all'unanimità desiderarono porsi sotto l'autorevole potere dei Savoia. Tutto questo è molto commovente e lusinghiero, peccato che sia frutto di una mistificazione degli eventi reali.
In realtà l'Unità d'Italia fu un evento voluto "dall'alto", ossia dalle autorità dei paesi egemoni (Inghilterra e Francia), e i Savoia non guardarono tanto all'interesse e alla volontà della popolazione quanto ai vantaggi personali e a quelli dell'élite a cui appartenevano.
Anche all'epoca dei fatti c'erano molte persone che nutrivano dubbi sull'idea che Cavour o Vittorio Emanuele II avessero a cuore le genti del meridione d'Italia. Si raccontava che Cavour, che non era mai stato nel sud Italia, avesse riferito in Parlamento "non solo di aver fino allora creduto che in Sicilia si parlasse arabo ma che di quest’isola ben poco egli conosceva, essendogli invece più familiare la storia dell’Inghilterra". (1) Anche Bixio non aveva mostrato molta considerazione per la Sicilia, quando aveva scritto alla moglie: "(La Sicilia) è un paese che bisognerebbe distruggere, e mandarli in Africa a farsi civili".(2)
Di certo, sia Cavour che Vittorio Emanuele II non avevano alcun interesse a migliorare le condizioni del sud Italia, mentre ne avevano parecchio a difendere gli interessi dei proprietari terrieri e dell'oligarchia dominante. Lo stesso Cavour apparteneva alla ricca classe nobiliare terriera piemontese.
L'Inghilterra iniziò ad imporre il suo potere nel Mediterraneo in seguito alle guerre napoleoniche, e aveva l'obiettivo di accrescere il suo dominio. I Borbone non si erano sempre mostrati completamente sottomessi alle autorità inglesi, e desideravano concludere accordi con l'Impero Russo, che voleva avere una base navale nel Mediterraneo. Anche la Francia mirava ad accrescere il proprio potere sull'Italia, creando un protettorato sullo Stato Pontificio e mettendo un principe francese nelle Due Sicilie.
Le due potenze decisero dunque di appoggiare il progetto dell'Unità d'Italia sotto il potere Sabaudo, seppure con obiettivi diversi o contrastanti.
A partire dal 1848, la Gran Bretagna dette ingenti prestiti ai Savoia, per intraprendere le guerre di unificazione nazionale. In quel periodo gli inglesi parlavano della famiglia borbonica in modo assai sprezzante. Ferdinando II (morto nel 1859) e Francesco II venivano descritti come tiranni dalla propaganda britannica, allo stesso modo in cui gli Usa descrissero Saddam Hussein nella propaganda precedente all’invasione dell’Iraq. L’intenzione di spodestarli risultava sempre più chiara. A tale scopo gli inglesi corruppero alcuni dei generali borbonici, come il generale Francesco Landi. Nel maggio del 1863, Lord Henry Lennox dirà alla Camera dei Lords che in realtà era stata l’Inghilterra a realizzare l’Unità d’Italia, più che Garibaldi.
Il piano Risorgimentale fu preparato con precisione e accuratezza, nulla fu lasciato al caso. Per meglio coordinare gli uomini coinvolti furono utilizzate le logge massoniche. Lo storico Salvatore Lupo sostiene che "durante la cospirazione risorgimentale esisteva una rete clandestina ispirata alla massoneria".(3) Le logge massoniche coinvolsero tutti i maggiori protagonisti dell’Unità d’Italia, compreso Garibaldi.
Le logge si occuparono anche di organizzare la propaganda per coinvolgere quante più persone possibile, convincendo a credere che il potere sabaudo sarebbe stato rispettoso dell'identità nazionale e dei diritti di tutti i cittadini.
Iniziarono a circolare idee propagandistiche sul nazionalismo dei popoli e sulla libertà dallo straniero, che praticava un "dispotismo oppressivo" attraverso i governi imposti dall'Austria e dai Borbone.
Il concetto politico di "nazione", elaborato nel secolo precedente, era assai efficace perché toccava corde emotive molto profonde, e induceva a credere che attraverso lotte armate si potesse conquistare la libertà. In tal modo si istigavano le masse alla sollevazione, controllando dall'alto l'esito e orientando i popoli verso idee "liberali". L'inganno consisteva nel far credere di lottare per la libertà, mentre in realtà si trattava di seguire chi avrebbe imposto un nuovo sistema di potere.
Nonostante la massiccia propaganda fatta tramite pubblicazioni, giornali e opuscoli, moltissime persone rimasero diffidenti e altre avversarono apertamente il processo di unificazione dell'Italia. Specie in alcune regioni, come la Campania, la Calabria e la Sicilia, si ebbe una guerra aperta contro il nuovo potere, che durò oltre dieci anni e si concluse con la capitolazione del popolo e una serie innumerevole di violenze e massacri, ad oggi non chiariti o insabbiati.
Il Regno Sabaudo, come altri, si era fortemente indebitato coi Rothschild e altre famiglie di banchieri, e tale debito lo poneva in posizione di debolezza verso la volontà del gruppo che deteneva il potere finanziario. In altre parole, i Savoia dovevano dar conto a chi aveva nelle mani la gestione delle risorse finanziarie. Agendo in totale armonia con l'interesse di questi personaggi la casa Savoia avrebbe avuto ulteriori prestiti e vantaggi, al contrario, se avesse sfidato tale oligarchia non avrebbe potuto estendere il proprio potere sull'Italia, essendo privata dell'appoggio finanziario e militare.
Prima dell'Unità d'Italia la situazione economico-finanziaria dei Savoia versava in gravi, condizioni, e l'occupazione dell'intera penisola avrebbe permesso loro di mettere le mani sulle banche e sulle ricchezze delle regioni occupate.
Il nord Italia, al contrario di ciò che viene detto su molti libri di Storia, prima dell'Unità d'Italia aveva risorse assai modeste. In Piemonte c'erano soltanto poche Casse di risparmio e i Monti di Pietà e il commercio era assai modesto. In Lombardia non c'era nessuna banca di emissione e le esigue attività commerciali si valevano della banca austriaca. Se non vi fosse stata l'occupazione del sud e il successivo sfruttamento coloniale, probabilmente, non sarebbero sorte le grandi industrie del nord, create da famiglie appartenenti all'élite dominante.
Il paese, dopo l'Unità, sarà reso disomogeneo e diseguale. L’unificazione politica avrebbe costretto l’industria del sud a rinunciare ad ogni protezionismo, indebolendosi e avvantaggiando lo sviluppo di quella del nord. Il sistema economico era strutturato in modo da far soccombere il più debole, come ebbe ad osservare il 25 maggio del 1861, il deputato Giuseppe Polsinelli, industriale nel settore laniero, durante una seduta in Parlamento: "La Francia e l’Inghilterra predicano il libero scambio, dopo aver avuto per secoli una copertura grandissima, e la Francia anche la proibizione. Esse dicono a noi: facciamo liberamente il commercio, apriteci il vostro mercato. Ma questa, o signori, è la lotta di un gigante con un bambino".
L'11 maggio del 1860 i Mille sbarcarono a Marsala, favoriti dalle navi della flotta inglese "Intrepid" e "H.M.S. Argus", ormeggiate nel porto di Marsala (la flotta borbonica non avrebbe mai attaccato gli inglesi). Fra i Mille c'erano diversi delinquenti comuni. Garibaldi aveva scritto: "Francesco Crispi arruola chiunque: ladri, assassini e criminali di ogni sorta". (4)
Lo stesso Garibaldi, prima di diventare "l'eroe dei due mondi" era considerato un criminale, avendo praticato il traffico di schiavi e il saccheggio mediante la "guerra di corsa" per conto degli inglesi. Nell'America del sud era stato arrestato e condannato per aver rubato cavalli. Gli stessi Savoia non lo stimavano granché. In una lettera inviata a Cavour, Vittorio Emanuele II, dopo lo storico "incontro di Teano", si lamentava del comportamento di Garibaldi: "Come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene - siatene certo - questo personaggio non è affatto così docile né così onesto come lo si dipinge, e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l'affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l'infame furto di tutto il denaro dell'erario, è da attribuirsi interamente a lui, che s'è circondato di canaglie, ne ha seguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa". (5)
L'ammiraglio piemontese Carlo Pellion Di Persano ebbe dagli inglesi l'incarico di corrompere ufficiali e politici borbonici. Egli arrivò a Napoli prima dei garibaldini, per corrompere gli ufficiali borbonici offrendo somme ingenti di denaro. Questo spiega il motivo per cui molti generali dell'esercito borbonico si rifiutarono di combattere.
I Borbone, che avevano un esercito di almeno 25.000 uomini, inviarono in Sicilia soltanto 2.500 uomini, probabilmente con l'ordine di non combattere. Le grandi vittorie garibaldine contro l'esercito borbonico sarebbero dunque un'invenzione. Gli sconfitti, come ricorda Gigi Di Fiore nel suo libro "I vinti del Risorgimento", furono in realtà i contadini e i pastori pugliesi, siciliani, napoletani, calabresi, abbruzzesi, campani e molisani.
Dell'impresa dei Mille non si conosce tutto poiché i documenti che accompagnavano la spedizione andarono distrutti. Nel febbraio del 1861 Ippolito Nievo, che era stato responsabile amministrativo dei Mille, fu incaricato di recuperare tutta la documentazione amministrativa per portarla a Torino. Stranamente, il mese successivo, la nave su cui si trovavano i documenti affondò, e non venne recuperato né il relitto, né i morti e i loro beni. In tal modo rimasero sepolti nel mare documenti riguardanti l'impresa dei garibaldini.
Ciò che sappiamo per certo è che i Mille commisero massacri, soprusi, saccheggi e violenze, in seguito ai quali si formò una vera e propria resistenza popolare, capeggiata da ex garibaldini o da contadini, come Carmine Crocco, Nicola Summa e Domenico Romano, che liberarono molti paesi, prima di essere sconfitti.
L'impresa militare dei Mille fu diretta soprattutto contro la popolazione, con lo scopo di sottometterla al nuovo potere. Garibaldi, nel 1864, sarà accolto con onore dalla regina d'Inghilterra e dal ministro Henry John Palmerston. In quell'incontro egli ringraziò le autorità inglesi per l'appoggio dato alla spedizione dei Mille.
I garibaldini combatterono contro contadini e pastori, che non erano fervidi sostenitori del potere borbonico. I contadini non volevano riportare sul trono i Borbone, ma volevano le terre e la libertà. Cipriano La Gala, un capobanda, ad un avvocato inviato dai Borboni disse: "Tu hai studiato, sei avvocato, e credi che noi fatichiamo per Francesco II?"
La reazione piemontese alla resistenza fu feroce: interi paesi furono distrutti a cannonate e molti dissidenti furono catturati e fucilati, anche quelli che non avevano imbracciato le armi.
Le popolazioni venivano terrorizzate con distruzioni, saccheggi, stupri e ogni genere di violenza. Ad esempio, il 14 agosto del 1861, a Pontelandolfo e Casalduni si ebbero incendi di case, saccheggi, violenze e stupri. Oltre cento persone morirono, alcune delle quali furono decapitate per poter esporre le teste mozzate come deterrente alla resistenza. Le persone che commisero questi crimini sono le stesse celebrate come eroi e il cui nome è ricordato nelle nostre vie e piazze.
Nell'estate del 1860, scoppiarono tumulti nelle zone della Sicilia più povere: Ragalbuto, Polizzi, Tusa, Biancavilla, Racalmuto, Nicosia, Cesarò, Randazzo, Maletto, Petralia, Resuttano, Castelnuovo, Montemaggiore, Capace, Castiglione, Collesano, Centuripe, Mirto, Caronia, Alcara li Fusi, Nissoria, Cerami e Mistretta. Erano tutti paesi costretti da tempo a subire le angherie dei mafiosi e a vivere nella più totale miseria. Ora chiedevano giustizia e libertà, e si mostravano disposti a combattere per riavere le loro terre.
I contadini siciliani volevano le terre che erano state loro sottratte attraverso "donazioni" che la Chiesa o i Borbone avevano fatto ad aristocratici locali o stranieri (soprattutto inglesi). Nell'agosto del 1860 Nino Bixio represse nel sangue le proteste a Biancavilla, Cesarò, Randazzo, Maletto e Bronte. In quest'ultima località si trascinava da molti anni una situazione drammatica: l'intero paese era stato occupato dai parenti di Nelson, in seguito alla concessione di un feudo da parte del re Borbone all'ammiraglio Nelson. Era sorta la ducea di Bronte, che pretendeva tasse altissime e costringeva la popolazione a vivere in totale miseria. Impropriamente, si definirono i contadini brontesi "comunisti", ma in realtà essi volevano semplicemente una parte delle terre usurpate, e non avevano intenti ideologici.
Con l'avvento di Garibaldi, i contadini siciliani si erano illusi di poter avere quella libertà che chiedevano. Con un decreto, Garibaldi abolì la tassa sul macinato e ogni altra tassa imposta dal potere precedente. Il 2 giugno 1860 emanò norme per la divisione delle terre dei demani comunali, assegnandone una quota ai combattenti garibaldini o ai loro eredi, se caduti. Con queste riforme Garibaldi accrebbe la sua popolarità, e accese le speranze dei siciliani, che però ben presto dovettero accorgersi che le riforme erano state soltanto un atto propagandistico, poiché le tasse da pagare erano quelle di prima e la redistribuzione delle terre non era avvenuta.
A Bronte i contadini avevano fatto ricorso alla giustizia, sostenuti dall'avvocato Nicola Lombardo, ma tutte le cause intentate contro gli usurpatori delle loro terre erano fallite. L'unica strada rimasta era quella della sollevazione.
La repressione di Bronte fu feroce, gli insorti furono massacrati durante i tumulti o arrestati e fucilati in seguito. Furono fucilate almeno cento persone, che in nome dei principi propugnati dallo stesso Garibaldi si erano riappropriate di alcune terre usurpate dai parenti di Nelson.
La responsabilità del massacro di Bronte sarà attribuita a Nino Bixio, che in una serie di lettere documentò gli eventi che portarono al fatto criminale. Ad esempio, in una di queste, scritta il 7 agosto 1860 e inviata al maggiore Giuseppe Dezza, dice di aver messo le "unghie addosso a uno dei capi". Si raccontò anche l'episodio del garzone che chiese il permesso di portare due uova all'avvocato Lombardo, che si trovava in carcere, a cui Bixio disse cinicamente: "altro che uova, domani avrà due palle in fronte!". Lombardo sarà fucilato insieme ad altre quattro persone, accusate di aver organizzato la rivolta a Bronte.
Bixio aveva in realtà obbedito al diktat "Italia e Vittorio Emanuele" che veniva indicato in tutti i decreti come formula che conferiva poteri pressoché assoluti al fine di imporre l'occupazione in vista dell'unificazione dell'Italia. Nell'art. 1 del decreto del 17 maggio 1860 si legge: "Durante la guerra, il giudizio dei reati...", tale decreto avrà efficacia anche dopo la "sconfitta" dell'esercito borbonico. Da ciò si inferisce che l'occupazione delle terre veniva considerata uno stato di guerra, e le popolazioni "ribelli" dovevano essere trattate come combattenti in guerra. Tutti coloro che si ribellarono al potere sabaudo furono trucidati, repressi, oppure fucilati dopo un processo sommario nei Tribunali di guerra. In altre parole, il popolo italiano fu considerato come un nemico in guerra, e non come compartecipe ai fatti unitari. Nelle sollevazioni, il popolo faceva richieste economiche precise, e la repressione scattava affinché queste richieste venissero ritirate, in quanto non c'era alcuna intenzione da parte dei Savoia di rispettare la sovranità popolare o di rendere più equa la situazione economica dell'Italia.
I massacri della popolazione e le condanne a morte venivano attuati in nome del re (che soltanto con la legge 17 marzo 1861 n. 4671 diventerà ufficialmente re D'Italia), sulla base del decreto 17 maggio 1860 n. 84, da cui si legge "Le sentenze, le decisioni e gli atti pubblici saranno intestati: In nome di Vittorio Emanuele Re d'Italia".
Dietro le scene c'era il Console inglese, John Goodwin, che faceva continue pressioni affinché Garibaldi e l'allora Ministro dell'Interno Francesco Crispi tutelassero a tutti i costi gli interessi agricolo-patrimoniali dei Nelson. Nelle lettere, Goodwin invita a punire l’avvocato Nicola Lombardo: "arrestare l’autore di tale assassinio onde essere giudicato dall’autorità competente e condannato. (6)
I nobili inglesi avevano molti interessi in Sicilia, e permettere ai contadini di appropriarsi di alcune terre da loro occupate significava scatenare una catena di eventi che avrebbe indotto il popolo ad appropriarsi anche di altri beni usurpati da famiglie inglesi, come le miniere.
I fatti di Bronte furono considerati di poco conto e posti sotto silenzio dalla storiografia ufficiale, soprattutto per il grande prestigio che avvolgeva il mito di Garibaldi e dei Mille. I fatti furono in parte chiariti soltanto da uno studioso di Bronte, il professor Benedetto Radice, che pubblicò nell'Archivio Storico per la Sicilia Orientale, nel 1910, una monografia dedicata a Nino Bixio a Bronte (1910, Archivio Storico Siciliano).(7) Dopo questo scritto, molti sapevano dell'eccidio, ma nessuno storico considerò questo e altri fatti per modificare l'interpretazione del Risorgimento italiano.
Secondo Gramsci i fatti di Bronte avevano una valenza politica nazionale: "Fu il dramma di una parte della sinistra impegnata a decidere in Sicilia il nodo dell’egemonia politica del nuovo Stato, ovvero se dovesse essere governato dalla sinistra o dalla destra. Bixio a Bronte reprime i suoi stessi compagni: l’avvocato Lombardo era dalla parte di Bixio".(8)
Si trattò dunque della scelta di istituire uno Stato autoritario e repressivo, volto ad impedire ogni progresso economico e politico. Spiega Antonino Radice: "Contro i diritti primari della gente siciliana Garibaldi scelse quelli impropri dei cittadini inglesi, che furono anteposti così alle genti della zona etnea... La plebe... non vedeva in Garibaldi solo il liberatore dalla tirannide borbonica, ma il liberatore della più dura tirannide, la miseria".(9)
La dura repressione dei brontesi doveva fungere da deterrente per quei comuni, come Castiglione di Sicilia, Linguaglossa, Adrano e Centuripe, che si stavano sollevando.
Nell'ottobre del 1985, il Comune di Bronte pose un monumento alla memoria delle vittime del potere sabaudo. Sulla targa del monumento si legge: "Ad perpetuam rei memoriam che nell'agosto 1860 di cittadini brontesi donò la vita in olocausto - Amministrazione Comunale - 10 ottobre 1985". Ciò nonostante, a pochi metri è rimasta una strada dedicata a Bixio, segno che la Storia del nostro paese non è stata ad oggi compiutamente chiarita e demistificata. I presunti eroi, nonostante l'accertamento dei fatti, non sono ancora stati declassati a criminali, e ancora oggi molte strade e piazze portano i loro nomi.
La resistenza antipiemontese fu molto forte anche in Campania, dove furono massacrate almeno 150.000 persone, completamente cancellate dalla memoria storica italiana. Nel napoletano, quasi ogni famiglia ebbe un morto per la resistenza antiunitaria. Migliaia di persone, notabili, artigiani, commercianti e preti, furono arrestate soltanto perché non favorevoli all'unificazione. Racconta lo studioso Antonio Ciano:

"Le carceri dei piemontesi erano simili a lager. I prigionieri non potevano scrivere né ricevere visite dei parenti o di avvocati, non potevano leggere libri né giornali. Gente onesta, preti, uomini di cultura, militari, avvocati, medici, commercianti, operai, contadini, bambini figli di partigiani o solo nipoti di secondo e terzo grado di manutengoli erano tenuti assieme ad assassini, ladri e malfattori. Le celle erano zeppe, non c'era spazio nemmeno per dormire ed i pidocchi e le zecche imperavano sui corpi nudi del popolo meridionale. Il fetore si alzava dalle carceri; si sentivano urla, a volte i prigionieri esasperati si impiccavano; a volte venivano presi e fucilati per far posto ai nuovi venuti. I carcerieri erano delinquenti e camorristi assoldati dal regime piemontese per premiarli della loro servitù... Il Mezzogiorno d'Italia era diventato il luogo dove si ritornò a sperimentare la tortura, l'incatenamento; il Sud era diventato un inferno dove anche preti e bambini venivano immolati alla causa della patria. I Savoia furono i maggiori responsabili... fecero subito rimpiangere i Borbone: ruberie dappertutto, assassinii, fucilazioni, debiti nei Comuni, nelle Province, nello Stato... distrussero in poco tempo l'economia del Meridione".(10)

Alla fine del 1861, i registri ufficiali notificarono l'uccisione di 1826 persone e l'arresto di 4096. Ma erano escluse dal conteggio le persone uccise o arrestate in numerosi tumulti avvenuti a Benevento, a Caserta e in numerose altre località. L'allora ministro della guerra Alessandro Della Rovere, disse in Parlamento che 80.000 uomini dell'ex armata napoletana, erano stati imprigionati in varie località italiane perché non si erano sottomessi al potere piemontese. C'erano anche migliaia di profughi dei paesi saccheggiati e distrutti.
Si scatenò una furia repressiva immane contro chi non si piegava al nuovo potere, e spesso venivano arrestati i parenti dei resistenti, anche se non c'entravano nulla. La caccia al "brigante" era fatta senza alcuna regola né alcun rispetto dei diritti fondamentali. Il 12 febbraio del 1862 il colonnello della guardia nazionale di Cosenza, Pietro Fumel, emise un bando per distruggere il brigantaggio, le cui parole fanno intendere il livello di crudeltà scatenato:
"Io sottoscritto, avendo avuto la missione di distruggere il brigantaggio, prometto una ricompensa di cento lire per ogni brigante, vivo o morto, che mi sarà portato. Questa ricompensa sarà data ad ogni brigante che ucciderà un suo camerata; gli sarà inoltre risparmiata la vita. Coloro che in onta degli ordini, dessero rifugio o qualunque altro mezzo di sussistenza o di aiuto ai briganti, o vedendoli o conoscendo il luogo ove si trovano nascosti, non ne informassero le truppe e la civile e militare autorità, verranno immediatamente fucilati ... Tutte le capanne di campagna che non sono abitate dovranno essere, nello spazio di tre giorni, scoperchiate e i loro ingressi murati... È proibito di trasportare pane o altra specie di provvigione oltre le abitazioni dei Comuni, e chiunque disubbidirà a questo ordine sarà considerato come complice dei briganti".(11)
Per la repressione furono stanziate sempre più risorse. Nell'agosto del 1862 fu approvata una legge che permetteva una “spesa straordinaria” di lire 23.494.500 per l’acquisto e la fabbricazione di 676.000 fucili da destinarsi alle guardie nazionali che sarebbero state mandate nelle zone in cui c'era brigantaggio. I soldati inviati nel sud aumentarono da 22.000 (1861) a 120.000 (1863).
Il brigantaggio esisteva anche prima dell'Unità d'Italia. Nell'Italia dell'Ottocento, ben prima del Risorgimento, esistevano zone in cui gli abitanti si mostravano sempre meno disposti ad accettare un potere iniquo imposto dai nobili locali e stranieri. Le lotte contro il sistema feudale non erano certo una novità, tuttavia, a metà dell'Ottocento il popolo iniziava ad essere più disposto a rischiare per cambiare le cose.
Il brigantaggio fu utilizzato per reagire al nuovo sistema di potere, che si stava svelando peggiore persino del precedente. Per aggiungere la beffa al danno, l'oligarchia di potere fece in modo da confondere "mafia" con "brigantaggio", nascondendo che si trattava di fenomeni assai diversi: il primo voluto dall'alto per la difesa dei beni sottratti al popolo, il secondo come organizzazione di lotta contro il potere.
La confusione dei termini permetteva di criminalizzare gli oppositori, proprio come oggi avviene col termine "terrorista", utilizzato alla stessa stregua per indicare sia la resistenza nei paesi occupati che coloro che organizzano attentati contro i popoli. Il criminalizzare i contadini aveva lo scopo di giustificare le repressioni e scoraggiare il sostegno. Nonostante la propaganda, molti sapevano che i "briganti" erano coloro che rivendicavano la libertà e lottavano per una vita meno misera. Scriveva nel 1863 il poeta e scrittore Francesco Saverio Sipari:

"Chi sono i Briganti? Lo dirò io, nato e cresciuto tra essi. Il contadino non ha casa, non ha campo, non ha vigna, non ha prato, non ha bosco, non ha armento; non possiede che un metro di terra in comune al camposanto. Non ha letto, non ha vesti, non ha cibo d'uomo, non ha farmachi. Tutto gli è stato rapito dal prete al giaciglio di morte o dal ladroneccio feudale o dall'usura del proprietario o dall'imposta del comune e dello stato... il brigantaggio non è che miseria, è miseria estrema, disperata: le avversioni del clero, e dei caldeggiatori il caduto dominio, e tutto il numeroso elenco delle volute cause originarie di questa piaga sociale sono scuse secondarie e occasionali, che ne abusano e la fanno perdurare. Si facciano i contadini proprietari. Non è cosa così difficile, ruinosa, anarchica e socialista come ne ha la parvenza. Una buona legge sul censimento, a piccoli lotti dei beni della Cassa ecclesiastica e demanio pubblico ad esclusivo vantaggio dei contadini nullatenenti, e il fucile scappa di mano al brigante... Date una moggiata al contadino e si farà scannare per voi, e difenderà la sua terra contro tutte le orde straniere e barbariche dell'Austro-Francia".(12)

Il brigantaggio diventò uno degli argomenti principali del Parlamento italiano. Il deputato Giuseppe Ferrari, nel novembre del 1862, riferì in Parlamento: “Potete chiamarli briganti ma combattono sotto la loro bandiera nazionale; ma i padri di questi briganti hanno riportato per due volte i Borboni sul trono di Napoli… Che cos'è in definitiva il brigantaggio?… È possibile, come il governo vuol far credere che 1.500 uomini comandati da due o tre vagabondi possano tener testa a un intero regno, sorretto da un esercito di 120.000 regolari? Perché questi 1.500 devono essere semidei, eroi! Ho visto una città di 5000 abitanti completamente distrutta [Pontelandolfo]. Da chi? Non dai briganti”.
Il 29 aprile 1862 lo stesso deputato disse che “intere famiglie sono arrestate senza il minimo pretesto; che vi sono, in quelle province, degli uomini assolti dai giudici e che sono ancora in carcere. Si è introdotta una nuova legge in base alla quale ogni uomo preso con le armi in pugno è fucilato. Questa si chiama guerra barbarica, guerra senza quartiere. Se la vostra coscienza non vi dice che state sguazzando nel sangue, non so più come esprimermi.” (13)

La "lotta al brigantaggio" si trasformò in una vera e propria guerra dell’esercito sabaudo contro il popolo. Racconta lo studioso Aldo De Jaco:

"Col terrore i generali piemontesi cercavano di spezzare la solidarietà dei "cafoni" (contadini nda) con i briganti. Ma il terrore non è stata mai arma sufficiente e valida per isolare i combattenti dalla popolazione che li sostiene; così le fucilazioni non liquidarono ma aumentarono la solidarietà popolare per le vittime. La leggenda che faceva dei briganti tanti eroi popolari, paladini e unica speranza dei miseri contro i prepotenti e ricchi, trovava così mille riprove e questa fama assumeva subito due volti opposti: il volto del giustiziere implacabile, per i pastori e le plebi, quello della belva feroce per i benestanti". (14)

Durante la guerra contro il brigantaggio, se da un lato i francesi e gli inglesi si ergevano a giudici dell’operato del governo italiano, dall’altro utilizzavano le difficoltà nel sud per rafforzare lo stereotipo dell’italiano ribelle e mafioso, dando inizio alla tendenza a confondere la ribellione contro il potere con l’organizzazione mafiosa. I fatti di cronaca che riguardavano i briganti suscitarono grande attenzione da parte dei giornali inglesi e francesi. Questi giornali (ad esempio il "Times",) accosteranno spesso, erroneamente, il brigantaggio alla mafia. L’approccio con cui gli inglesi e i francesi tendevano a trattare il problema del brigantaggio aveva una forte impronta razzista, e valutava il fenomeno come un'involuzione dovuta alla inciviltà dei siciliani. Anche altri europei manifestavano un forte razzismo verso i siciliani. Secondo il filosofo Joseph Widmann era evidente che il popolo siciliano fosse ancora primitivo, e aveva donne "megere e scimmiesche".(15) Omologare le lotte dei contadini per la terra con la mafia e la delinquenza significava anche impedire che i contadini dei loro paesi ne seguissero l'esempio. Il razzismo verso l'Italia agevolava il far apparire quelle lotte come dovute alla "barbarie" e all'incapacità di comprendere i moderni principi "liberali". In realtà, era proprio da quei principi che il popolo aveva tratto la forza morale e politica per concepire come possibile un progresso economico e civile.
Anche il duca Alexander Nelson Hood (16) , accostò i briganti ai mafiosi, e attribuì loro gli stessi metodi criminogeni e gli stessi obiettivi. I giornali e la letteratura dell’epoca creeranno e consolideranno lo stereotipo della mafia come frutto popolare dovuto alla povertà e al degrado, e il brigantaggio come fenomeno ad essa legato. Ma tali stereotipi occultavano che il popolo siciliano aveva lottato invano e pacificamente per uscire dalla miseria e dal degrado, ma aveva ricevuto soltanto cannonate. Inoltre, tale immagine della mafia ignorava che essa nasce per il controllo del territorio e per la tutela di interessi privati, e che veniva organizzata e utilizzata dall’élite al potere, locale e straniera. I contadini siciliani erano vittime della mafia, e per loro essa non era affatto vantaggiosa. Paradossalmente, oltre ad essere vittime del controllo criminale mafioso, venivano spacciati anche per responsabili della mafia, come se le due cose potessero coesistere nelle stesse persone.
(continua - PARTE II)

Copyright 2007 - all rights reserved.

ATTENZIONE: Questo articolo è protetto dal Copyright.
Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale di questo articolo, inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta di Antonella Randazzo. Per la riproduzione integrale o di parti dell'articolo occorre richiedere l'autorizzazione scrivendo all'indirizzo e-mail giadamd@libero.it

RISORGIMENTO INSANGUINATO PARTE II Elezioni e Plebisciti-burla

Di Antonella Randazzo

07 agosto 2007

Il 21 ottobre 1860, come nelle migliori tradizioni "democratiche", si svolse la votazione per l'annessione della Sicilia al Piemonte. Con la collaborazione della mafia, venne creato un clima intimidatorio. Su una popolazione di 2.400.000 abitanti, votarono soltanto 432.720 cittadini (il 18%). Dei votanti, 432.053 votarono "Sì" e 667 "No". Il ministro Henry Eliot, ambasciatore inglese a Napoli, nel suo rapporto al governo scrisse: "Moltissimi vogliono l'autonomia, nessuno l'annessione; ma i pochi che votano sono costretti a votare per questa".
E un altro ministro inglese, John Russel, comunicò: "I voti del suffragio in questi regni non hanno il minimo valore". (17)
I Plebisciti-burla si svolsero anche nelle altre regioni. Si trattava di un metodo per far passare l'Unità d'Italia come voluta dal popolo, mentre in realtà non era così, ma questo doveva apparire.
In Campania le votazioni erano controllate dai camorristi, che bastonavano quelli che votavano "No", e qualcuno morì misteriosamente. Camorristi, piemontesi e garibaldini votarono diverse volte per accrescere la quantità di votanti per il "Si". Cesare Cantù spiegò come si svolsero a Napoli le operazioni di voto:

"Il plebiscito giunge fino al ridicolo, poiché oltre a chiamare tutti a votare sopra un soggetto dove la più parte erano incompetenti, senza tampoco accertare l'identità delle persone e fin votando i soldati, si deponevano in urne distinte i SI e i NO, che lo rendeva manifesto il voto; e fischi, e colpi e coltellate a chi lo desse contrario. Un villano gridò: Viva Francesco II! E fu ucciso all'istante".(18)

In Toscana votò soltanto il 19% della popolazione. Come nelle altre regioni, votarono soprattutto gli appartenenti alla classe ricca o benestante. In Veneto venne dato l'ordine alle autorità di "assicurare S. E. che della medesima non mancherà di adoperarsi affinché la votazione abbia a riuscire di unanime accordo pella dedica a S.M. il Re Vittorio Emanuele II".(19) I votanti veneti furono meno di 650.000 (641.000 votarono "Si" e 69 "No") su una popolazione di 2.500.000 di abitanti, (votarono il 26%). Gli aventi diritto al voto erano soltanto i maschi che avevano compiuto 21 anni.
Le operazioni di voto non erano segrete, come racconta Silvio Eupani:
"Le autorità comunali avevano preparato e distribuito dei biglietti col Si e col No di colore diverso; inoltre, ogni elettore, presentandosi ai componenti del seggio, pronunciava il proprio nome e consegnava il biglietto al presidente che lo depositava nell'urna".(20)
Anche in Veneto si ebbero diverse rivolte e manifestazioni antiunitarie, ad esempio a Thiene, a S. Germano a Cavarzere al Cadore e a Legnago, fatti completamente occultati dalla storiografia ufficiale, che racconta di un consenso unanime. In alcune zone del Veneto furono create persino filastrocche antiunitarie. Alcuni versi recitavano: "Co le teste dei taliani zogaremo le borele (bocce) e Vittorio Manuele metaremo par balin". Una canzone diceva: "Vegnerà Vitorio Manuele se patirà nà stissa de coele - l vegnarà con mostaci e barbeta se patirà 'na fame maledeta e più avanti - Se dura il furor dei monumenti un monumento avrà Quintino Sella che con un tratto di saggezza rara la polenta ci ha resa assai più cara".
I veneti, come i meridionali, capivano che il nuovo potere li avrebbe saccheggiati e affamarli.
La conseguenza dell'annessione del Veneto fu una massiccia emigrazione dei veneti, costretti a cercare fortuna in America, soprattutto nell'America Latina, dove molti finirono a lavorare nei campi al posto degli schiavi liberati. La valanga migratoria dei contadini del sud si avrà diversi anni dopo rispetto a quella veneta, perché i meridionali non avevano nemmeno il denaro per pagare il viaggio e dovevano prima racimolarlo.
Nei primi anni del Regno d'Italia i siciliani subirono un enorme saccheggio, le casse della regione furono svuotate e persino i beni demaniali ed ecclesiastici furono venduti. Alcuni studiosi ci forniscono un'immagine del sud preunitario ben diversa da quella fornita dai libri scolastici. Ad esempio, lo storico Nicola Zitara spiega: "(Il sud borbonico era) Un paese strutturato economicamente sulle sue dimensioni. Essendo, a quel tempo, gli scambi con l'estero facilitati dal fatto che nel settore delle produzioni mediterranee il paese meridionale era il più avanzato al mondo, saggiamente i Borbone avevano scelto di trarre tutto il profitto possibile dai doni elargiti dalla natura e di proteggere la manifattura dalla concorrenza straniera. Il consistente surplus della bilancia commerciale permetteva il finanziamento d'industrie, le quali, erano sufficientemente grandi e diffuse, sebbene ancora non perfette e con una capacità di proiettarsi sul mercato internazionale limitata, come, d'altra parte, tutta l'industria italiana del tempo (e dei successivi cento anni)... Il Paese era pago di sé, alieno da ogni forma di espansionismo territoriale e coloniale. La sua evoluzione economica era lenta, ma sicura. Chi reggeva lo Stato era contrario alle scommesse politiche e preferiva misurare la crescita in relazione all'occupazione delle classi popolari. Nel sistema napoletano, la borghesia degli affari non era la classe egemone, a cui gli interessi generali erano ottusamente sacrificati, come nel Regno sardo, ma era una classe al servizio dell'economia nazionale".(21)

Con l'occupazione delle regioni italiane, i Savoia si impadronirono di notevoli risorse, mettendo le mani anche sull'oro delle Banche e sui beni ecclesiastici. Spiega Zitara: "Senza il saccheggio del risparmio storico del paese borbonico, l'Italia sabauda non avrebbe avuto un avvenire. Sulla stessa risorsa faceva assegnamento la Banca Nazionale degli Stati Sardi. La montagna di denaro circolante al Sud avrebbe fornito cinquecento milioni di monete d'oro e d'argento, una massa imponente da destinare a riserva, su cui la banca d'emissione sarda - che in quel momento ne aveva soltanto per cento milioni... per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l'unica risposta a portata di mano, per tentare di superare i guai in cui s'erano messi".(22)

Con la Legge Pica (legge marziale), approvata nell'agosto del 1863, si dava mano libera "per la repressione del brigantaggio nel Meridione". Seguì una repressione crudele e sanguinosissima, che si rivolse anche contro donne, bambini e vecchi. La dissidenza veniva criminalizzata e trattata con estrema ferocia.
Nell'agosto del 1863 venne mandato in Sicilia il Generale Giuseppe Gaetano Govone, che non esiterà a reprimere nel sangue la popolazione, torturando e uccidendo. Govone aveva organizzato i primi servizi segreti italiani nel 1859, poco prima della Seconda guerra d'Indipendenza, e dopo l'Unità diventò ministro della Guerra. Egli aveva avuto un ruolo importante nel processo di unificazione dell'Italia, avendo svolto incarichi miiltari e di spionaggio. Nel settembre del 1870 sarà destituito dal dicastero della Guerra perché improvvisamente dichiarato "pazzo". Nel gennaio del 1872 verrà trovato misteriosamente morto. Il giorno successivo alla morte di Govone, qualcuno trafugò molti documenti che riguardavano i fatti che portarono all'Unità d'Italia e la repressione del brigantaggio. Alcuni storici presumono che le carte sparite si riferissero precisamente alle operazioni di repressione del brigantaggio supportate da truppe inglesi. Di certo, con Govone spariranno definitivamente tutte quelle informazioni segrete sul connubio fra politica italiana, sistema di potere, affari e legami internazionali.
Nel 1892 si formarono i "Fasci dei Lavoratori Siciliani", come ulteriore tentativo di permettere ad una terra martoriata di risolvere i suoi problemi. L'organizzazione era pacifica, e chiedeva soprattutto la spartizione delle terre demaniali o incolte e la diminuzione delle tasse. La risposta del governo italiano sarà feroce: verrà decretato lo stato di assedio e verranno mandati 40.000 soldati al comando del Generale Morra di Lavriano. Per distruggere i Fasci saranno uccise migliaia di persone.

Ufficialmente, dal 1861 al 1865, fu registrata l'uccisione di 5212 "briganti", ma nei documenti ufficiali non si registravano i morti nelle carceri e gli eccidi avvenuti durante le sollevazioni.
Migliaia di persone furono deportate nei campi di prigionia, che erano assai simili ai lager. Molte persone imprigionate non conoscevano nemmeno l'accusa a loro rivolta ma sapevano che tutti i loro beni sarebbero stati confiscati. Spesso il motivo dell'arresto era proprio il saccheggio dei loro possedimenti. Le condizioni di vita nelle carceri erano così dure che soltanto pochi sopravvivevano, e i morti non venivano registrati, in modo tale da non avere tracce di ciò che era avvenuto. Altre migliaia di persone furono condannate al confino nelle isole, a Ponza, a Gorgonia, Capraia, Giglio, all'Elba e in Sardegna. La vita nelle carceri era durissima, come alcuni Atti Parlamentari e diversi carteggi parlamentari dell'epoca attestano. Ad esempio, in un discorso in Parlamento, il duca di Maddaloni Francesco Proto Carafa disse:

"Ma che dico di un governo che strappa dal seno delle famiglie tanti vecchi generali, tanti onorati ufficiali solo per il sospetto che nutrissero amore per il loro Re sventurato, e rilegagli a vivere nelle fortezze di Alessandria ed in altre inospitali terre del Piemonte…Sono essi trattati peggio che i galeotti. Perché il governo piemontese abbia a spiegar loro tanto lusso di crudeltà? Perché abbia a torturare con la fame e con l'inerzia e la prigione uomini nati in Italia come noi?"

Lo stesso parlamentare denunciò l'impoverimento e il saccheggio del Sud:

"La loro smania di subito impiantare nelle province napoletane quanto più si poteva delle istituzioni del Piemonte, senza neppure discettare se fossero o no opportune fece nascere sin dal principio della dominazione piemontese il concetto e la voce "piemontizzare". Intere famiglie veggonsi accattar l'elemosina; diminuito, anzi annullato, il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per i dicasteri e per le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest'uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a disbrigarla. A' mercanti del Piemonte dannosi le forniture più lucrose: burocratici di Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocratici napolitani. Anche a fabbricare le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio che i napoletani. A facchini della dogana, a carcerieri, a birri vengono uomini di Piemonte. Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le province meridionali come il Cortes ed il Pizzarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nei regni del Bengala".(23)

Anche molti studiosi e intellettuali si opposero all'Unità d'Italia. Scriveva lo storico Giacinto De Sivo:

"Chi adunque nel reame vuole l'unità? Non la nobiltà, non il clero, non gli scienziati, non le milizie, non gli artigiani, non i contadini, e non i commercianti. Voglionla i contrabbandieri, i galeotti, i camorristi, ed uomini oziosi, lanciati per errore o per bisogno o per ambizione nel caos delle sette. Questi han preso le cime degli uffizii, questi strepitano, scrivono, spauriscono, pugnalano, fucilano, e si chiamano popolo e nazione. Ma il popolo del regno non vuole l'Italia una".(24)

Nonostante le numerose denunce dei crimini dell'esercito sabaudo da parte di parlamentari e di intellettuali le persecuzioni non cessarono. Nel 1862, a Pantelleria furono inviate tre colonne militari, fu istituita la legge marziale, e le truppe setacciarono in lungo e in largo l'intera isola per uccidere i resistenti. I "ribelli" furono trovati in una caverna che si trovava in cima alla Montagna Grande a 848 metri si altezza. Prima di essere uccisi, furono costretti a sfilare nelle strade, sotto la bandiera e al suono di un tamburo. Al loro passaggio molte persone piangevano. Le somme che i Savoia spesero per l’operazione furono pagate dagli stessi cittadini di Pantelleria.
Alla fine del 1862, una relazione della Camera documentava che 15.665 persone erano state fucilate, 1.740 imprigionate e 960 uccise in combattimento. Si registrava l'esistenza di almeno 400 gruppi di combattenti antiunitari.
Nel 1866 in Sicilia si ebbero diverse sommosse. Palermo fu posta sotto controllo dopo un lungo assedio da parte di migliaia di soldati piemontesi. Oltre ai duemila morti causati dalle cannonate, si ebbero in tutta la Sicilia, nel giro di circa una settimana, 65.000 morti per il colera, scoppiato inizialmente fra le truppe piemontesi. Diventarono sistematiche la pratica della tortura e le ritorsioni sulla popolazione inerme, con stragi di interi villaggi e la distruzione dei raccolti per affamare i paesi dove si trovava la resistenza.
Gli ufficiali dell'esercito sabaudo ritenevano che il popolo del sud fosse inferiore, e non esitavano a massacrare, come se avessero a che fare con animali e non con esseri umani. Nell'agosto del 1861 così scriveva il colonnello Gaetano Negri al padre, dopo l'eccidio di Pontelandolfo:

"Carissimo papà, Le notizie delle province continuano a non essere molto liete. Probabilmente anche i giornali nostri avranno parlato degli orrori di Pontelandolfo. Gli abitanti di questo villaggio commisero il più nero tradimento e degli atti di mostruosa barbarie; ma la punizione che gli venne inflitta, quantunque meritata, non fu per questo meno barbara. Un battaglione di bersaglieri entrò nel paese, uccise quanti vi erano rimasti, saccheggiò tutte le case, e poi mise il fuoco al villaggio intero, che venne completamente distrutto. La stessa sorte toccò a Casalduni, i cui abitanti si erano uniti a quelli di Pontelandolfo. Sembra che gli aizza tori della insurrezione di questi due paesi fossero i preti; in tutte, le province, e specialmente nei villaggi della montagna, i preti ci odiano a morte, e, abusando infamemente della loro posizione, spingono gli abitanti al brigantaggio e alla rivolta. Se invece dei briganti che, per la massima parte, son mossi dalla miseria e dalla superstizione, si fucilassero tutti i curati (del Napoletano, ben inteso!), il castigo sarebbe più giustamente inflitto, e i risultati più sicuri e più pronti".(25)

Si calcola che la "lotta al brigantaggio" si sia conclusa con 54 paesi rasi al suolo e 1 milione di morti. Le autorità cercarono di insabbiare tali crimini facendo sparire numerosi documenti.
I Savoia cercarono anche di beffare il popolo facendogli credere il contrario di ciò che era. Nonostante si commettessero crimini efferati pur di occupare tutta la penisola, nei proclami il re sosteneva di rispettare la volontà popolare. In uno di questi si legge:

"Popoli dell'Italia meridionale! Le mie truppe avanzano tra voi per riaffermare l'ordine. Non vengo a imporvi la mia volontà, ma a far rispettare la vostra, che voi potete liberamente manifestare. La provvidenza che protegge il giusto ispirerà il voto che deporrete nelle urne. Qualunque sia la gravità degli eventi, attendo tranquillo il giudizio dell'Europa civile, e quello della storia, perché ho conoscenza di compiere doveri di re e di Italiano. In Europa la mia politica non sarà inutile a conciliare il progresso dei popoli con la stabilità della monarchia.
"In Italia so che chiudo l'era delle rivoluzioni". Vittorio Emanuele".(26)

Il 27 gennaio 1861 si svolsero le prime elezioni per il Parlamento "italiano". La legge elettorale piemontese dava diritto di voto soltanto agli uomini alfabetizzati che avevano compiuto 25 anni e pagavano alcune imposte. Su circa 24 milioni di abitanti, gli aventi diritto al voto erano soltanto 418.850, e coloro che si recarono alle urne furono 239.853, meno dell'1% di tutta la popolazione.
Massimo D'Azeglio disse: "Queste Camere rappresentano l'Italia così come io rappresento il Gran Sultano turco".
I candidati proposti erano tutti filopiemontesi e molti avevano preso parte attiva ai fatti risorgimentali. Ciò nonostante, alcuni di essi denunciarono i crimini che avvenivano nel sud Italia, impressionati dalla ferocia repressiva dell'esercito sabaudo.
Nel giro di pochi anni, in molte zone della penisola la disoccupazione diventò un fenomeno comune. Nel 1865, quasi tutte le fabbriche del meridione erano fallite, e le tasse erano aumentate dell’87%, per pagare le guerre risorgimentali e per sviluppare l'industria del nord. L’agricoltura meridionale finanziava le nuove industrie del Piemonte e della Lombardia, che erano proprietà di famiglie appartenenti all'oligarchia dominante.
Il nuovo Stato attuò saccheggi, devastò l'economia del sud, non restituì la terra ai poveri e impose nuove tasse, che costrinsero milioni di persone ad emigrare.
Nel 1864 il ministro Minghetti impose tasse anche sui beni di primaria necessità. Nella legge n. 1862 del 30 luglio 1864 si permetteva ai comuni di imporre dazi sul consumo di bevande ed alimenti. Saranno imposti dazi anche sulla pasta, sulle farine, sui cereali e sul vino col risultato che le classi povere si trovarono in grosse difficoltà, costrette a diminuire i consumi di beni di primaria necessità, sprofondando al limite della possibilità di sopravvivenza. Come se non bastasse fu introdotta la naia obbligatoria, che sottraeva braccia all'agricoltura. I progetti del Regno d'Italia stavano guardando con simpatia la partenza di soldati verso l'Africa alla conquista di colonie. Le proteste da parte della povera gente furono tante, basti pensare alle sollevazioni che si verificarono a Milano, come a Napoli, per difendere il minimo diritto a sfamarsi. L'episodio più celebre è quello del maggio 1898, quando davanti allo stabilimento della Pirelli un dipendente distribuì volantini che spiegavano la necessità di dare più diritti ai lavoratori. L'operaio venne arrestato e questo sollevò proteste e disordini. Alcuni operai seguirono il compagno arrestato fino in caserma, ma giunti lì vicino la polizia fece fuoco senza pietà sulla folla uccidendo una persona e ferendone cinque. Milano diventò una città sotto assedio. Sarà chiamato a risolvere il problema il generale Fiorenzo Bava Beccaris che opterà per i cannoni: prese a cannonate diverse strade affollate uccidendo 80 persone e ferendone 450. Il re Umberto I poco tempo dopo lo premierà con una medaglia al valore (l'anarchico che lo ucciderà nel 1900 dichiarerà di aver vendicato quelle vittime). Questo bastava a capire che i governi italiani non avevano come priorità il combattere la povertà e la fame che attanagliavano gli italiani, anzi, nel giro di pochi anni la pressione fiscale arrivò a raddoppiarsi costringendo molti italiani ad espatriare.
Le aspirazioni autonomiste e indipendentiste di alcune regioni italiane non scompariranno mai, ma soltanto all'inizio degli anni Novanta dello scorso secolo si diffonderanno le "Leghe". Tali formazioni, nonostante facessero leva sul federalismo e sulla sovranità popolare, si inseriranno perfettamente nel sistema partitico, acquisendone tutte le caratteristiche, compresa la priorità di accrescere potere rispetto all'appoggiare le rivendicazioni popolari, come emerse anche dal caso della nuova base Usa a Vicenza. Da ciò si potrebbe inferire che tale fenomeno fosse dovuto principalmente all'esigenza di cooptare dall'alto il crescente malcontento, aggravato dai processi di "globalizzazione", che indebolirono le istanze del Welfare e le imprese piccole e medie, su cui poggia l'economia di molte regioni italiane.

Il Risorgimento dunque, così come lo si studia sui libri di scuola è un falso storico, elaborato ad oc per insabbiare ciò che le autorità Sabaude fecero nelle regioni italiane, con la complicità delle autorità dei paesi egemoni. Gli eroi e i geni diplomatici tanto esaltati, altro non sarebbero che personaggi sottomessi al sistema di potere dell'oligarchia dominante. La Storia del nostro meridione è ad oggi palesemente mistificata, e nessun libro scolastico spiega in modo chiaro e approfondito quali sono le vere cause del sottosviluppo economico del sud. Pur di non dare spiegazioni si è fatto ricorso al pregiudizio e allo stereotipo che mostra il cittadino meridionale come poco amante del lavoro e poco rispettoso delle istituzioni. Le autorità Sabaude, negli anni successivi all'unificazione, descrivevano i meridionali come contadini con usanze barbare e primitive, oppure come una massa di delinquenti e criminali. Si affermò lo stereotipo del meridionale da civilizzare. Ad esempio, un libro pubblicato nel 1898 dal titolo "L’Italia barbara contemporanea", considerava il sud come "una grande colonia da civilizzare”, in cui si dovevano raggiungere "due obiettivi fondamentali: combattere la miope superbia regionale; irrobustire il culto dell’Unità fondata sul dogma di adattare tutte le regioni in un unico modello amministrativo [con] una gestione autoritaria a sud e liberale nel centro/nord" .(27)

I fatti qui raccontati sono soltanto una minima parte di quello che si potrebbe raccontare. Molti eccidi sono stati completamente insabbiati con la distruzione dei documenti, e alcuni archivi Sabaudi non sono ad oggi accessibili.
Gli eventi qui trattati non appartengono soltanto al passato. La popolazione del sud Italia porta ad oggi le conseguenze di ciò che avvenne, e l'Italia intera continua a soffrire per un sistema politico orientato soltanto a difendere gli interessi del potere dominante.
Ad oggi, si preferisce denigrare i meridionali piuttosto che capire qual'è la vera realtà. Fino a qualche tempo fa qualcuno sosteneva che i meridionali non avevano il "senso dello Stato". Ma cosa significa ciò alla luce dei fatti storici? Significa non avere affezione per istituzioni che si spacciano per rappresentanti della collettività ma che in realtà agiscono in modo iniquo utilizzando anche la mafia per tenere sottomessa la popolazione. Soccombere a un tale assetto significherebbe morire "dentro", e questo non è nello spirito vitale della cultura del sud.
I nostri libri di Storia citano diverse "liberazioni", ma alla luce dei fatti risulta che il popolo italiano non si è ancora liberato dalle catene del potere, che oggi risulta nascosto e mistificato, ma non per questo meno oppressivo e nocivo.

Copyright 2007 - all rights reserved.

ATTENZIONE: Questo articolo è protetto dal Copyright.
Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale di questo articolo, inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta di Antonella Randazzo. Per la riproduzione integrale o di parti dell'articolo occorre richiedere l'autorizzazione scrivendo all'indirizzo e-mail giadamd@libero.it


BIBLIOGRAFIA

Alianello Carlo, "La conquista del Sud - Il Risorgimento nell'Italia meridionale", Rusconi, Milano 1982.
Ciano Antonio, "I Savoia e il massacro del Sud", Grandmelò, Roma 1996.
De Matteo Giovanni, "Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone ed i Savoia", Guida Editore, Napoli 2000.
Di Fiore Gigi, "1861. Pontelandolfo e Casalduni: un massacro dimenticato", Grimaldi & C. Editori, Napoli 1998.
Di Fiore Gigi, "I vinti del Risorgimento", UTET, Torino 2004.
Izzo Fulvio, "I Lager dei Savoia", Controcorrente, Napoli 1999.
Mack Smith Denis, "I Savoia Re d'Italia", Rizzoli, Milano 1990.
Pellicciari Angela, "Risorgimento da riscrivere", Ares, Milano 2007.
Radice Antonio, "Risorgimento perduto", De Martinis & C., Catania 1995.
Servidio Aldo,"L'imbroglio Nazionale", Alfredo Guida Editore, Napoli 2000.
Smith Denis Mack, "Garibaldi, una grande vita in breve", Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1993.
Zitara Nicola, "Il proletariato esterno. Mezzogiorno d'Italia e le sue classi", Jaca Book, Milano 1977.
Zitara Nicola, "Negare la negazione", La Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria 2001.

NOTE

1) Macry Paolo, "Così il Sud condannò l’Unità", Corriere della Sera, 23 Gennaio 2002.
2) Macry Paolo, "Così il Sud condannò l’Unità", Corriere della Sera, 23 Gennaio 2002.
3) Lupo Salvatore, "Storia della mafia", Donzelli Editore, Roma 1996, p. 59.
4)www.brigantaggio.net/brigantaggio/Storia/Meridionale/Q37_Mafia.PDF+inglesi+terre+sicilia+contadini&hl=it&ct=clnk&cd=5&gl=it&ie=UTF-8
5) Smith Denis Mack, "Garibaldi, una grande vita in breve", Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1993, p. 285.
6) Radice Antonio, "Risorgimento perduto", De Martinis & C., Catania 1995.
7) Sciascia Leonardo, "Nino Bixio a Bronte", Edizioni Salvatore Sciascia, Caltanissetta, 1963.
8) Giarrizzo Giuseppe, "La Sicilia moderna dal Vespro al nostro tempo", Edumond Le Monnier, Firenze 2004.
9) Radice Antonino, "Risorgimento perduto: origini antiche del malessere nazionale", De Martinis, Catania 1995.
10) Ciano Antonio, "I Savoia e il massacro del Sud", Grandmelò, Roma 1996.
11) http://cronologia.leonardo.it/storia/a1862f.htm
12) Cit. Croce Benedetto, "Storia del Regno di Napoli", Laterza, Bari, 1966, pp.337-339.
13) http://www.ilportaledelsud.org/mono_ressa_4_4.htm#_ftn26
14) De Jaco Aldo, "Il brigantaggio meridionale, Cronaca inedita dell'Unità d'Italia", Editori Riuniti, Roma, 1969
15) http://www.leinchieste.com/viaggiatori_e_mafia.htm
16) Nelson Hood Alexander, Sicilian Study, George Allen & Unwin, London 1915.
17) www.duesiciliegioiosa.org
18) Cesare Cantù, "Storia Universale", Unione Tipografica Editrice, Torino 1886.
19) Circolare del Commissario del re per la Provincia di Belluno datata 5 ottobre 1866.
20) Eupani Silvio, "Epopea di Malo: da Quarto dei Mille al Pasubio, al fiume Don", 1971.
21) Zitara Nicola, "Il proletariato esterno. Mezzogiorno d'Italia e le sue classi", Jaca Book, Milano 1977.
22) Zitara Nicola, op. cit.
23) Atto parlamentare n. 234 del 20 novembre 1861.
24) De Sivo Giacinto, "I Napolitani al cospetto delle nazioni civili" (1860), Borzi, Roma 1967.
25) www.duesicilie.org/OLDSITE/comunicati/Casalduni.html - 14k
26) Alianello Carlo, "La conquista del sud", Rusconi, Milano 1972.
27) Servidio Aldo, "L'imbroglio Nazionale", Alfredo Guida Editore, Napoli 2000, p. 163.

giovedì

DONNE & VALLETTE Come siamo diventati il paese delle seduttrici a tempo pieno

Di Antonella Randazzo

02 agosto 2007

Se un pubblicitario italiano si scopre privo di talento non se ne duole più di tanto perché sa che in Italia c'è un escamotage che gli permetterà comunque di avere successo. Infatti, se egli utilizza chiappe, tette e donne nude in abbondanza il successo è assicurato.
In molte delle nostre pubblicità televisive, trasmesse a tutte le ore, appaiono corpi nudi o parti anatomiche femminili, associati a qualsiasi prodotto, dal telefonino alla birra. Soltanto nelle pubblicità dirette alle donne (detersivi, prodotti per la casa, ecc.) la donna è vestita e non è ammiccante.
Eppure nel nostro paese la censura c'è, ma non riguarda ciò che può offendere la donna, soltanto quello che può calpestare o offendere la dignità dell'uomo. Ad esempio, qualche anno fa, è stata censurata una foto, utilizzata per una pubblicità, che ritraeva un folto gruppo di uomini nudi posti molto vicini fra loro, ma privi di atteggiamenti sessuali. La foto è stata considerata oltraggiosa della persona maschile, tuttavia, immagini ben più volgari, che offendono gravemente la dignità della donna, vengono mostrate con disinvoltura sui muri delle metropolitane, per le strade e persino stampate sugli autobus. Questo significa che si riconosce la possibilità di esistenza di immagini che offendono la dignità dell'uomo, ma non si fa altrettanto per l'immagine della donna, permettendo così che l'immagine del corpo femminile venga utilizzata come si vuole, anche umiliando e svilendo la donna.
Il 15 luglio scorso, il "Financial Times" ha dedicato all'Italia un articolo, da cui emerge che le donne italiane aspirano ad essere casalinghe o "seduttrici". L'articolo, titolato "La terra che ha dimenticato il femminismo", era corredato da un'immagine di Elisabetta Canalis che mostrava con generosità le sue forme. La Canalis è stata protagonista di una campagna pubblicitaria della Tim, che produsse migliaia di cartelloni pubblicitari che la ritraevano china in avanti per mostrare il seno. Secondo il giornale inglese la donna italiana è la peggio considerata rispetto agli altri paesi europei, e per trovare situazioni ancora più drammatiche occorre andare in Corea, in Egitto o a Cipro. L'autore dell'articolo, Adrian Michaels, che è il corrispondente da Milano, racconta che in Italia la donna è mostrata per stimolare "i genitali dell'uomo, anziché il cervello". Michaels, che vive in Italia già da qualche anno, è rimasto molto colpito dal fatto che nessuno solleva il problema così grave della mercificazione e discriminazione della donna. L'intento dell'autore era proprio quello di attrarre l'attenzione sulla situazione degradante e umiliante in cui è stata relegata la donna italiana.
I telegiornali italiani hanno dato la notizia dell'articolo di Michaels, ma intervistando soprattutto persone che minimizzavano o addirittura criticavano il punto di vista del giornale inglese. Nessuna critica è stata fatta al sistema pubblicitario o mediatico, né alla cultura italiana.
Il giudizio del "Financial Times" appare del tutto fondato, e sarebbe il caso che le autorità italiane prendessero coscienza della gravità del problema per iniziare a fare qualcosa, come ad esempio difendere l'immagine femminile dalla mercificazione o fare leggi per tutelare meglio i diritti delle donne.
Il degrado che ha colpito l'immagine della donna in Italia, e gli effetti che produce, sono conseguenza di un percorso graduale, in sintonia con il metodo della "metafora del ranocchio" (vedi articolo "La metafora del ranocchio"). Ossia, tale realtà si è determinata a poco a poco, e per questo oggi è generalmente accettata e considerata "normale" da molti. A partire dagli anni Cinquanta, in Italia si diffusero le riviste femminili, in cui le donne erano rappresentate rigorosamente vestite con eleganza, e anche quando si riportavano notizie di "scandali" delle "stars" di Hollywood, le immagini e i testi erano sempre assai pudichi e discreti. Tuttavia, tali riviste, facevano passare una visione del ruolo femminile ben determinata: la donna doveva curare il suo aspetto fisico e ambire a sposare un "buon partito". La bellezza fisica era vista come risorsa essenziale di cui la donna poteva disporre per agguantare un uomo benestante o ricco. In queste riviste, molti articoli mostravano belle case, belle donne sorridenti e oggetti costosi, come gioielli, automobili e abiti di lusso. A partire dalla fine degli anni Sessanta-inizio anni Settanta, in armonia con la nascita di movimenti femministi e per la difesa dei diritti civili, l'immagine della donna iniziò a cambiare: sulle riviste e in TV apparivano donne in minigonna e con atteggiamenti di minore sottomissione al lusso e al potere maschile. Gradualmente, le pubblicità presentarono i corpi femminili sempre meno vestiti: dalla minigonna si passò alle scollature sempre più azzardate, fino all'immagine ammiccante in biancheria intima. A partire dagli anni Ottanta le immagini pubblicitarie ritraevano spesso la donna priva di reggiseno, e soprattutto dagli anni Novanta iniziarono ad apparire corpi completamente nudi, oppure parti del corpo, specie il sedere e il seno. Oggi le riviste femminili presentano una quantità enorme di pubblicità in cui il corpo della donna è nudo. L'abitudine a queste immagini ha indotto le donne italiane ad accettare l'estesa mercificazione del corpo femminile che la pubblicità oggi pratica. Oggi molte donne ritengono che ciò sia "normale", o addirittura positivo. Su questi giudizi pesa anche la lusinga che tende a far credere alle donne che esibire il corpo significa essere ammirate e amate. Si tratta della cultura dello spettacolo, che induce a credere che apparire possa significare esistere, e che mostrarsi sessualmente prorompenti può dare molto successo.
Delle lotte femministe per i diritti della donna rimane oggi ben poco. Col passare degli anni, la propaganda cercò di svilirle, mettendone in evidenza alcuni aspetti del tutto accessori, come la questione della rinuncia al reggiseno. Il termine "femminista" diventò a poco a poco un'etichetta nefasta. Infatti, tale parola venne associata a significati negativi, facendo apparire le femministe come lesbiche oppure persone con problemi nel rapporto con l'uomo. Ciò ha scoraggiato le donne dal professare di credere in una lotta per la difesa dei diritti della donna e ha contribuito al trionfo dell'immagine femminile svilita al ruolo di seduttrice ammiccante o di casalinga. La personalità femminile, attraverso i mass media, senza alcuna opposizione, è stata appiattita e relegata all'interno degli aspetti più superficiali, con messaggi continui che attribuiscono valore alla donna sulla base di ciò che è esteticamente.
L'Italia è dunque un paese gravemente sessista. Le donne stesse talvolta sono refrattarie a denunciare aspetti del comportamento maschile che ledono la loro dignità. La maggior parte delle donne italiane sa di essere discriminata, ma alcune minimizzano il problema, mentre la maggior parte degli uomini lo ammettono, per timore di essere relegati all'interno della categoria dei maschilisti. Molti di coloro che si affrettano a sostenere che la donna è discriminata sono gli stessi che discriminano. Lo fanno perché sono abituati a farlo, avendolo appreso sin da piccoli. Prevaricano la donna senza accorgersene, anzi, spesso credendo di comportarsi in modo "paritario". Anche solo nelle piccole cose mostrano la cultura in cui sono stati formati. Ad esempio, nel prender parola quando a parlare dovrebbe essere la donna, o nel sentirsi in diritto di criticare e correggere la donna anche quando non si viene affatto criticati o corretti.
La libertà e la parità sessuale, nel nostro paese sono chimere. Ad esempio, se un uomo sceglie di stare con molte donne viene considerato assai positivamente (latin lover), mentre se una donna fa altrettanto viene volgarmente e offensivamente apostrofata.
Nel nostro contesto culturale, le donne vengono viste come "colpevoli" anche quando non lo sono. Ad esempio, quando la donna viene picchiata o stuprata, alcuni hanno l'impulso a cercare una colpa nella donna stessa, nel suo comportamento o nel suo abbigliamento, per deresponsabilizzare l'uomo. Anche le donne che si esibiscono seminude in TV vengono criticate, dimenticando che è l'autore del programma (un uomo) a decidere di mettere donne che impersonano quei ruoli non gratificanti, e se anche la donna è responsabile perché si presta a quei ruoli degradanti, è pur vero che non sono le donne a decidere quello che oggi va in onda in TV.
L'uomo, nel nostro contesto culturale, è inquietato (a meno che non elabori attivamente il problema) dalla figura femminile, che da bambino lo vedeva in completa dipendenza. Inoltre, egli non viene abituato ad accettare e ad esprimere la propria emotività, che lo vede fragile, come un uomo, gli viene insegnato, non dovrebbe mai essere. La donna, invece, identificandosi con la madre risolve l'originaria dipendenza, e viene abituata ad esprimere la propria emotività, nei gesti affettivi, attraverso il pianto o con altri comportamenti emotivi. L'amore per il padre la spinge alla conquista del suo affetto, e per questo il suo comportamento risulterà spontaneamente incline alla "seduzione" affettiva. In caso di prevaricazione del maschile e di imposizione di ruoli sessuali stereotipati, la donna subirà conseguenze assai negative, poiché l'uomo che non ha risolto la sua originaria inquietudine verso il femminile sarà indotto a volerla rendere inoffensiva, percependo in essa un potenziale pericolo di dominio sulla sua persona. Di conseguenza, l'immagine stereotipata che l'uomo tenderà ad affermare sarà quella della donna/bambina, sessualmente seduttiva ma priva di personalità. Bella ma oca, sorridente e sciocca, da tenere in ruoli inferiori. E' questa l'immagine femminile che tranquillizza l'uomo.
Oggi i pubblicitari, gli autori di programmi televisivi, i dirigenti delle reti TV e i registi cinematografici sono quasi tutti uomini, e l'immagine mediatica proposta è quasi sempre esattamente quella che più li rassicura.
La donna viene incoraggiata ad introiettare l'immagine di seduttrice che l'uomo ha creato sulla base delle sue fantasie, e non a conoscere il proprio corpo e ad esprimere e creare essa stessa fantasie e immagini sessuali. Essa viene incoraggiata ad assumere ruoli subalterni rispetto all'uomo, e quando non lo fa deve giustificarsi. Fa notizia la donna che diventa pilota, idraulico o autista di tram.
In un contesto lavorativo, se la donna raggiunge un maggiore successo di altri colleghi uomini (ciò accade assai raramente perché di solito è ostacolata), qualcuno fra questi ultimi può provare un senso di ingiustizia perché fin da piccolo ha appreso implicitamente che egli deve dimostrare di essere superiore alla donna, raggiungendo un livello lavorativo più elevato, e se ciò non accade significa che ha fallito.
Fino a qualche tempo fa si sosteneva che le donne del sud Italia fossero più arretrate di quelle del nord perché più spesso sceglievano di fare le casalinghe. Ma se si approfondiva si capiva che molte donne del nord erano più svantaggiate di quelle del sud, perché oltre a lavorare molte ore fuori casa dovevano svolgere tutti i lavori in casa e occuparsi dei figli. Pochissimi uomini del nord erano stati educati all'idea di dover equamente dividere i lavori di casa, cosicché, mentre il ruolo di casalinga veniva sempre più visto come involutivo per la donna, in realtà tutte le donne (lavoratrici e non) erano costrette a farlo come un dovere.
Oggi il mercato del lavoro, diventato sfruttamento legalizzato e precariato perpetuo, ha spianato la strada per un "ritorno al focolare domestico" della donna. All'aspirazione casalinga si è aggiunta l'aspirazione a diventare vip. Le ragazzine, cresciute con la sessualizzazione massiccia offerta dai media, credono che sia del tutto normale ridurre l'intera esistenza all'essere visti o desiderati.
La giornalista del Messaggero Marida Lombardo Pijola ha fatto una scoperta raccapricciante: l'esistenza di bambine di 11/13 anni che "seducono" ballando seminude nelle discoteche. Nel libro Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa,(1) la giornalista ha riportato le agghiaccianti interviste fatte a cinque di queste bambine, che raccontano anche di "favori sessuali" a pagamento.
Tutto questo è dovuto all'eccessiva sessualizzazione della realtà veicolata dai mass media, che incoraggia le bambine e sentirsi "donne" anzitempo, e a credere che la loro esistenza debba essere improntata esclusivamente alla seduzione sessuale. Le bambine, in questo contesto, sono indotte a credere che la loro mente debba essere assorbita soprattutto da preoccupazioni o pensieri che riguardano l'avere un corpo bellissimo, e che ciò possa garantire la possibilità di esistere, nell'essere guardate e desiderate.
La nostra cultura sembra sessualmente libera ma non lo è affatto. In essa si confonde la moralità con il moralismo e la libertà sessuale con la volgarità e la mercificazione della donna.
Qualche tempo fa, in un programma televisivo, ad alcuni uomini si chiese cosa pensassero delle donne che posano nude per i calendari. Tutti risposero che non c'era nulla di male nello spogliarsi. Quando però si chiese loro se fossero disposti ad accettare che la loro madre, sorella o moglie posasse nuda, risposero tutti di no, cercando di giustificarsi in modo impacciato.
Questo prova che anche coloro che usufruiscono delle immagini pornografiche, in realtà riconoscono che il mostrare il corpo femminile come oggetto, privato dell'entità di persona, non è accettabile, anche se oggi è diventato un fenomeno tristemente familiare.
Alcuni fotografi parlano di "foto artistiche", ma chissà perché la loro arte è ispirata soltanto dalle donne nude. Se è vero che il nudo in sé non è volgare né offensivo, è anche vero che esso può diventare una "merce", ossia un corpo privo di quegli elementi che lo rendono persona.
Nel mondo della finzione, qual'è quello televisivo e cinematografico, sembra che si possa mostrare di essere qualsiasi cosa senza effettivamente esserlo "dentro". E' da ciò che nascono le donne seduttrici dai finti labbroni, che ancheggiano conturbanti in abiti discinti. O le vallette che eseguono come burattini il copione preparato dal regista del programma. Caricature di donne, create da uomini. Oggi si chiede alla donna di adattarsi a questi stereotipi e ambire al "posto al sole" conquistato a colpi di seduzione. Molte donne si adattano a questa realtà, nella maggior parte dei casi con costi elevatissimi: nevrosi e varie patologie, specie di tipo alimentare.
La seduzione è un aspetto importantissimo della realtà, ma essa diventa grottesca quando è privata dell'essenza delle persone in gioco. Quando non coinvolge l'intera persona, ma soltanto parti anatomiche, e non è indirizzata ad un "oggetto" che seduce a sua volta.
Voler sedurre tutti, paradossalmente, può voler significare l'incapacità di vera seduzione, oppure il non essere capaci di essere sedotti. La donna dalla sessualità insicura cerca invano certezze all'esterno, nel sedurre tutti.
Essendo stata retrocessa a "seduttrice", la donna italiana è soggetta a giudizi estetici severi. Viene notato se una donna non è particolarmente bella, mentre l'uomo non bello non è per forza soggetto a giudizi estetici. Mi ricordo di una trasmissione televisiva in cui Rosy Bindi veniva criticata per la mancata "avvenenza", ma lo stesso giudizio non l'ho mai sentito rivolgere a uomini politici di scarse qualità seduttive.
Alla donna si chiede anche una maggiore forza emotiva e psicologica. La scorsa primavera, su Raidue fu mandato in onda un reality dal titolo "La sposa perfetta". In quella trasmissione si chiedeva alla donna, oltre alla bellezza, una resistenza psicologica maggiore rispetto agli uomini. Infatti, gli uomini erano accompagnati dalle madri, mentre le donne erano sole. Le donne dovevano dimostrare di essere "spose perfette" e alla fine del programma una di esse sarebbe stata premiata. Le riprese della vita nella "casa" erano spesso incentrate sul corpo femminile. Nonostante la trasmissione fosse diretta alle famiglie, le donne venivano inquadrate mentre si vestivano o svestivano (molto più spesso che gli uomini), e addirittura dalle immagini delle ragazze svestite si ricavò un calendario, mostrato durante una puntata del programma. Nell'ultima puntata si premiò la "madre perfetta", indicando che tutte le donne erano sottoposte a giudizi e chiamate al perfezionismo.
L'attuale realtà mediatica, oltre ad essere sessista, ci invia continui messaggi che minano il rapporto uomo/donna, istigando rivalità e rancori reciproci. La maggior parte delle produzioni televisive e cinematografiche sono caratterizzate da storie di separazioni e incomprensione fra i sessi. A volte c'è addirittura lo scontro aperto violento fra donna e uomo. Le informazioni sulla diversità fra i sessi e l'incomunicabilità sono assai veicolate, mentre quelle contrarie sono pressoché inesistenti.
E' inconfutabile che l'uomo e la donna abbiano aspetti fisici e psichici che li differenziano, tuttavia, queste differenze non sono tali da pregiudicare completamente ogni possibilità di rapporto costruttivo e positivo.
La nostra cultura mediatica non ci fornisce alcuna indicazione su come risolvere incomprensioni, incomunicabilità ecc., mentre ci dà tanti stimoli al contrasto e alla discordia.
Ad esempio, non tutte le donne sanno che gli uomini conservano la dimensione del gioco, e in un rapporto vorrebbero trovare anche la possibilità di contrastare la noia e la banalità del quotidiano, mentre le donne, puntano soprattutto a voler stabilire un profondo legame affettivo/sentimentale. E non tutti gli uomini sanno che per la maggior parte delle donne il tradimento intollerabile è quello sentimentale o affettivo. Per questo possono essere gelose persino della madre, mentre l'uomo, che intende il tradimento come sessuale, non può essere geloso del padre, quanto, piuttosto, di un collega che trascorre molte ore con la moglie. Ci si può capire meglio conoscendo le diversità, e le incomprensioni non sempre sono insormontabili. Esistono molti libri che possono aiutare a capirsi, ma per fare il passo di voler capire occorre prima pensare che ciò sia possibile.
Non c'è società libera senza rispetto per la donna. Se ogni uomo (anche i pubblicitari e gli autori dei programmi televisivi) avesse per ogni donna il rispetto e la considerazione che ha per se stesso, sparirebbero i modelli mediatici negativi posti come esempio da imitare.
Il futuro attende il coraggio di essere donne e la capacità di rispettare le donne.


Articolo correlato: "LA MERCIFICAZIONE DELLA DONNA. Violenze e discriminazioni contro le donne nel mondo contemporaneo".


Copyright 2007 - all rights reserved.

ATTENZIONE: Questo articolo è protetto dal Copyright.
Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale di questo articolo, inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta di Antonella Randazzo. Per la riproduzione integrale o di parti dell'articolo occorre richiedere l'autorizzazione scrivendo all'indirizzo e-mail giadamd@libero.it


NOTE

1) Lombardo Pijola Marida, Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa, Bompiani Editore, Milano 2007.