venerdì

LA DISSIDENZA E IL G8

Di Antonella Randazzo

14 settembre 2007


Perché le autorità di alcuni paesi si riuniscono nei cosiddetti "G8"? Considerando che queste persone si incontrano anche senza alcun bisogno di notificarlo alla stampa (non soltanto nei noti appuntamenti annuali delle riunioni del Bilderberg o di altri club esclusivi), occorre capire i motivi di queste riunioni così ampiamente notificate.
I componenti del gruppo oligarchico sono spesso in contatto fra di loro, bisogna immaginarli come una banda di delinquenti, che agisce con grande complicità, anche se talvolta litiga per la distribuzione del bottino, come avviene in tutti i gruppi criminali. Allora perché il G8? Possiamo fare delle ipotesi per rispondere a questa domanda. Consideriamo cosa accade nei giorni del G8 e cosa i mass media mettono in evidenza. Accade che le autorità manifestano l'intenzione di deliberare su determinate questioni importanti e fondamentali per il futuro del pianeta, questioni che tutti gli esseri umani conoscono: fame nel mondo, disparità fra paesi ricchi e paesi poveri, disastri ambientali, ecc. Alla fine, puntualmente, non deliberano nulla di importante e di significativo, tuttavia si è parlato delle questioni fondamentali e si è detto che le autorità le stavano affrontando. In sintesi, i media danno ad intendere che le nostre autorità sono impegnate a trattare i temi che più ci stanno a cuore, e addirittura, per affrontarli, organizzano un vertice. Di fatto queste autorità non sono per nulla interessate ad affrontare i problemi del mondo e tanto meno a risolverli, tuttavia il G8 diffonde la notizia contraria, attestando un impegno che non c'è.
Le autorità del G8, dopo il vertice, esaltano puntualmente presunti "importanti risultati dell'incontro" o presunti "successi", senza spiegare bene cosa faranno e come. Dunque, il G8 potrebbe avere soprattutto una motivazione propagandistica, che però non sarebbe l'unica.

E' accaduto spesso che tali riunioni fossero accompagnate da eventi musicali come i "Live Aid", allo scopo dichiarato di stimolare le autorità a mettere al primo posto questioni relative allo sviluppo del Terzo Mondo o alla difesa dell'ambiente. I concerti del Live Aid, di fatto, permettono a diverse persone di avere guadagni consistenti, e non modificano in alcun modo il comportamento dell'oligarchia dominante. Non bisogna sorprendersi per questo, dato che le richieste di difesa dei diritti umani vengono avanzate a coloro che rappresentano il gruppo di persone che ha voluto creare la situazione di povertà e di devastazione in cui il mondo oggi versa. Chiedere che queste persone cambino è come chiedere a un leone di diventare vegetariano.

Ci viene detto che fanno parte del G8 i "paesi economicamente più sviluppati", e allora come mai ne fa parte il moscerino Italia e non il gigante Cina? La verità è che fanno parte del G8 le autorità che rappresentano l'élite egemone occidentale, e i loro "vassalli" più o meno sottomessi.
Le autorità che si riuniscono sono quelle dei sette paesi del G7, più la Russia. I sette paesi sono Usa, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Canada. Durante il summit, i rappresentanti di questi paesi dicono di voler discutere le questioni più importanti di politica internazionale, al fine di delineare l'assetto futuro del mondo.
Ci viene detto che si tratta di una riunione degli otto "grandi", ma, stranamente, sono escluse India e Cina, i due paesi che negli ultimi anni hanno avuto uno sviluppo economico non certo irrisorio. Soltanto negli ultimi anni la Cina è stata invitata ad assistere, senza però farne parte. All'ultimo summit, del giugno 2007 in Germania, sono stati invitati Brasile, Cina, India, Messico, e Sudafrica, ma soltanto come "alleati e concorrenti del mondo industrializzato".
Ormai gli Stati Uniti, l'Europa e il Giappone controllano il 44% della produzione mondiale, mentre il 56% del PIL mondiale è prodotto soprattutto dalla Cina e dall'India. Dunque i paesi più forti economicamente non fanno parte del summit, e ciò fa credere erroneamente all'opinione pubblica mondiale che l'area di potere statunitense sia forte come prima, quando, dopo la Seconda guerra mondiale, soltanto gli Stati Uniti producevano la metà di tutto quello che si produceva nel mondo. Ma le cose sono molto cambiate. La Cina e l'India hanno oggi il più alto tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo, e allora come mai non fanno parte del summit a tutti gli effetti?
Come mai l'Italia, nonostante la sua attuale insignificanza politica ed economica ne fa parte?
Negli ultimi anni si è consolidata sempre più la vicinanza fra India, Cina e Russia, a tal punto che i tre paesi hanno stipulato importanti accordi economici e attuato esercitazioni militari congiunte. Il 17 marzo del 2006, nonostante la ferrea opposizione delle autorità Usa, India e Russia hanno raggiunto un accordo per la cooperazione nel settore dell’energia nucleare ad uso civile. Nel National Security Strategy del 2006, gli Usa spiegano che in futuro la Cina potrà essere un pericolo per gli Usa poiché potrà "competere militarmente con gli Stati Uniti e con le sue avanzate tecnologie militari".
Cosa sta avvenendo oggi riguardo alle presunte rivalità o contrasti fra Cina, Russia e Stati Uniti? Le nostre autorità non ci fanno sapere nulla a questo proposito, però ci fanno sapere chi sono gli otto "grandi" e quali sono le autorità preminenti.

Al G8 gli oppositori non vengono invitati, nonostante il sistema si autodefinisca "democratico". Non viene contemplata nemmeno lontanamente la possibilità di poter ospitare una delegazione che rappresenti le istanze sollevate dai dissidenti di tutto il mondo. In fondo cosa chiedono le varie associazioni umanitarie? Esattamente quello che le autorità dicono di voler rispettare: la difesa dei diritti umani. E allora perché li lasciano fuori? Perché chiedono interventi precisi e non vaghe promesse. Chiedono norme per un commercio più equo, la tutela delle risorse necessarie alla vita, come l'acqua, e che i popoli del Terzo Mondo abbiano assistenza sanitaria e tutto il necessario per una dignitosa sopravvivenza.
Le autorità del G8 vogliono mostrare la dissidenza come esclusa dal sistema, come estranea alla "normalità". Dunque, un altro motivo dei G8 è la possibilità di strumentalizzare la folla dei manifestanti per criminalizzare o ridicolizzare la dissidenza. I media mostrano i manifestanti come un branco di scalmanati incapaci di rispettare le autorità, o come gruppi di violenti squilibrati. Non risulta che abbiano mai notificato l'impegno delle diverse associazioni di lotta per i diritti umani. Che le abbiano mostrate al telegiornale con una dignità ideologica, o che, in occasione dei G8, abbiano intervistato i leader per mostrare a tutti quale spessore morale e spirituale ci possa essere nel desiderare "un mondo migliore". Nulla di tutto ciò, vengono mostrate soltanto persone che corrono col volto mascherato, oppure che colpiscono le forze dell'ordine. Nei giorni del summit, i media mostrano, oltre a queste immagini dei manifestanti, anche la classica immagine delle autorità in posa per la foto di rito, mettendo così in evidenza il contrasto fra l'impulsività violenta dei dimostranti e la serietà e l'impegno delle autorità. Può essere una propaganda assai efficace.
L'oligarchia utilizza anche metodi per rendere poco efficaci o controproducenti le manifestazioni di dissidenza. Ad esempio, negli ultimi anni, le autorità statunitensi hanno utilizzato diversi metodi per diminuire o rendere difficili le proteste. Quando c'è un evento che potrebbe scatenare una protesta vengono preparati appositi luoghi per "ospitare" le centinaia di manifestanti arrestati, oppure viene preparata una "contromanifestazione", con tanto di cartelli "con messaggi favorevoli", per confondere e indebolire l'effetto della manifestazione. Durante il summit nordamericano in Canada, nello scorso agosto, i manifestanti sono stati tenuti sotto controllo da un elicottero e colpiti con pallottole di gomma e lacrimogeni.
La dissidenza, mostrata come gruppi di sovversivi violenti o di rompiscatole che intralciano il lavoro serio delle autorità, è funzionale al rafforzamento del sistema. In realtà, i disordini, il più delle volte, fanno parte della stessa organizzazione del G8. Questo vuol dire che le forze di polizia organizzano anche le infiltrazioni nei cosiddetti "black bloc".
A Genova molti manifestanti si sono accorti che diversi elementi che si erano spacciati per "black bloc", prima del corteo, erano stati visti in stretto contatto con le forze di polizia, come se ne facessero parte o dovessero assolvere alcuni compiti. A questo proposito, sono giunte diverse testimonianze di manifestanti italiani e stranieri ai microfoni di Radio Gap. Un black bloc tedesco, Adrian, in un'intervista asserì che a loro si erano uniti elementi originariamente estranei, e che mentre i veri black bloc distruggevano simboli del potere (banche, negozi di MacDonald's, Blockbuster, ecc.), gli altri incendiavano automobili e distruggevano negozi di persone comuni.(1)
Chi sono i black bloc (Blocco Nero)? Si tratta di un gruppo di persone non ben definite dal punto di vista ideologico. Quello che si sa è che vestono di nero e sono privi di un’organizzazione, di una sede o di un giornale. Un gruppo del genere è facilmente infiltrabile e strumentalizzabile come si vuole, o per criminalizzare i dissidenti, o per creare caos, violenza e scompiglio durante le manifestazioni di protesta.
Nei giorni del G8 di Genova, i black bloc, col viso coperto e con bandiere nere hanno inscenato una sorta di girotondo, dopo il quale iniziarono le devastazioni. Cittadini e manifestanti assistettero sgomenti al fatto che questi gruppi non vennero quasi per nulla contrastati dalla polizia.
Le forze dell'ordine dovevano andare verso piazza Giusti, mentre i black bloc assalivano il carcere di Marassi. Il contingente dei carabinieri, anziché andare a fronteggiarli, come veniva loro chiesto dalle numerose telefonate, si diresse verso i manifestanti, iniziando a reprimerli in via Tolemaide. Gli scontri iniziarono quando le forze dell'ordine decisero di iniziare a sparare lacrimogeni verso i manifestanti che si trovavano nella parte autorizzata. Le cariche dei poliziotti, come è stato successivamente accertato, si verificarono a 350 metri dalla zona rossa, e non, come era stato detto, in seguito ai tentativi dei manifestanti di penetrare nella zona interdetta. Questo significa che si è voluto colpire il corteo deliberatamente. E' stato volutamente creato il caos, e la manifestazione fu trasformata in guerriglia. Esistono molti filmati, alcuni dei quali sono stati mostrati soltanto da recente (dopo l'inizio del processo), in cui si vede la violenza delle forze di polizia diretta contro i manifestanti inermi. In seguito alle lotte di guerriglia, come sappiamo, è morto Carlo Giuliani. Ad oggi molte cose non sono state chiarite riguardo a quel delitto. Non è stato nemmeno analizzato accuratamente il filmato della morte del ragazzo, per poter capire la vera dinamica dei fatti.

Quel battaglione che andò in via Tolemaide non doveva trovarsi lì perché l'ordine ufficiale era quello di andare dove c'erano i black bloc, e le nostre autorità non ci hanno ancora spiegato perché accadde tutto questo. Sono stati volutamente creati due fronti: i poliziotti messi nel panico e i manifestanti repressi pieni di rabbia o costretti a difendersi. Entrambi i fronti, seppur in modo diverso e con diverse considerazioni di responsabilità, rappresentavano il frutto delle precedenti manipolazioni.
Il G8 di Genova era stato molto pubblicizzato a partire dal 1999, e ciò aveva creato attesa e speranza nelle organizzazioni a difesa dei diritti umani, come potesse essere un grande momento per chiedere importanti riforme o sollevare questioni fondamentali. Le associazioni iniziarono a riunirsi dall'ottobre del 2000, preparando interventi e piani sui temi che sarebbero stati sollevati: la cancellazione del debito dei paesi poveri, l'opposizione alla privatizzazione dell'acqua, il prezzo dei farmaci per curare le malattie che devastano il Terzo Mondo, ecc.
A partire dalla primavera del 2001, fu annunciata una grande mobilitazione delle forze dell'ordine per il G8. Almeno 13.000 agenti avrebbero presidiato le strade di Genova. Le squadre di polizia vennero appositamente aizzate nei mesi precedenti, attraverso metodi di esercitazione che prevedevano anche tecniche di manipolazione mentale, come la ripetizione di frasi del tipo "Vedrai che violenza si scatenerà", "Vedrete cosa accadrà...chi tornerà a casa sarà fortunato". Con queste tecniche miravano a preludere una vera e propria battaglia fra manifestanti e forze di polizia. A poco a poco gli agenti furono messi nel panico psicologico. I poliziotti rappresentano una sorta di "manovalanza" che obbedisce ciecamente ai superiori e fa il lavoro "sporco". Con ciò non si intende dire che essi siano irresponsabili delle loro azioni, ma che, essendo diretti dall'alto, devono dividere le responsabilità con le autorità in carica. Forse ha un senso ciò che un manifestante, sgomento dall'ingiustificato scoppio della violenza, disse: "Ma non volete capirlo?... Siamo tutti pupazzi, questo è come un Truman Show".(2)
In un documentario mandato in onda su La7 il 19 luglio 2007, dal titolo "Genova 2001. Il seme della follia", sono state trasmesse le voci di coloro che in quei giorni chiamavano la polizia in seguito alle distruzioni che stavano avvenendo ad opera dei black bloc. Quello che colpisce da queste conversazioni è il tono pacato di chi risponde, che ricorda assai l'assistenza che gli operatori dei call center forniscono ai clienti. Come se non si trattasse di un'istituzione di protezione e di vigilanza ma di un "servizio clienti". In tal modo svilito, il servizio si autoderesponsabilizzava per tutto quello che stava accadendo. Ad esempio, si sente una persona che dice allarmata: "Mi hanno aperto la saracinesca del negozio!" e la voce risponde con tono indifferente ma ossequioso "perfetto, signora, la ringrazio!". Un'altra persona urlava: "Stanno buttando bottiglie incendiarie!", e la ragazza rispondeva calma e distaccata: "D'accordo, buongiorno". Un altro diceva "Mandate qualcuno immediatamente perché stanno rovinando tutto!". Risposta: "Sì, sì".
Di fatto, com'è stato accertato in seguito, nei punti "caldi", in cui i black bloc o eventuali infiltrati stavano distruggendo la qualsiasi, non c'era nessun poliziotto. Per questo centinaia di cittadini telefonarono alle centrali di polizia per segnalare le zone in cui c'erano persone violente, ma non si ebbe alcuna risposta proporzionata alla richiesta di protezione della cittadinanza. Le registrazioni lo provano. Molte persone chiedevano "Qui non c'è nessuno della polizia, dov'è la polizia?" e veniva loro risposto "Dicono tutti così, ci stanno, ci stanno, sennò la polizia dov'è?" Facendo credere che erano i cittadini a sbagliarsi, come se le pattuglie della polizia potessero facilmente non essere viste.
La verità non veniva detta. La polizia si trovava nelle zone dove c'erano i manifestanti pacifici, ad esercitare le loro funzioni repressive, come molti filmati provano.
Presi dallo sconcerto, alcuni manifestanti iniziarono a telefonare a "Radio Gap" raccontando le strane vicende che stavano vivendo. Alcuni raccontarono di strani personaggi vestiti come i black bloc, oppure con magliette con l'effigie di Che Guevara, che conversavano con esponenti delle forze dell'ordine nella zona rossa. Altri raccontarono di persone appartenenti alla polizia di Stato o personalità militari che erano muniti della tessera che li identificava come giornalisti.
Molti manifestanti (come anche i cittadini che chiamavano la polizia) raccontarono che le forze dell'ordine non mostravano alcuna intenzione di isolare coloro che attuavano devastazioni, al contrario, sostenevano la loro presenza, quasi la proteggevano, come fossero coadiuvanti.
Le forze di polizia attaccarono deliberatamente, con lacrimogeni e manganelli, parti del corteo che non avevano dato alcun segno di provocazione o violenza. Anziché mantenersi distanti dal corteo e astenersi dal provocare, come avrebbero dovuto, i carabinieri e i poliziotti fecero il contrario, creando un clima militarizzato e violento. I blindati della polizia di Stato avanzarono verso il corteo, come se si fosse in guerra, e strinsero in una morsa i manifestanti, per creare panico e nervosismo. Numerosi filmati documentano fatti agghiaccianti: persone con le braccia alzate prese a manganellate sulla testa o sulla schiena, donne e giovani gettati a terra e presi a calci, lacrimogeni sparati in faccia, persone pestate e ammanettate, ecc. Alcuni carabinieri, mentre picchiavano gridavano "Ti uccido!" "Ti sto ammazzando!".
Anche la stessa Radio Gap fu vittima della furia del regime: per impedire che continuasse a trasmettere le telefonate dei manifestanti, fu assaltata dalla polizia. Mentre i poliziotti cercavano di entrare, i presentatori urlavano: "Stanno cercando di sfondare la porta, incredibile!", "Siamo come topi in trappola, non abbiamo fatto nulla di male! Stiamo semplicemente informando su quello che sta facendo questo Stato criminale", "Eccoli! Stanno entrando con i manganelli!".(3) In tal modo Radio Gap è stata zittita.
Alcuni manifestanti ebbero la fortuna di stare nella parte del corteo che non fu aggredita dalla polizia, in cui rimase una relativa tranquillità. Queste persone raccontarono che nel corteo si era creata un'atmosfera meravigliosa, prevaleva un grande sentimento di solidarietà fra gruppi diversissimi fra loro. Ad esempio, c'erano i Curdi che esibivano striscioni con cui inneggiavano al diritto alla libertà, oppure i dissidenti turchi che portavano messaggi di fratellanza e cooperazione.
Un clima così positivo non è stato tollerato, e non si è permesso che una grande manifestazione di dissidenza potesse diventare altamente costruttiva ed edificante per centinaia di migliaia di esseri umani che provenivano da svariate parti del mondo.
Si ebbe anche un corteo di 50.000 migranti, e anche in quel caso i black bloc cercarono di infiltrarsi per creare scompiglio, ma non vi riuscirono. Il corteo della Rete Lilliput era il più pacifico e tranquillo, al suo interno c'erano anche numerose famiglie con bambini, ciò nonostante (o forse proprio per questo) è stato il più attaccato e brutalizzato. I militari non si fecero alcuno scrupolo a malmenare donne e ragazzini, coperti da caschi e da maschere antigas che hanno reso impossibile il riconoscimento.
Racconta la psicologa Marina Pellis Spaccini: "A un certo punto la carica è avanzata e i poliziotti hanno iniziato a colpire e uno di loro mi dette un colpo in testa... pensavo 'questi sono i poliziotti che dovrebbero proteggerci'".(4)
Persone inermi furono pestate, caricate e ammanettate, compresi giornalisti e fotoreporter. Qualcuno gridava "Perché?" oppure "Sono della Rai!"
Un impiegato, Paolo Fornaciari, spiegò: "I poliziotti caricavano con i blindati che andavano ad alta velocità... come non accadeva dagli anni Settanta".
Un ragazza giovanissima, la studentessa Arianna Subri, si ritrovò in stato di fermo, minacciata di violenze sessuali dai poliziotti. Racconta: "C'era un bar... ho sentito urla e ho visto un ragazzo che sanguinava alla testa... mi sono accorta che tutti si erano allontanati dall'uscita del bar perché c'erano poliziotti che continuavano ad aggredire... Un poliziotto mi ha spaccato la macchina fotografica, mi ha messo con la faccia al muro e mi diceva 'se stati zitta non ti succede niente'... Poi mi hanno picchiata e mi dicevano 'cosa ci fai qui, puttana comunista! lo vedi che non capisci cos'è la globalizzazione?'... Non capivo il perché di tutto questo... poi ci hanno portati dove c'erano anche donne con la divisa da poliziotte, io dissi: 'non ho fatto nulla, ero in bagno', e mi risposero 'eri in bagno a fare i pompini, dopo ce li fai vedere".(5)
Le persone arrestate furono ammanettate e di tanto in tanto venivano picchiate e minacciate di morte con frasi del tipo: "vi facciamo la festa! vi mettiamo in gabbia con i cani". Molti poliziotti che minacciavano violenze avevano il viso coperto. I prigionieri venivano pestati anche per costringerli a tenere la testa bassa in segno di sottomissione e per non guardare negli occhi i poliziotti. Probabilmente si trattava di una regola atta a non creare solidarietà fra aggressori e aggrediti (il guardarsi negli occhi può favorire sentimenti positivi fra gli umani e scoraggiare le violenze). I poliziotti si divertivano a fare inciampare i prigionieri oppure a terrorizzare le donne con commenti sessuali e allusioni a violenze future. Ad esempio dicevano "Io mi prendo quella, tu prenditi quell'altra" o "dopo vedrete cosa succederà". Alcuni prigionieri sono stati costretti a fare il saluto fascista mentre i poliziotti urlavano "sporchi comunisti!", oppure davano colpi ai testicoli e alla testa e urlavano "un, due, tre, viva Pinochet" oppure frasi ingiuriose contro i neri e gli ebrei.
Per picchiare meglio, i poliziotti utilizzavano manganelli particolari, considerati "fuori ordinanza". Si trattava del manganello "Tonfa" sperimentato per la prima volta dai poliziotti di Los Angeles. Il tonfa è considerato una vera e propria arma.
Alla fine si registrarono almeno 140 feriti (conteggiati solo quelli che andarono a farsi medicare nelle infermerie) e un morto. I militari avevano sparato almeno 6200 lacrimogeni e alcune decine di proiettili.
L'allora ministro dell'Interno Claudio Scajola così rispose alle critiche sollevate da coloro che avevano visto come si erano comportate le forze di polizia: "Non è che i violenti portassero al braccio un segno di riconoscimento". Tuttavia, sappiamo che i black bloc erano del tutto riconoscibili, avendo anche fatto una sfilata con le bandiere nere prima di iniziare i "lavori". Il ministro sapeva assai bene che era possibile intervenire ad isolare i violenti, e che è stato deliberatamente scelto un altro comportamento: hanno lasciato che si sviluppasse un clima di violenza, fomentandolo essi stessi, potendo così picchiare e terrorizzare centinaia di persone che si trovavano lì per testimoniare la loro dissidenza e non avevano alcuna intenzione di avere comportamenti violenti. Si trattava di studenti, insegnanti, lavoratori di tutti i tipi, e persino persone non giovanissime, pestate senza pietà.
Come tutti sanno, il 21 luglio del 2001 le forze di polizia entrarono con violenza alla scuola Diaz, una delle sedi concesse dal comune ai manifestanti come ostello e sala stampa. 150 uomini del reparto mobile e della Digos sfondarono i cancelli, che erano chiusi con i lucchetti, e iniziarono a pestare tutti. Raccontò una ragazza, Lena Zulk: "Ho visto il cortile davanti alla scuola pieno di poliziotti, abbiamo sentito colpi di manganello dati contro il muro. Abbiamo iniziato a correre... ci siamo nascosti in uno sgabuzzino. La porta dello sgabuzzino è stata scavalcata con violenza. I poliziotti hanno trascinato fuori prima il mio ragazzo e hanno cominciato subito a picchiarlo. Mi hanno trascinata giù tirandomi per i capelli. Io ero aggrappata al poliziotto che mi trascinava, mentre gli altri dietro mi picchiavano sulla schiena e sulle gambe. Vedevo tutto nero, stavo per svenire o loro continuavano a picchiare e a dare calci dappertutto. Quando sono arrivata al pronto soccorso hanno scoperto che avevo costole rotte e che alcune si erano conficcate ad un polmone e lo avevano perforato".(6)
Tutti i testimoni raccontarono di pestaggi violentissimi da parte della polizia, contro persone inermi.
Subito dopo il fatto, le autorità cercarono di minimizzare le violenze e di giustificarle dicendo che erano andati a cercare i black bloc, ma ciò non può essere credibile dato che durante la giornata questi ultimi avevano devastato negozi, distrutto automobili e tutto quello che capitava loro a tiro, sotto gli occhi dei poliziotti. Come mai in quel momento non erano interessati a reprimere il loro comportamento violento e soltanto dopo avevano deciso di cercarli?
Soltanto sei anni dopo, si è capito che le truppe di regime erano state mandate apposta per terrorizzare e reprimere persone che avevano la "colpa" di essere dissidenti. La verità emerse anche dalle testimonianze delle stesse forze di polizia. Durante il processo svoltosi il 13 giugno 2007, il vice questore Michelangelo Fournier confermò questo quadro agghiacciante:
"Arrivato al primo piano dell'istituto ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana. Sono rimasto terrorizzato e basito quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura che stesse morendo. Fu a quel punto che gridai: 'basta basta' e cacciai via i poliziotti che picchiavano... Intorno alla ragazza per terra c'erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze".(7)
Alla domanda "perché non l'ha detto prima questo?", Fournier rispose: "(Per) il senso di appartenenza, che può essere confuso anche con l'omertà. In un momento così difficile, per tutto quello che si stava levando. Non me la sono sentita, non ho avuto il coraggio di dover rilevare in sede così significativa come quella di un procedimento penale un comportamento così grave".(8)
Lo "spirito di appartenenza" potrebbe dunque far tacere la coscienza per anni.
Lo stesso Massimo D'Alema definì l'assalto alla Diaz come "rappresaglie di tipo cileno".
Oggi ci sono 27 imputati nel processo all'assalto alla scuola Diaz, tra agenti e funzionari di polizia. Le accuse sono falso, calunnia e lesioni gravi. Anche il capo di polizia Gianni De Gennaro è stato iscritto nel registro degli indagati per istigazione e rendere falsa testimonianza.

I fatti di violenza del G8 di Genova oscurarono completamente il senso dell'incontro, il motivo e i risultati. Nessuno seppe cosa si erano detti gli otto "grandi", cosa avevano deciso e su cosa avevano discusso.
Le varie associazioni dovettero constatare che ancora una volta i popoli non avevano avuto alcun peso nelle decisioni delle autorità e nelle questioni che esse mettono sul tappeto. Per contro, la dissidenza ne era uscita malconcia, e le immagini delle violenze avevano fatto il giro del mondo, lasciando intendere che manifestare significa mettere in pericolo la sicurezza pubblica. Ancora una volta le tecniche di manipolazione avevano avuto il loro effetto.
Ad incorniciare tale successo, giunsero le parole dell'allora presidente della Repubblica Azeglio Ciampi: "Provo sgomento e dolore per la giovane vita spezzata. Mi rivolgo ai dimostranti perché cessi da subito questa violenza che non dà contributo alcuno alla soluzione dei problemi della povertà nel mondo". Queste parole servirono a suggellare l'idea che tutta la colpa era da imputare ai manifestanti, come si trattasse di gruppi di persone irresponsabili e stupide, che pensano di risolvere i problemi della fame nel mondo con la violenza. E' questa l'idea della dissidenza che il gruppo dominante vuole propagandare, e fino ad oggi, anche grazie ai G8 ci è riuscito. Ciampi addossò ingiustamente tutta la responsabilità delle violenze ai manifestanti, non facendo alcun cenno sulle responsabilità delle forze di polizia nell'iniziare la guerriglia.
Le autorità si permettono di fare la paternale stando dalla parte del più forte, e anche se producono miseria, morte e guerra, vogliono apparire persone equilibrate e sagge.
In tutto questo c'è soltanto una buona notizia: se sono stati così violenti è perché i cortei avevano riunito tantissime persone che avrebbero potuto influire positivamente e accrescere il numero di coloro che si rendono conto della disumanità dell'attuale sistema. E' un'amara verità, ma significa che il gruppo al potere ha paura, anzi, per reagire in questa maniera significa che ha davvero tanta paura.

Se credete che il sistema sia a servizio e a protezione dei cittadini e che i dissidenti abbiano spazio per esprimersi e vengano sempre tollerati dal potere, allora forse sarebbe utile approfondire ciò che accade in tutti i G8 e in altre manifestazioni analoghe, anche se forse le autorità italiane sono state di mano particolarmente pesante, utilizzando metodi in uso nelle dittature. Ma il dissenso, quando sta per produrre effetti, non viene mai tollerato dall'attuale sistema di potere, che cercherà modi subdoli e crudeli per reprimere e terrorizzare, con l'obiettivo di scoraggiare le lotte. Le violenze non sono casuali o imprevedibili, al contrario, fanno parte del piano atto a destabilizzare la dissidenza e a renderla debole psicologicamente. L'obiettivo è produrre effetti devastanti sulla psiche, e purtroppo a Genova ci sono riusciti, come spiega la psicologa Marina Pellis Spaccini: "Sono stata segnata profondamente, è un'esperienza che è riuscita a distruggermi, e se ha distrutto me che sono adulta, figuriamoci i giovani".(9)
L'unico modo per non farsi distruggere è quello di essere consapevoli del potenziale distruttivo e repressivo dell'attuale oligarchia dominante. Credere di poter ottenere protezione e rispetto dei diritti umani dalle stesse persone che uccidono e torturano in molte parti del mondo è un'illusione che può avere un costo molto alto.


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BIBLIOGRAFIA

Bartesaghi Enrica, "Genova il posto sbagliato. La Diaz, Bolzaneto, il carcere: diario di una madre", Nonluoghi, 2004.
Baschiera Stefano, Cipolloni Marco, Levi Guido, "Le strade perdute di Genova. Immagini del G8", Edizioni Falsopiano, 2002.
Bisso Raffaello, Marradi Claudio, "Le quattro giornate di Genova. 19-22 luglio 2001", Fratelli Frilli Editori.
Chiesa Giulietto, "G8/Genova", Einaudi, Torino 2001.
Collettivo antagonista Savonese, "Genova G8, un vertice nel sangue".
Guadagnucci Lorenzo, "Noi della Diaz. La notte dei manganelli e i giorni di Genova nel racconto del giornalista che era dentro la scuola", Editrice Berti.
Ginori Anais (a cura di), "Le parole di Genova", Fandango edizioni, Roma 2002.
Guadagnucci Lorenzo, “La seduzione autoritaria. diritti civili e repressione del dissenso nell'Italia di oggi”, Nonluoghi, 2005.
Magnone Edoardo, Mangini Enzo, "La sindrome di Genova: lacrimogeni e repressione chimica", Fratelli Frilli Editori 2002.
Quattrocchi Angelo, “La battaglia di Genova. Le nostre verità, le loro menzogne”, Ed. Malatempora.


NOTE

1) "Il Secolo XIX", 1 agosto 2001.
2) "Il seme della follia", La7, 19 luglio 2007.
3) Per approfondire vedere Ginori Anais (a cura di), "Le parole di Genova", Fandango Edizioni, Roma 2002.
4) "Blu notte", Rai Tre, 9 settembre 2007.
5) "Blu notte", Rai Tre, 9 settembre 2007.
6) Minoli Giovanni, "La Storia siamo noi", "G8 di Genova 2001", Raidue, 21 giugno 2007.
7) "La Repubblica", 13 giugno 2007.
8) Minoli Giovanni, "La Storia siamo noi", "G8 di Genova 2001", RaiDue, 21 giugno 2007.
9) "Blu notte", RaiTre, 9 settembre 2007.

4 commenti:

Giannizt ha detto...

Genova 2001 ricorda il caso di Giorgiana Masi di Roma 1977.

Un morto "non utile" per nessuno se non per alcuni scopi particolari

vulca ha detto...

e tu immagina come debba sentirsi un padre, cosciente dello schifo del sistema attuale in italia e impegnato a rimuoverlo, che il suo unico figlio maschio ha scelto per passione di giustizia a fare il carabiniere, ironia della sorte, nel battaglione antisommossa.....
siamo artefici e vittime, nello stesso tempo, del futuro di questa società malata. Quando era piccolo il mio bambino, a letto gli rimboccavo le coperte e una volta addormentato pregavo per lui, lo dedicavo al Signore di giustiza Gesu, ho cercato sempre essere di esempio, nel sindacato, in parrocchia, nella scuola, nelle attività di quartiere, in politica e in famiglia. oggi ho 57 anni e il mio golia è sempre piu gigantesco ma lo spirito è sempre del giovane Davide.
Se sapeste come questi ragazzi arruolati nei carabinieri e in polizia sono trattati e quali mezzi inefficienti e a quali turni di lavoro sono costretti, si capirebbe la situazione anomala della giustizia. Non hanno nessuna tutela se non la loro divisa che spesso viene confusa con l'aguzzino. Sono soltanto soli e puri e per 1,500,00 euro pronti a morire in funzione di un ordine che non è piu nella logica dello spirito della costituzione italiana e comunque deviato.
gli ho ripetuto ieri: oh, se mi vedi davanti al palazzo del csm l'8 ottobre a manifestare per De Magistris non mi prendere a manganellate. lo faccio sopratutto per i giovani come te!

Antonella Randazzo ha detto...

Sono molto sensibile al problema perché anch'io ho parenti (cugini, nipoti) che si sono arruolati nell'arma dei carabinieri, soprattutto perché non trovavano altro lavoro.
In alcuni casi c'è soltanto da provare molta tenerezza per loro, credono di avere potere e invece soltanto la divisa ce l'ha, e dunque coloro che la fanno indossare. Credono di "proteggere" e "difendere" i cittadini e invece da questo punto di vista spesso sono lasciati impotenti e non viene concesso loro di creare un clima di vera sicurezza poiché ciò abbasserebbe il livello di paura e non sarebbe funzionale al sistema.
Quando si entra in questi meccanismi poi è difficile uscirne: l'addestramento che ricevono talvolta equivale ad un lavaggio del cervello. La gerarchia indica loro chi è "nemico" e chi non lo è. Non vogliono che essi conservino l'autonomia di pensiero o il senso critico. Come soldati devono soltanto obbedire.

Arthur ha detto...

Non le fa onore riempire di bibliografia l'articolo sul G8 e non portare nemmeno un riferimento al suo articolo sull'origine e significato della parola terrorismo che mi pare ben più denso di avvenimenti importanti.
Detto questo, non essendo stato a Genova non voglio pronunciarmi con una sentenza sull'accaduto, il fatto però di vedere gente che doveva fare "disobbedienza civile" bardata con protezioni sul corpo, scudi, maschere antigas e che gettava pietre verso i carabinieri la dice lunga sull'episodio. Se anche, qualcuno avesse progettatto gli scontri ingaggiando alcuni personaggi (e la cosa è vergognosa) bisogna comunque rimproverare i ragazzi che ci sono cascati come polli.