mercoledì

I RUOLI SESSUALI E L'EQUILIBRIO PSICHICO - PARTE PRIMA - La sindrome di Cenerentola

Di Antonella Randazzo


Alcuni potrebbero credere che la questione dei rapporti uomo-donna non abbia nulla a che
vedere con le grandi problematiche finanziarie, politiche ed economiche, o che si tratti di una questione di poca importanza. In realtà occorre osservare che dalle "piccole" questioni derivano le grandi, e che i rapporti fondamentali della vita degli individui sono centrali nel determinare la loro personalità e il loro comportamento sociale.
I rapporti uomo-donna sono da inscrivere all'interno della situazione generale del sistema, in quanto espressione di ciò che deriva dal sistema stesso, e in parte frutto delle frustrazioni o alienazioni da esso prodotte.
Il potere del sistema si estende in parte anche alla connotazione sessuale di ognuno di noi. Ovvero, attraverso una serie di condizionamenti ogni essere umano può essere indotto a ritenere alcune cose circa la sua identità sessuale, e a rapportarsi in un dato modo con l'altro sesso.
Ciò dipende dalle caratteristiche economiche che si vogliono consolidare, e dal significato o valore che si vuole dare al nucleo familiare. Nella società agricola le famiglie erano importantissime, in quanto alla base della sopravvivenza c'era il duro lavoro che ogni componente della famiglia (anche i bambini in tenera età) doveva svolgere, ognuno nel proprio ruolo.
Nei primi anni del processo di industrializzazione, molte famiglie, impoverite dalla perdita delle terre (sottratte con violenza oppure attraverso strategie di impoverimento), dovettero riversarsi nelle città per lavorare nelle fabbriche. La differenza nella condizione lavorativa, rispetto a prima, consisteva nella totale dipendenza dal datore di lavoro, e nell'impossibilità di tenere vicino il nucleo familiare. Ora i bambini più piccoli erano dispersi per la città, preda di ogni violenza e pericolo. E' l'epoca in cui nacque la pedagogia, grazie a filantropi come Giovanni Enrico Pestalozzi, che raccolsero molti bambini piccoli (a cinque anni venivano già inseriti nelle catene di montaggio) che erano costretti a vivere in strada poiché i genitori lavoravano per molte ore nelle fabbriche. Scrisse Pestalozzi: "Io volevo salvare il fanciullo destinato al vagabondaggio, forse al delitto".(1)
Nella società industriale la famiglia viene considerata all'interno dei rapporti di produzione, come forza lavoro potenziale o attuale. Quando la produzione necessitava di molta forza lavoro (ad esempio in tempo di guerra) anche le donne e i bambini venivano inseriti nelle fabbriche. Ad esempio, durante la Prima guerra mondiale, il governo italiano promulgò una "speciale legislazione di guerra" che permetteva di sfruttare le donne e i bambini. Spiega lo studioso Giorgio Porosini, "(le donne lavoravano) senza le usuali garanzie; (la legislazione permetteva) di concentrarle in stabilimenti spesso inadatti e improvvisati, di occuparle molte ore al giorno e della notte in dispregio alle norme consuete; di moltiplicare e di generalizzare ore di lavoro supplementari; di adottare misure di estrema gravità per evitare le assenze collettive e individuali dalle fabbriche, i rifiuti di obbedienza, le minacce; di comminare pene severe anche a donne e bambini".(2) Ciò significava anche farli lavorare quanto e quando si voleva, compresi festivi e domeniche, con salari più bassi almeno del 30% rispetto a quelli degli uomini adulti. La nuova legislazione eliminò anche le norme a tutela della sicurezza, e gli infortuni sul lavoro aumentarono significativamente. Ovviamente, l'élite dominante fece profitti elevatissimi, e non veniva ritenuta responsabile nei casi di morte o di grave infermità dei lavoratori.

Dall'ultimo dopoguerra si diffuse l'idea che le donne dovessero riacquistare il loro ruolo di "angelo del focolare", e proliferarono produzioni cinematografiche che vedevano la donna nel ruolo della casalinga, oppure in cerca di marito. Queste produzioni esaltavano l'idea che ogni donna dovesse rimanere "virtuosa" per il proprio futuro marito, e che ogni signorina dovesse aspirare soprattutto ad un buon matrimonio, in cui si sarebbe dedicata esclusivamente al proprio marito e ai figli, sacrificando ogni personale aspirazione. Si ripropose l'assegnazione rigida dei ruoli sessuali, sulla considerazione della presunta "natura" propria di ogni sesso. Ciò prescindeva dalla considerazione degli uomini e delle donne come persone depositarie di libertà di scelta, imponendo una costruzione artificiale dei ruoli, che veniva spacciata come verità assoluta. Tali ruoli generarono una serie di idee, credenze o convinzioni circa il modo di essere di ognuno, in relazione soltanto alla connotazione sessuale.
Dagli anni Cinquanta si consolidarono una serie di idee di ciò che le donne dovevano essere e a cui dovevano aspirare. Idee che determinarono gli stereotipi fissi della donna sottomessa al marito, che rinunciava a tutto per la famiglia, oppure di quella che, anche se di umili origini, si "sistemava" attraverso un buono matrimonio, offrendo il proprio bellissimo corpo al marito, come fosse merce di scambio. Si trattava di stereotipi percepiti come "giusti" per la donna, mentre altri stereotipi rischiavano di dare un marchio infamante a chi in qualche modo vi potesse rientrare. Ad esempio, la donna "libera" sessualmente incorreva nella durissima disapprovazione sociale, rischiando di rimanere sola e di diventare l'argomento preferito nei pettegolezzi di donne e uomini.
A partire dagli anni Settanta, si è prodotta in vari modi una forte confusione nel ruolo sessuale femminile e in quello maschile, generando scompensi di vario genere, e contrasti fra i sessi. Il "femminismo", anziché sollevare le problematiche femminili e proporre soluzioni per risolverle, spesso si è limitato a denunciare i presunti responsabili della condizione svantaggiata della donna, talvolta accusando l'uomo in modo non costruttivo.
Paradossalmente, lo stesso femminismo, nella misura in cui tendeva a sminuire ciò che può essere "femminile" (es: maternità, dedizione ai figli, ecc.) poteva concorrere a disprezzare il valore delle donne, e rischiava di bloccare l'emancipazione femminile, incoraggiando ad apparire come vittime dell'uomo.
Inoltre, etichettare come "femminista" la donna che faceva presente la sua esistenza all'interno di una società maschilista favoriva l'idea che ciò non fosse interesse di tutte le donne e dell'intera società. Una delle tecniche del sistema attuale per impedire cambiamenti è proprio quella di circoscrivere un fenomeno attraverso un'etichetta, per poterlo distruggere mediaticamente, e fare in modo che appaia interesse di alcuni e non di tutti.

La maggiore libertà nel vivere i rapporti sessuali non si è tradotta in un maggiore equilibrio nel rapporto fra i sessi. Il vecchio modo di impostare i rapporti uomo-donna non è stato soppiantato da un nuovo modo, più equilibrato e favorevole ad entrambi i sessi. Al contrario, agli errori del passato se ne sono aggiunti altri, rendendo tali rapporti in molti casi difficili o distruttivi. L'immagine della donna è stata gravata da notevole confusione e dalla mercificazione mediatica del suo corpo. Mentre l'immagine maschile è stata indebolita da un sistema che sempre più prepotentemente impone le proprie regole, frustrando e alienando, sotto l'apparenza di "democrazia".
L'attuale sistema non fa nulla per sollevare le tante problematiche relative ai rapporti uomo-donna, e per aiutare le coppie a migliorarsi.
Al contrario, in vari modi concorre a creare contrasti fra i sessi, facendo apparire la situazione di contrasto come immodificabile. Le produzioni televisive e cinematografiche puntano ad esasperare tale situazione, presentando donne e uomini nevrotici, incapaci di stare insieme positivamente, e motivati da aspetti superficiali o distruttivi.
Non si fa emergere che i rapporti di coppia possono evolversi all'interno di dinamiche emotive, affettive o mentali, e che è possibile crescere nel rapporto, anziché considerare l'altro come un corpo seduttivo e nulla più. Si induce a credere che i rapporti veri siano quelli malsani, in cui non c'è equilibrio, oppure in cui una delle parti funge da "oggetto" per l'altro. Si incoraggiano i rapporti non basati sull'autentica conoscenza dell'altro, ma sul bisogno (sessuale o emotivo) di rapporto.
Nell'assenza di vero rapporto, ovviamente, le coppie sono destinate a durare un periodo più o meno breve. Molte persone vivono la "coazione a ripetere", ovvero la tendenza a vivere storie che non accrescono l'esperienza, in cui si commettono sempre gli stessi errori, nella totale inconsapevolezza.

Le persone di sesso femminile oggi crescono ricevendo messaggi contraddittori circa il loro ruolo sessuale, e le adolescenti possono "risolvere" l'empasse identificandosi con personaggi dei mass media, come le veline o le vallette, assumendo così un'identità appiattita alla superficialità delle immagini seducenti offerte dalla TV.
Oggi molte donne sono ossessionate dal loro aspetto fisico, e indotte a vivere una vita meno creativa e autentica rispetto alle loro potenzialità, mentre gli uomini sono soggetti a ricercare quel senso di potere che il sistema nega loro, rimanendo incapaci, come nel passato, di costruire un costruttivo rapporto con la propria compagna o moglie.

Molte donne esibiscono una falsa indipendenza, che nasconde una scarsa autostima, e il desiderio di trovare un uomo che possa dare sicurezza materiale e affettiva. Ieri come oggi, molte donne rinunciano alla propria personalità per adattarsi al proprio uomo, e soddisfare i suoi desideri, rinunciando ai propri. Queste donne si sentono fragili e bisognose di essere protette da un uomo, e vedono in questa condizione la loro naturale essenza femminile.
Sin da piccole le donne vengono indotte a ritenere di dover cercare la "completezza" e la realizzazione attraverso un'altra persona. Alle bambine vengono raccontate fiabe che le stimolano a sognare il "principe azzurro", che risolverà ogni loro problema, regalando un'esistenza felice. Il bisogno della donna di appoggiarsi a qualcuno o di doversi sentire dipendente da altri viene alimentato sin dalla più tenera età. Come molti pedagogisti hanno appurato, la bambina viene incoraggiata ad essere dipendente, mentre il bambino ad essere indipendente. La bambina apprende la necessità di dipendere dall'esterno, anche per la considerazione che avrà di sé. Il bambino, invece, impara presto a contare su se stesso, rafforzando la fiducia e l'autostima. Le bambine possono ricevere messaggi che le convincono di essere meno capaci di difendersi da sole dai pericoli oppure che fossero meno degne di fiducia.
Secondo numerosi studi le qualità rafforzate nelle femmine sono diverse rispetto a quelle favorite nei maschietti. Il bambino piccolo, a partire dall'età di due anni riceve un'educazione che lo incoraggia ad avere criteri autonomi nel valutare se stesso, mentre le bambine possono rimanere nella dipendenza e nella passività per molti anni.
Addirittura, negli anni Quaranta dello scorso secolo, esistevano diversi psicanalisti che sostenevano che la dipendenza era una condizione più adeguata alla "femminilità".

Il maschietto, anche a soli cinque anni, può esibire comportamenti competitivi e dominanti, mentre le bambine, se lo facessero, incorrerebbero nel divieto genitoriale. In alcuni casi queste ultime ricevono strani divieti, come, ad esempio, "non stancarsi", "stare ferme", "essere pacate", che richiamano alla loro mente l'idea di essere fragili, di doversi proteggere, o di non dover rischiare mai nulla. Tutto questo tenderà a renderle persone che si pongono esse stesse dei limiti, avendo timore a rischiare sviluppando i loro talenti o percorrendo strade più difficili.
Le donne possono rimanere legate emotivamente alle madri, a tal punto da aver bisogno della loro approvazione anche da adulte. Ciò potrebbe mettere a repentaglio la fiducia in loro stesse come individui autonomi, ed indurle a cercare protezione all'esterno piuttosto che affrontare le proprie insicurezze.
In tal modo le donne crescono con l'idea che sarà il sistema dei valori del loro ambiente sociale a determinare il loro comportamento, sentendosi condizionate dal giudizio altrui circa il loro aspetto fisico, la loro personalità e persino la loro sessualità. Come spiega la scrittrice Gloria Steinem: "Retaggio lontano dell'infanzia, consolidato negli anni successivi dall'invisibilità che pare appannaggio di tutte le donne che vivono in una società modellata a uso e consumo del maschio... (è) la sensazione... di non-esistenza".
La donna cresce pensando di essere inadeguata rispetto ai ruoli più attivi e competitivi, che generano in lei paura e ansia. Per molte risulterà rassicurante il focolare domestico, non tanto per il rapporto col partner, quanto per la possibilità di avere una vita comoda e rassicurante, che sfugga alle problematiche inerenti alla realizzazione di sé come persone dotate di talenti o di capacità sociali e creative.
Come scrisse Simone de Beauvoir, le donne si sottomettono "per evitare la fatica di essere veramente se stesse".(3)
Questo spiega come mai, ad oggi, molte donne scelgono di regredire, accettando relazioni basate sul prevalere della personalità maschile, e sulla rinuncia a gran parte delle proprie ambizioni o desideri. Anche ai nostri giorni esistono rapporti in cui i ruoli sessuali sono rigidi. In questi rapporti l'uomo tende ad essere egoista, prevaricante, e si arroga il diritto di essere servito e riverito dalla donna. Quest'ultima è sottomessa, si abnega, serve l'uomo e rinuncia spesso ai suoi desideri.
I rapporti in cui un partner prevarica, a lungo andare generano un senso di acuto rancore o di risentimento e rabbia, che possono essere indirizzati contro il proprio partner oppure contro se stessi o altri.

Ogni donna dovrebbe principalmente cercare di tirare fuori la sua vera identità, senza paura, e senza cadere nella trappola dei ruoli prefissati, che ingoierebbero parte della sua personalità, per omologarla alla categoria "donna". Ma le donne, ancor prima che donne, sono persone, e dunque posseggono una propria, unica, identità.
Ogni donna, come ogni persona, dovrebbe acquisire abbastanza fiducia per saper contare su se stessa. Dovrebbe comprendere di avere grandi risorse, che possono arricchire ogni rapporto umano. Quando la donna ritrova se stessa e si libera dei condizionamenti ricevuti dal sistema, inizia a sentire più vitalità e diventa più spontanea, comprendendo che i criteri di giudizio devono provenire dal proprio animo ancor prima che dall'esterno. Secondo la studiosa Karen Horney, le donne che trovano l'autoconsapevolezza diventano capaci di "non fingere, di essere sincere sul piano emotivo, di riuscire a mettere tutte se stesse nei propri sentimenti, nel proprio lavoro, nelle proprie convinzioni".(4)

La libertà e l'indipendenza sono sempre frutto di impegno, basato sulla fiducia in se stesse e sulla capacità di vedersi persone prima ancora che donne. Persone che si stimano e si amano, altrimenti sarebbe impossibile costruire rapporti adeguati con gli altri.
Molti uomini inficiano il rapporto con l'altro sesso attraverso categorie stereotipate e prefissate, che impediscono loro di conoscere davvero la donna che frequentano o hanno accanto. Occupati a porre attenzione a ciò che in teoria ritengono essere la "donna", trascurano la personalità propria della donna a loro vicina, e possono dunque non comprenderla o non sviluppare quel rapporto profondo ed empatico che potrebbero avere. Alcuni psicanalisti hanno appurato che molte donne sposate fanno sogni in cui esse si trovano di fronte ai loro mariti, ma questi ultimi non le vedono. Il significato di questi sogni è che esse non si sentono "viste", ovvero non sentono che la loro vera e profonda identità sia conosciuta dai loro coniugi. In altre parole, si sentono invisibili ai loro occhi come persone dotate di una precisa identità individuale.
Molte mogli sfogano il senso di essere "invisibili" attraverso note di biasimo rivolte al loro marito. Osserva il dottor Martin Symonds: (il biasimo) "è un metodo molto efficace per le persone ansiose che hanno poca stima di sé. Nel momento in cui esprimono le loro critiche, esse si creano l'illusione che nei panni del 'criticato' avrebbero agito molto meglio". (5)
La forte critica verso il proprio partner, specie quando egli ha una personalità più forte o prevaricante, viene ad essere un modo per illudersi di poter avere un qualche potere. Il bisogno di criticare il proprio partner con le amiche, può essere un modo per tentare di riacquistare un po' di autostima, non avendo la forza necessaria per far valere direttamente le proprie istanze.
Alcune donne possono provare una segreta soddisfazione nel considerare il proprio uomo debole o inadeguato, poiché percependolo debole hanno la certezza che egli avrà sempre bisogno di loro. Ciò permette di recuperare un po' di fiducia nelle proprie capacità, ma non in quanto persone, piuttosto come "infermiere" a servizio di chi ha bisogno.

Molte donne utilizzano la sottomissione per poter esercitare in modo sotterraneo una manipolazione dell'altro. Queste donne desiderano esercitare un dominio a tal punto da cambiare l'altro, e talvolta il loro comportamento occultamente e astutamente manipolatorio viene visto come inquietante dall'uomo. Quasi si risvegliasse il vecchio stereotipo femminile della strega dotata di poteri magici. Per degradare il femminile, per molti secoli si è fatto ricorso alla superstizione o al racconto raccapricciante. Solo in tempi relativamente recenti sono state poste, nei racconti fiabeschi, le fate come nettamente divise in benigne o maligne (streghe). Anticamente erano tutte maligne/benigne al tempo stesso, ambiguamente, così come veniva inteso il femminile.
Le donne ricorrono anche a diverse tecniche di dominio, di solito basate sul senso di colpa, attraverso le quali intendono "forzare" il comportamento del partner. Il voler ottenere risultati facendo leva sui sensi di colpa indica una grande insicurezza e sfiducia. Caratteristiche che ostacolano la ricerca di una vera crescita interiore, che implica libertà per sé e per l'altro.
L'esistenza ci vede tutti vulnerabili e in preda a paure o ansie di vario genere, la cosa importante è non credere di risolvere la propria condizione esistenziale attraverso pseudo-soluzioni, ovvero negando il proprio "Io" più profondo per soccombere a ruoli sociali stereotipati, privandoci della vera libertà, che non può esistere senza assumersi la responsabilità di se stessi.
Non si può crescere senza rischiare e accettare che non tutto si può tenere sotto controllo, e non tutto può essere semplice da affrontare. La vita offrirà di tanto in tanto alcune sfide, o alcune esperienze più difficili da affrontare, e non ci si deve credere onnipotenti, ma neanche si deve credere di potersi sottrarre alle sfide appoggiandosi ad un'altra persona. Abbandonare l'infanzia significa accettare la responsabilità di se stessi, e acquisire la capacità di realizzare la propria esistenza così come la si vuole, senza essere condizionati da altre persone.
Dedicarsi completamente alla famiglia è accettabile, quando si tratta di una scelta libera, non dovuta al tentativo di sottrarsi a se stessi. Potersi dedicare ai propri figli dovrebbe essere un diritto per la donna, ma oggi essa può non essere libera di farlo.
Si è passati dall'imposizione sociale del ruolo della casalinga all'impossibilità di dare l'opportunità ad ogni donna di poter avere figli e di crescerli adeguatamente.

Oggi le donne sono disorientate dalla propria condizione di persone sfruttate in casa e fuori casa, e dall'ambiguità del ruolo che la società gli riconosce. Esse devono svolgere comunque la mansione di "casalinghe", anche quando sono impegnate a lavorare full-time. E' assai raro trovare un uomo che sia disposto a suddividere equamente il lavoro casalingo, poiché sopravvivono i vecchi pregiudizi circa i rigidi ruoli sessuali.
Le donne sono sottopagate e nella maggior parte dei casi svolgono lavori servili e sottoqualificati, ricevendo salari miseri.
Non si tiene conto che se le donne non realizzano pienamente ciò che sono, tutta la società ne risentirà. I loro talenti e l'impoverimento mentale a cui possono essere soggette ricadrà sulla qualità del Paese.

La realtà del sistema attuale è maschile e maschilista. Maschile perché basata su caratteristiche prettamente incoraggiate nei maschi, come la competitività, l'aggressività, l'autostima, le sicurezza in se stessi e la capacità di farsi valere; maschilista perché subordina gli aspetti femminili (ad esempio, l'intuito, l'emotività, l'empatia, la solidarietà, ecc.) a quelli maschili, considerando i primi come "inferiori" ai secondi.
Le "donne nuove" che il femminismo si presume abbia creato, sono persone che vivono in una realtà in parte immaginaria, in cui il vecchio senso di sé coesiste col nuovo, creando confusione e ansia. Molte donne dichiarano di essere indipendenti, autonome e gelose della propria libertà, ma dentro di esse si nasconde la donna bisognosa di affetto, che cerca l'uomo giusto, e che se innamorata esibisce comportamenti non degni dell'autostima e dell'indipendenza dichiarate.
Alcune di queste persone, divenute cinquantenni, oggi cercano nelle chat un modo per vincere la loro solitudine, cercando rapporti sessuali "senza impegno" con uomini che considerano ormai incapaci di offrire loro la splendida favola della loro infanzia. Ciò che tradisce la triste condizione esistenziale di queste donne è l'ossessività con cui cercano rapporti, e la quantità di tempo che dedicano alla chat, rinunciando alla vita reale, che magari potrebbe offrire opportunità sociali e sentimentali più autentiche di quelle sperimentate virtualmente. Una professoressa di 48 anni ha scritto la propria storia alla rivista "Tu", confessando che "incontro uomini sul web... è diventato il miglior modo per sentirmi meno sola".(6) Probabilmente, se ci si sente depresse, potrebbe essere meglio rivolgersi alle chat piuttosto che andare dal medico, col rischio di ottenere la prescrizione di psicofarmaci che distruggeranno la mente e provocheranno sintomi inquietanti. Negli ultimi anni, la quantità i donne che fanno uso di psicofarmaci è aumentata drammaticamente, specie fra le donne al di sopra dei 35 anni. Nel nostro paese, dal 1999 al 2006, l'uso di psicofarmaci è triplicato, e interessa anche anziani, bambini e adolescenti. Le donne ne fanno uso più degli uomini.(7)
Ciò rivela che i problemi dovuti alla confusione dei ruoli e alla dipendenza dall'esterno possono creare in alcune donne problemi psicologici, che in molti casi "curano" con psicofarmaci.

Molte donne tendono a vedersi con gli occhi "esterni", degli altri, esponendosi così a maggiori condizionamenti mediatici. Oggi molte pubblicità sono dirette proprio alle donne, allo scopo di condizionarle e indurle ad acquistare prodotti di bellezza, dietetici o per la casa. Le pubblicità di prodotti cosmetici sono tantissime, e mirano a ricordare alla donna i problemi estetici dovuti all'età (rughe, cellulite, pelle non luminosa, ecc.) per indurla a "risolvere" il problema attraverso un prodotto chimico. Queste pubblicità tengono conto della tendenza femminile a vedersi con occhi altrui, e creano, facendo leva su questa debolezza, uno stato di disagio, per far acquistare il prodotto. Si bombarda la donna con allusioni negative sul suo corpo, avvertendola che il suo aspetto estetico deve essere sempre tenuto sotto controllo, pena la perdita di fascino e di potere seduttivo. Con questi messaggi si fa molto di più che convincere a comprare un prodotto: si fornisce alle donne un criterio di autovalutazione, che ammette soltanto il giudizio sul corpo, considerato dunque tutto ciò che vale la pena di curare, o che non si deve fare a meno di curare.
Sono quasi sempre le donne a contrarre malattie dell'alimentazione, come l'anoressia e la bulimia. L'anoressia colpisce soprattutto ragazze dai 12 ai 21 anni, che cercano di fare diete dimagranti, per mettersi al pari dei modelli vigenti. Credendo di dover dipendere da valutazioni provenienti dall'esterno, la giovane donna, condizionata dai media, diventerà seduttiva, e cercherà di far propri quei modelli di seduzione femminile che derivano dal desiderio sessuale maschile.
Secondo la scrittrice Colette Dowling le donne sono attanagliate da molte paure e insicurezze che potrebbero superare:
"C'è una nuova crisi nella femminilità - la situazione conflittuale è legata a una certa confusione tra quel che è 'femminile' e quel che non lo è - e impedisce a molte donne di funzionare serenamente, in modo ben integrato. Per anni la femminilità è stata associata - anzi, identificata - con la dipendenza... Chi vuole incominciare a sentirsi soddisfatta di se stessa deve innanzi tutto avere il coraggio di comprendere che cosa le succede dentro... la prima cosa che le donne devono cercare di capire è fino a che punto la paura governa la loro vita... Paura di essere indipendenti... di essere capaci... di essere incapaci... La paura si è infiltrata a livello così profondo nell'esperienza femminile da essere come una piaga occulta. Si è stratificata nel corso degli anni in virtù del condizionamento sociale ed è tanto più insidiosa in quanto così profondamente radicata nella nostra cultura che nemmeno ci rendiamo conto della sua esistenza... Ci sarà impossibile realizzare dei veri cambiamenti di vita... finché non incominceremo a lavorare sulle ansie... (e) non inizieremo a fare una specie di contro-lavaggio del cervello".(8)

Il problema della confusione femminile dei nostri giorni può essere semplificato attraverso la dinamica dipendenza/indipendenza. In modo esplicito si richiede alla donna di oggi di essere indipendente quanto l'uomo, ma implicitamente, in vari modi, si chiede di essere diversa dall'uomo, più docile, più dipendente e più disposta a rinunciare a se stessa per gli altri. La donna realmente indipendente e impegnata a realizzare la sua personalità in modo autonomo viene spesso percepita come "mascolina" oppure come egoista. In altre parole, anche oggi la femminilità viene associata al sacrificio e alla dipendenza, e si plaude alla donna sottomessa al marito, e non a quella che sceglie di seguire la sua inclinazione lavorativa. Talvolta, quando si deve valutare una donna di successo, si tende ad attribuire i risultati alla "fortuna" piuttosto che al merito, mentre nel caso in cui si tratti di un uomo si tende a valutare correttamente. Da alcune ricerche emerge che le stesse donne sono inclini ad attribuire il loro successo a cause "esterne" (fortuna, facilità del compito) piuttosto che ai propri meriti. Ciò dipende dall'idea di non valere granché.
Tale idea, anziché generare un'azione reattiva che consenta di acquisire fiducia in se stesse, spesso produce un senso di vittimismo e di ingiustizia, come se si volesse trovare all'esterno una causa alla propria condizione, per poterla giustificare e dunque renderla immodificabile. Queste donne possono provare invidia per le persone più sicure di loro, che hanno quel successo che esse si impediscono di avere.

La Dowling parla del "complesso di Cenerentola", come di una sindrome che colpisce molte donne, e che consiste in una serie di paure e insicurezze che, invece di essere affrontate, provocano nella donna il desiderio di essere "salvate" da un uomo. Ovvero di trovare un uomo capace di dare loro sicurezza affettiva e materiale, in modo tale da non dover affrontare le proprie paure, che risalgono all'infanzia. Non sempre è facile riconoscere queste donne, perché esse possono nascondersi dietro una maschera di indipendenza e di autosufficienza. In realtà esse tradiscono la loro condizione attraverso un segreto bisogno, manifestato all'occorrenza, di appoggiarsi all'uomo, o attraverso la sfiducia nelle proprie risorse. Molte di queste donne hanno vissuto un'infanzia attanagliata dal senso di solitudine o dal desiderio di avere maggiori attenzioni da parte dei genitori. Pur diventando adulte, queste donne conservano il desiderio di essere amate come figlie, e cercano quelle attenzioni che presumono non aver avuto da bambine. Alcune di esse hanno avuto padri esigenti, che le amavano a condizione che obbedissero a tutto ciò che veniva loro richiesto. In cambio il padre si prendeva cura di loro e le amava come le "piccole di papà". Diventando adulte, molte donne non riescono ad avere il tipo di crescita che richiede un netto distacco dai genitori, e un temporaneo senso di isolamento, che risulta doloroso, specie quando i genitori sono molto presenti e protettivi. Crescere significa rinunciare all'immagine del genitore onnipotente che protegge da tutti i mali, e dover acquisire quella crescita mentale ed emotiva che nasce dal fare i conti con una realtà non sempre a noi gradevole e non sempre facile da affrontare. La mancata crescita fa rimanere le donne nell'infanzia, alla ricerca di un uomo che possa ricreare un'analoga situazione di dipendenza.
(CONTINUA - SECONDA PARTE)

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