venerdì

INSOSPETTABILI GATEKEEPERS

Di Antonella Randazzo


Letteralmente il termine “Gatekeeping” significa “la custodia al cancello”, ovvero la possibilità di esercitare un controllo attraverso criteri che favoriscono alcune notizie su altre.
In termini professionali il gatekeeping comprenderebbe “tutte le forme di controllo dell’informazione che possono determinarsi nelle decisioni circa la codificazione dei messaggi, la diffusione, la programmazione, l’esclusione di tutto il messaggio o di sue componenti… le esigenze organizzativo-strutturali e le caratteristiche tecnico-espressive di ogni mezzo di comunicazione di massa (in quanto) elementi cruciali nel determinare la rappresentazione della realtà sociale fornita dai media”.(1)
Già negli anni Cinquanta lo psicologo Kurt Lewin sosteneva l’esistenza di giornalisti gatekeepers, che decidevano quali notizie dare e quali no.

Generalizzando possiamo considerare gatekeepers tutti coloro che, pur parlando ad un pubblico ampio attraverso i media, si astengono dal dire alcune verità importanti.
Si tratta, in parole semplici, di agire in modo tale da far rispettare i limiti informativi imposti dal sistema.
Il gatekeeper dunque è colui che subisce pressioni e condizionamenti che lo inducono a comportarsi in un certo modo, facendo prevalere logiche diverse rispetto alla vera informazione. Oppure colui che sceglie di sostenere il sistema evitando di parlare di alcune verità che potrebbero demolirlo.
Si dice che il giornalismo attuale è come un "guardiano del potere", ovvero esso sostiene il potere nel non far trapelare verità scomode e utilizza tecniche per impedire una vera presa di coscienza dei cittadini sulla realtà finanziaria, politica, economica e mediatica. Si cerca persino di addolcire tutto questo facendo diventare l'informazione uno spettacolo attraente, emozionante oppure raccapricciante, ma comunque sempre emotivamente "forte" e quanto possibile spettacolare.
Gli obiettivi principali sarebbero la disinformazione, la distrazione e il condizionamento necessario per non mettere in pericolo il sistema. Spiega il giornalista Ignacio Ramonet: (Il telegiornale) "è strutturato per distrarre, non per informare... la successione di notizie brevi e frammentate ha un duplice effetto di sovrinformazione e di disinformazione: troppe notizie e troppo brevi... pensare di informarsi senza sforzo è un'illusione vicina al mito della pubblicità più che all'impegno civico".(2)

Oltre ai giornalisti, possono assumere il ruolo di gatekeepers anche scrittori, opinionisti, intellettuali, scienziati, politici, ecc.
Le persone comuni basano le loro conoscenze fondamentali su ciò che gli “esperti” dicono loro, e questo potrà intralciare una possibile futura conoscenza dei fatti veri. “Se non l’hanno detto in quella tal trasmissione televisiva allora vuol dire che potrebbe non essere vero”, oppure “Se non l’ha detto il professor tal dei tali, allora non può essere vero, sennò l’avrebbe detto”. Queste frasi riassumono il potere e l’influenza esercitata dai gatekeepers presentati dai media come “esperti” su ciò che le persone crederanno.
Potrebbero esistere tre tipi di gatekeepers: quelli del tutto inconsapevoli di esserlo, quelli che agiscono come tali per timore di perdere privilegi o il posto di lavoro, e quelli consapevoli di esserlo, avendolo scelto liberamente, ritenendo giusto esserlo.

Per quanto riguarda il primo caso, vi appartengono alcune persone che possono anche essere erudite, ma sono condizionate dal sistema a tal punto da non riuscire a ragionare fuori dalle sue logiche. Per uscire dal condizionamento del sistema occorre impegno e sforzo, che non tutti attuano.
Ad esempio, questi gatekeepers credono che le autorità statunitensi siano il male minore rispetto al “terrorismo”, che le autorità italiane non siano corrotte ma autorevoli, o che la corruzione politica costituisca un’eccezione. Evidentemente, queste persone rimangono ancorate all’idea che il sistema sia fondamentalmente “buono”, anche se ammettono che esso possa avere difetti o aspetti che generano problemi. Dunque, questi gatekeepers ammettono problemi come il precariato, la disoccupazione, la corruzione o i problemi economici, ma li attribuiscono a fattori non prevedibili e non controllabili, accettando dunque la difficoltà a risolverli, ma mantenendo, paradossalmente, un ottimismo di fondo, che deriva dal non ammettere il marciume che il sistema presenta alla radice.
In altre parole, queste persone conservano un’idealizzazione del sistema, e rimangono fataliste circa la vera origine dei problemi e la loro soluzione. Esse rimangono agli aspetti relativi alla punta dell’iceberg, ignorando o negando l’esistenza di alcune realtà fondamentali.

Dunque queste persone, immerse nella non-consapevolezza, esprimono opinioni e concetti che sono utili al sistema, e non svolgeranno mai un ruolo di contrasto o di disturbo. Per questo motivo esse potranno fare carriera nel loro settore e saranno ben accolte negli ambienti di regime. Tuttavia saranno sempre osservate con attenzione, poiché, qualora subodorassero la verità o capissero alcuni aspetti del sistema, potrebbero smettere di esercitare la funzione di gatekeeping, e in tal caso sarebbero messe ai margini, o comunque non potrebbero più ricoprire ruoli di rilievo nel panorama mediatico.
A questa categoria potrebbe appartenere, ad esempio, la docente universitaria Laura Boella, che nel suo libro “Neuroetica” sostiene che le tecniche eugenetiche siano state applicate soltanto dalla Germania nazista (3), ignorando che in realtà esse furono adottate dagli Stati Uniti e da altri paesi europei (a questo proposito si veda http://antonellarandazzo.blogspot.com/2007/10/lossessione-genetica-lo-sterminio-dei.html).
Evidentemente, la Boella fa le sue considerazioni sulla base di ciò che viene detto nei canali ufficiali, poiché delle tecniche eugenetiche praticate dalle autorità statunitensi o svedesi si parla quasi esclusivamente su pubblicazioni di piccole case editrici, che hanno una modesta diffusione, o su Internet. Inoltre, la Boella, nel suddetto libro, analizza casi di microcriminalità, affrontando il problema della morale, ma non fa alcun cenno agli impulsi criminali mostruosi degli attuali stegocrati. (4) Il criminale comune può uccidere poche persone, mentre gli stegocrati commettono veri e propri genocidi in molte parti del mondo, eppure non vengono mai considerati dai docenti universitari che si occupano di morale o criminalità. Nei testi accademici c’è spesso un illustre assente: il nucleo di potere centrale che crea il sistema e lo alimenta, difendendolo anche con le guerre e i massacri.
Evidentemente, questi studiosi si attengono al “territorio” all’interno del quale si sono mossi i loro insegnanti cattedratici, e dunque essi stessi continuano ad esaminare le questioni all’interno dei medesimi parametri, diventando “guardiani del potere”, ovvero gatekeepers, in quanto non considerano ciò che potrebbe mettere in pericolo il sistema di potere.
Questo tipo di gatekeepers potrebbe essere destinato a scomparire, poiché sarà sempre più difficile non capire i paradossi del sistema, dato che su Internet ormai da tempo circolano numerose notizie supportate dai fatti, sui crimini delle autorità occidentali e sui paradossi del sistema.

Nel secondo caso abbiamo persone che possono comprendere i crimini del sistema ma fanno ragionamenti opportunistici o motivati dalla paura di perdere il lavoro o altri vantaggi. In tal caso si tratta di persone che si adattano al sistema pur accorgendosi che esso presenta aspetti iniqui. Queste persone si autocensurano, e coltivano la capacità di escludere argomenti scomodi o non graditi ai “padroni”.
Lo stesso Montanelli denunciava l'autocensura dei giornalisti di regime. Negli anni Sessanta scriveva sull'"Europeo":
"La maggior parte dei giornalisti, quando compongono un articolo, lo fanno interrogando la censura. Quale? Quella che hanno in corpo da secoli e di cui ormai non riescono a fare a meno". (5)

Montanelli tralasciava di dire che esistono anche giornalisti che non intendono autocensurarsi, che vengono estromessi dai canali di regime, oppure messi nelle condizioni di non nuocere. Ovviamente i ruoli migliori e di prestigio vengono dati a coloro che si autocensurano e che hanno l'abilità di non darlo a vedere.

Nel terzo caso troviamo persone ben adattate al sistema consapevolmente, che ritengono necessario l’uso della forza per dirimere i problemi, oppure che accettano l’egemonia statunitense come “naturale”, avendo l’idea che la realtà debba sempre essere determinata dal più forte. Evidentemente, queste persone hanno tali “valori” impliciti nella loro mentalità, e li esprimono direttamente o indirettamente, rendendo le argomentazioni quanto più possibile accettabili. Di solito queste persone raggiungono una notevole popolarità, e i loro libri o articoli vengono il più possibile divulgati, in modo tale che esse possano influenzare quante più persone possibile.
Esse svolgono un ruolo importantissimo convincendo molti dell’impossibilità di cambiare sistema.

Da alcuni anni negli Usa e in Europa si parla di “left gatekeepers” ad intendere personaggi, scrittori, intellettuali e giornalisti anche di fama mondiale, che agirebbero per conto delle “sinistre” politiche, al fine di denunciare, in modo non pericoloso per il sistema, alcuni crimini delle corporations, senza però andare a smascherare completamente il gruppo di potere. Si tratterebbe di persone che devono apparire degne di fiducia per assolvere il compito di canalizzare il malcontento o i sospetti dei cittadini in modo non nocivo all’assetto di potere. Questi gatekeepers possono essere riconosciuti dal fatto che non sollevano, ad esempio, il problema del potere della Federal Reserve o della Bce, e non condannano l’intero sistema. Di solito questi personaggi trattano i problemi come se si trattasse semplicemente di schierarsi (pro o contro, a destra o a sinistra), anziché capire a fondo la realtà.
I “left gatekeepers” sarebbero indispensabili poiché è proprio il cittadino più critico a dover essere tenuto sotto controllo da personaggi che appaiono come lui, ma che di fatto propongono una percezione della realtà che non minaccia affatto l’assetto di potere. In altre parole, il sistema ha oggi bisogno di creare gli stessi dissidenti o intellettuali critici, affinché i cittadini più attenti non si rivolgano ai veri dissidenti, tenuti ai margini della realtà mediatica. Questi gatekeepers fungono da esche, per tenere ancorate al sistema persone che altrimenti se ne allontanerebbero pericolosamente.

I metodi dei gatekeepers possono essere sottili, anche se tali personaggi potrebbero facilmente essere riconosciuti dall’assenza nei loro discorsi di argomenti scottanti che smascherano il sistema, come la corruzione delle autorità o le repressioni degli eserciti occidentali.
Alcuni gatekeepers potrebbero trattare questi argomenti in modo marginale, mistificato o addirittura dicendo menzogne, come ad esempio che gli eserciti occidentali fanno “missioni” di pace o che il sistema partitico tutela la democrazia e quindi impedisce la dittatura.

Alcuni gatekeepers possono trattare argomenti che preoccupano i cittadini, ma lo faranno in modo parziale. E’ il caso del personaggio assai inquietante Berlusconi, che nel nostro paese si è posto in modo ambiguo e truffaldino, facendo credere di essersi arricchito perché capace nell’imprenditoria, mentre in realtà dietro la sua storia tutti sanno che ci sono aspetti poco chiari, che lo vedono legato ad ambienti mafiosi e massonici. La sua storia è stata raccontata da Marco Travaglio e da altri, che però non hanno messo in luce che egli aveva un ruolo preciso nel sistema, che era quello di evitare che in un paese come l’Italia, che da sempre preoccupa i colonizzatori anglo-americani, ci fosse il pericolo del mancato controllo della TV e di altri importanti media.
E’ ovvio che se un personaggio come Berlusconi poteva acquisire nel giro di pochi anni un potere talmente elevato da condizionare gli italiani con le sue TV, era perché il sistema glielo permetteva, anzi, traeva dal suo ruolo enormi vantaggi in fatto di controllo della popolazione.
L’Italia degli anni Settanta non era piaciuta affatto all’impero statunitense, che attraverso la strategia della tensione aveva fatto di tutto per piegare le lotte popolari che miravano ad ulteriori miglioramenti lavorativi ed economici, che gli stegocrati non erano disposti a concedere.

Occorre considerare che molti gatekeepers utilizzano tecniche emotive per generare fiducia e ottenere credibilità. Come scrivono gli studiosi Anthony R. Pratkanis e Elliot Aronson: “Un propagandista non si fa scrupolo di sfruttare il nostro senso di insicurezza, di evocare le nostre paure più profonde o di offrire false speranze… l’obiettivo diventa dimostrarsi superiori e giusti, non importa come”.(6)
Possono essere utilizzate critiche verso gli stessi personaggi di regime. Ad esempio, Berlusconi è stato utilizzato dai gatekeepers pagati dalla “sinistra” per diffondere lo spauracchio del “piccolo” despota.
Sono stati assoldati gatekeepers per fare in modo che il personaggio apparisse nei suoi peggiori aspetti (non era certo difficile trovarli). In questo caso si volevano far apparire migliori i politici di sinistra, rispetto ad un personaggio assai discutibile.
Questo metodo favorì la vittoria di Prodi nel 2006, e gli italiani ebbero modo di rendersi conto di quanto poco democratico fosse anche Prodi.
Anche oggi le sinistre usano lo spauracchio Berlusconi per non far vedere che il sistema partitico, essendo manipolato dall’alto, non può che produrre esiti antidemocratici, a prescindere dal personaggio che vincerà le elezioni. In altre parole, in tutti i casi, non saranno tenuti in gran conto gli interessi dei comuni cittadini, ma soltanto quelli delle banche, delle grandi corporation e delle autorità che controllano il nostro paese.

Per capire veramente il fenomeno Berlusconi bisognerebbe capire cosa accadde negli anni Settanta, periodo in cui molti lavoratori protestavano per l’uso autoritario del mezzo televisivo, essendo consapevoli del potere che esso dava.
Negli anni Settanta si parlò di “crisi della televisione”, ad intendere le numerose critiche e auspici di riforma avanzati alla TV di Stato. Si criticava l'uso autoritario del mezzo televisivo, che privava la società civile di prenderne parte e di avere potere decisionale sui programmi. Si denunciava la strumentalizzazione del mezzo da parte della classe egemone, che lo utilizzava per rafforzare il proprio potere e per passivizzare i cittadini. Molti autori, auspicando un uso "democratico" del mezzo, denunciarono l'uso verticale della TV, e che i cittadini comuni non potevano usarla per le loro esigenze, dovendo subire una programmazione fatta dalle autorità, a difesa del sistema di potere.
Ad esempio, scriveva il giornalista Giovanni Cesareo:
"L'accentramento (della TV) ... è totale... sarebbe stato possibile instaurare collegamenti fissi con qualsiasi luogo... Le reti televisive sarebbero diventate... reti di comunità... Nei fatti, oggi, la 'circolarità' della comunicazione televisiva è una 'circolarità' interna, che, semmai, si apre ai centri di potere o ad alcuni luoghi ove si svolgono spettacoli e manifestazioni sportive... La televisione... è stata ridotta a mezzo di distribuzione a senso unico di messaggi 'autoritari'... Sappiamo anche... che in questi ultimi anni in Italia si sono avite numerose manifestazioni operaie contro la RAI-TV; si sono avuti agitazioni e scioperi dei dipendenti dell'azienda radiotelevisiva; si è accentuata, in linea generale, la critica nei confronti della programmazione televisiva... le 'idee dominanti' permeano anche i programmi di evasione... le classi oppresse sono costrette a vivere e a muoversi in un sistema sociale che impone le sue leggi."(7)

Anche i sindacati auspicavano una riforma della televisione. In un documento scritto da un gruppo di lavoro CGL-CISL-UIL, titolato "Appunti per la riforma della RAI-TV", si legge:
"L'ente RAI-TV, pur mantenendo il suo carattere nazionale, deve prevedere ampie ed autonome articolazioni al fine di garantire la massima partecipazione dei lavoratori, delle loro organizzazioni, delle associazioni culturali e ricreative, nella fase di ideazione e di realizzazione dei prodotti formativi e informativi".(8)

Per eliminare le proteste, occorreva creare un nuovo panorama televisivo, in cui il privato avrebbe avuto rilievo, e avrebbe abbassato il livello qualitativo dei programmi, spazzando via definitivamente la velleità popolare di poter avere voce in capitolo all’interno di un mass media così importante come la TV.

Prima che si imponesse Berlusconi in Italia, come racconta lo scrittore Lawrence K. Grossman, ci furono diversi altri casi di personaggi simili, alcuni dei quali raggiunsero il “successo” con mezzi analoghi. Ad esempio, negli Usa, dagli anni Ottanta, il miliardario Ross Perot utilizzò le stesse tecniche di Berlusconi, candidandosi e criticando la “vecchia” politica, facendo frequenti apparizioni in diversi programmi televisivi, e mostrandosi talvolta in comizi allegri come feste e in bagni di folla. Nonostante Perot non fosse riuscito ad avere una lunga carriera politica, il suo modello fu seguito da molti. Racconta Grossman: “Berlusconi… ebbe un enorme vantaggio rispetto a Perot, in quanto utilizzò per autopromuoversi, contemporaneamente e al massimo, le tre maggiori televisioni commerciali italiane, alcuni importanti quotidiani e periodici, nonché una grande concessionaria di pubblicità, tutti di sua proprietà”.(9)
Anche in Brasile si ebbe un caso analogo, il proprietario di un impero mediatico, Roberto Marinho, utilizzò il suo potere per condizionare politicamente addirittura attraverso un gruppo parlamentare.(10)
Concentrare i media nelle mani di pochi è utile per poterli meglio controllare, concedendoli a persone di “fiducia”, veri paladini nella difesa del sistema.

In sintesi, Berlusconi è come un tassello che andrebbe inserito nel puzzle per poterne comprendere appieno il significato. Rimanere nel dettaglio e continuare a dissertare sul personaggio dicendo “non sottovalutiamolo”, o “stiamo attenti a lui”, significa perlomeno trascurare quegli aspetti gravissimi del sistema che hanno creato tale personaggio e lo usano per determinati scopi. In altre parole, il gatekeeper vi potrà raccontare per filo e per segno tutte le magagne di Berlusconi o di altri infimi personaggi, ma eviterà accuratamente di estendere il discorso alla creazione di tali personaggi, affinché non comprendiate il marcio che c’è alla radice del sistema e non risaliate agli stegocrati.

Smascherare i gatekeepers può essere facile se non si è soggiogati ai meccanismi tipici della cultura di massa. Può essere difficile quando un determinato personaggio che svolge funzioni di gatekeeping raggiunge una notevole popolarità e ha i suoi “fans”, esercitando una certa suggestione e influenza. Addirittura, in alcuni casi gli stessi “fans” diventeranno piccoli gatekeepers, pronti a reagire contro coloro che smascherano la malafede dei loro idoli, utilizzando metodi propri della cultura di massa, ovvero cercando di colpire la persona, non potendo confutare i concetti.
In altre parole, se c’è l’effetto “interazione parasociale” (IPS) (si veda a questo proposito http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/07/intrallazzi-mediatici.html ), risulterà più difficile smascherare il gatekeeper.
L’effetto IPS crea un legame emotivo con il personaggio mediatico, basato sull’immagine creata dai media, e sulla fiducia suscitata dal gatekeeper.
E’ ovvio che la persona comune non sospetterà di un personaggio che, ad esempio, si propone come colui che svela gli inghippi del potere, e critica aspramente i politici. In tal caso si crea fiducia, e dato che il sistema potenzierà una notevole disinformazione, molti non si accorgeranno dell’inganno.
L’effetto IPS fa dimenticare che le persone che appaiono spesso sui media non possono essere veramente “nemici” del sistema, in quanto personaggi ospitati da chi regge le fila della realtà mediatica. In altre parole, sarebbe assurdo ritenere che coloro che spendono miliardi di euro per tenere sotto controllo l’opinione pubblica tramite i mass media, poi facciano l’errore grossolano di dare importanza mediatica a chi ostacola il loro potere. Essi sanno benissimo quanto è importante ciò che appare nei media. E’ chiaro che tutti i personaggi che hanno particolare rilievo positivo sui media di massa sono in realtà gatekeepers. Per verificarlo con certezza si deve semplicemente ascoltare attentamente quello che dicono e fare la “lista” di quello che non dicono o che mistificano. E’ chiaro che più si è informati correttamente e più si è capaci di smascherare i gatekeepers, e viceversa, meno si è al corrente dei fatti e più si dà fiducia ai gatekeepers.

Un metodo molto utilizzato dai gatekeepers è quello di trattare argomenti che fungeranno da distrazione rispetto alle vere questioni politiche o economiche. Ad esempio, possono parlare dell’amante di Berlusconi, o di argomenti che vedono polemiche e litigi fra “destra” e “sinistra”, ma non parleranno di ciò che il governo non sta facendo per tutelare la salute dei lavoratori, o i cittadini dall’aumento delle bollette e dei generi di prima necessità.
Parlando delle beghe politiche non parleranno, ad esempio, di come sta procedendo il piano degli stegocrati di creare una dittatura mondiale. I media occidentali non hanno mai parlato dell’accordo fatto nel 2005 dalle autorità statunitensi, canadesi e messicane per unificare politicamente, economicamente e finanziariamente i loro paesi, facendo nascere l’Unione Nordamericana. Ciò farebbe parte del cosiddetto "Nuovo ordine mondiale" che prevederebbe l'unificazione finale fra Unione Europea, Unione Africana, Unione Asiatica e Unione Nordamericana, sotto un unico governo. Ovviamente, nessun gatekeeper ve ne parlerà mai, anzi, essi cercheranno di negare o ridicolizzare ogni aspetto scomodo del sistema quando verrà a galla. Sarebbero capaci di negare persino l’evidenza, e accusare non chi crea il sistema criminale, ma chi lo svela. Fanno passare per fanatici o bizzarri tutti coloro che sollevano verità scomode.

Alcuni argomenti di cui i gatekeepers non parlano (e quando vengono rivolte loro domande su questi argomenti tendono a denigrare chi solleva tali problemi definendoli “complottisti”, “fanatici”, o facendoli passare per persone esageratamente diffidenti) sono:

- Progetto stegocratico di una dittatura globale con un unico centro di potere.
- Signoraggio.
- Verità sull’11 settembre.
- Repressioni attuate dagli eserciti occidentali nei paesi del Terzo Mondo.
- Vero significato del termine “terrorismo” (vedi a questo proposito http://www.disinformazione.it/significato_terrorismo.htm ).
- Scie chimiche.
- Sistemi dittatoriali creati e controllati dalle autorità statunitensi.
- Vero volto degli organismi internazionali (FMI, BM. ecc.).
- Verità sullo Stato d’Israele.
- Verità sulla condizione coloniale dell’Italia.
- Verità sui legami fra mafia e autorità statunitensi.
- Vera autodeterminazione dei popoli.
- Tecniche di controllo mentale per evitare che il sistema possa essere minacciato.
- Crimini dei cartelli farmaceutici.
- Uso criminale della Scienza e della produzione alimentare.

Se non vi dicono la verità su questi argomenti, per quanto possano sembrare onesti, si tratta senza dubbio di gatekeepers.
L’unico modo per difendersi da questo fenomeno è quello di cercare per quanto possibile di informarsi correttamente e di dubitare di qualsiasi personaggio che gode di un certo rilievo mediatico, potendo appurare che egli apparirà reticente sulle sopraelencate questioni.



Articoli correlati:
http://www.disinformazione.it/manipolazione_opinione.htm
http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/07/castronerie-varie.html
http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/07/intrallazzi-mediatici.html



NOTE

1) Wolf Mauro, “Teorie delle comunicazioni di massa”, Bompiani, Milano 1995, p. 152.
2) Cit. Morresi Enrico, "Etica della notizia", Edizioni Casagrande, Bellinzona 2003, p. 182.
3) Boella Laura, “Neuroetica”, Raffaello Cortina Editore, Milano 2008, p. 17.
4) Per capire il termine “stegocrate” si veda http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/03/lipotesi-stegocratica-parte-prima-il.html
5) Cit. Murialdi Paolo, "La stampa italiana dalla liberazione alla crisi di fine secolo", Laterza, Bari 2003, p. 154.
6) Pratkanis Anthony R., Aronson Elliot, “L’età della propaganda”, Il Mulino, Bologna 2003, p.100.
7) Cesareo Giovanni, "La televisione sprecata", Feltrinelli, Milano 1974, pp. 16-149.
8) Cesareo Giovanni, op. cit., p. 35.
9) Grossman Lawrence K., “La Repubblica elettronica”, Editori Riuniti, Roma 1997, pp. 26-27.
10) A questo proposito si veda: http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Settembre-2001/pagina.php?cosa=0109lm26.01.html&titolo=Libertà%20di%20stampa,%20censura%20del%20denaro



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lunedì

COMUNICATO - LA NETIQUETTE -


Questo comunicato è rivolto ai nuovi lettori del blog.
Questo blog sta avendo una notevole e inaspettata diffusione, e negli ultimi mesi mi sono giunte diverse e-mail di nuovi lettori che mi chiedono di spiegare il motivo della moderazione e del copyright.
Ho ritenuto corretto, anche se ho già parlato di questo in molte altre occasioni, scrivere questo comunicato per spiegare le ragioni di tali scelte.

L’autrice di questo blog non ha alcun intento di convincere qualcuno di qualcosa o di aprire lunghe polemiche nel tentativo di “evangelizzare” qualcuno.
Dunque, dato che non si ha alcun bisogno di indottrinare, di conseguenza non si ha l'esigenza di manipolare, mistificare o censurare, come purtroppo fanno i personaggi di regime e i tanti gatekeepers che girano su Internet.
Tuttavia, se si vuole offrire un prodotto di qualità è necessario far rispettare poche e semplici regole.

La parola "netiquette" deriva da "net"(rete) e "etiquette"(galateo) e indica l'insieme di regole dettate dal buon senso, dalla buona educazione e dall'intento di essere costruttivi anziché offensivi o distruttivi.
La netiquette comprende regole chiare da adottare in ogni contesto del web, come l'evitare i toni arroganti, il documentarsi e leggere le risposte date da altri prima di entrare in un contesto web, o evitare di essere talmente intolleranti da pretendere che gli altri la pensino esattamente come noi.
Altre regole si possono inferire cercando di immaginare una conversazione "reale", ossia, chiediamoci come ci comporteremmo se si trattasse di parlare direttamente (ovvero non virtualmente) ai nostri interlocutori in rete. E' ovvio che tutti noi vorremmo interlocutori cortesi e rispettosi, e dunque tali dobbiamo essere noi stessi.

Sembrano dettagli ovvi o pleonastici, ma ciò non è, dato che su Internet gironzolano individui che vorrebbero creare disturbo anche solo per divertimento, senza curarsi del danno e della perdita di tempo che possono causare. Per fortuna queste persone sono pochissime, tuttavia esse potrebbero creare disturbo se si consentisse loro di farlo.
Purtroppo queste persone intendono Internet come una sorta di "luogo spazzatura" o di "libera espressione estemporanea" (si legga a questo proposito l'articolo http://antonellarandazzo.blogspot.com/2007/08/nella-tela-del-ragno-i-vantaggi-e-le.html).
Per essere efficaci nel contrastare la cultura massificante, bisogna saper utilizzare in modo costruttivo Internet, e osteggiare chi ha interesse a rendere lo spazio virtuale una spazzatura (come la TV e altri media), al fine di annullare, nella mischia, gli effetti costruttivi e benefici che potrebbero esserci se i luoghi del cyberspazio fossero "puliti".
Occorre tener presente che i blogghisti non sono pagati con soldi pubblici e non sono funzionari pubblici, dunque possono permettersi di utilizzare criteri personali per gestire il proprio spazio, al contrario dei giornalisti dei telegiornali o della stampa ufficiale, che sono pagati con denaro pubblico, e dunque dovrebbero avere precisi obblighi di dare un'informazione vera e obiettiva, e dovrebbero dare conto a tutti, cosa che, come molti sanno, non succede.
Come osserva Daniele Luttazzi: "(quelli) che non si vedono pubblicati, agitano lo spettro della censura, facendo un paragone assurdo e insolente con quello che mi è capitato. Ricordo che il mio contratto con La7 impediva loro di sospendermi, come poi hanno fatto ( censura ). Io invece non ho alcun contratto che mi obblighi a pubblicare sul blog tutto quello che mi inviate. Ed è giusto così. No?" (http://www.danieleluttazzi.it/node/356)
Chi apre un blog lo fa spendendo il suo tempo e si impegna a svolgere un "lavoro" non retribuito. Credo che come minimo si abbia il diritto di scegliere le regole del proprio blog senza subire accuse, imposizioni o interferenze.
La libertà è soprattutto libertà di agire l'uno diversamente dall'altro, nel rispetto della legge e degli altri.

Il rispetto è la base della civiltà.
Purtroppo non tutti sanno distinguere fra i modi costruttivi di dialogare e argomentare e i modi propagandistici e sterili.
Alcuni lettori di forum o blog utilizzano Internet come un mezzo per sfogare rabbia e frustrazione, rafforzando lo stereotipo del cyberspazio come spazio "libero", in cui poter dire ciò che nella vita reale non si può dire. Ciò non corrisponde a maggiore libertà, ma svela una grande frustrazione prodotta dalla cultura di massa, che reprimendo il reale pensiero e la reale sensibilità degli individui, produce rabbia e desiderio di sfogo emotivo. Internet incoraggia tale sfogo poiché può permettere di parlare senza avere nome e volto, è tale anonimato a produrre un senso di licenziosità senza limite. Su alcuni forum questa licenziosità viene permessa, come si volesse incoraggiare uno sfogo "innocuo" in quanto privo di pericoli per il sistema. Allo stesso tempo tale deroga alle normali "buone maniere" incoraggia a rendere Internet un luogo non costruttivo o non del tutto costruttivo, poiché chiunque potrà essere insultato e deriso, senza alcun rispetto per la persona. Il rispetto è la base su cui si può fondare un dialogo o un'interazione costruttiva, e dunque, venendo a mancare, viene spazzata via ogni possibilità di dialogo costruttivo.
Bisogna anche tener conto che esistono società di network che assoldano personaggi per infamare e screditare le persone che scrivono cose "scomode". Uno dei metodi utilizzati da questi personaggi è quello di attribuire alle loro vittime le caratteristiche del sistema stesso, come la “censura”, la disinformazione, la faziosità o l’avidità. I "gatekeepers" del sistema talvolta creano confusione fra “moderazione” e “censura” facendo apparire la prima uguale alla seconda. Ma la differenza fra i due concetti è molto netta: mentre la moderazione serve a tenere “pulito” il sito dalla spazzatura degli insulti o di post non pertinenti, la censura ha lo scopo di tenere nascosti alcuni argomenti scottanti che il sistema ha interesse a non trattare. Ad esempio, sui siti di Grillo e di Travaglio vengono censurati argomenti come il Signoraggio o i crimini dello Stato d’Israele, che non saranno mai esclusi dai blog indipendenti, pur moderati. In altre parole, la censura si riconosce perché colpisce i contenuti non graditi al gruppo di potere. La moderazione serve a proteggere il sito ( o blog) mentre la censura serve a proteggere il sistema. Confondere i due concetti è tipico del gatekeeper, pagato per farlo e per mettere tutti nello stesso calderone, al fine di nascondere la pesante censura attuata dal gruppo di potere. Certamente, non tutti i commenti emotivi e insensati sono tendenziosi, ma soltanto una parte.
Per riassumere quanto detto, i motivi che rendono necessaria la moderazione, presente in tutti i blog e siti di qualità (anche quando non viene indicato spesso è presente), sono:

- Offrire un blog di qualità in cui vengano trattati determinati argomenti con una certa serietà, evitando beghe e sterili polemiche, tipiche della cultura di massa.

- Far rispettare le leggi contro la diffamazione.

- Evitare di rendere Internet una specie di Babilonia, o di luogo spazzatura, in cui si dà sfogo a rabbia e frustrazioni e non si costruisce nulla.

- Fare in modo che si abbia sempre un linguaggio appropriato e rispettoso.

- Evitare di pubblicare materiale non pertinente, ripetitivo o non conforme alle leggi vigenti.

- Evitare di dare spazio a chi ha interesse a colpire e a screditare un blog come questo, che dice verità scomode.

- Evitare di pubblicare messaggi pubblicitari di prodotti o siti.


Dunque, le semplici regole da rispettare per concorrere a creare un blog "pulito" e protetto dalla spazzatura di regime sono:

1) Tenere conto che bisogna discutere i contenuti nel rispetto di tutte le idee, evitare dunque commenti provocatori, polemici, offensivi o maleducati.

2 - Evitare commenti "ad personam". In questa categoria rientrano i commenti che implichino un giudizio personale sull'interlocutore. Un valido criterio è quello di evitare di scrivere tutto quello che può suscitare risentimento o altri stati d’animo non positivi.
Nel dubbio astenersi.

3 – Evitare di scrivere commenti che violino in qualunque modo le leggi vigenti, o che incitino a violarle. Questo include le offese rivolte ai personaggi pubblici, le diffamazioni, o informazioni lesive della privacy altrui. Sarà anche rimossa qualunque frase tendenziosa, che possa eventualmente essere utilizzata da terzi contro il sito stesso.

4) Si prega di rimanere pertinenti al tema dell’articolo proposto. In alcuni casi si può accettare una divagazione, purché si rispetti il senso generale della discussione in corso, e ci sia un qualche legame con l’argomento principale.

5) Evitare di soffermarsi o insistere su particolari irrisori dell’argomento proposto, per evitare che si vada su binari sterili o distruttivi, o che si trascurino gli aspetti più importanti. Occorre cioè evitare il classico effetto dello stolto che osserva il dito e non vede la luna indicata dal saggio. Chiedersi: "Quello che ho scritto può interessare agli altri?", "E' utile e costruttivo?"
Si consiglia di leggere attentamente l'articolo in questione e i post pubblicati, in modo tale da non essere ripetitivi o chiedere qualcosa che è già ampiamente spiegato nell'articolo.

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7) Si prega di non portare avanti "guerre di opinione", come se si volesse a tutti i costi “avere ragione”. Qui ognuno si forma liberamente la propria idea, non c’è alcun bisogno di combattere battaglie per convincere gli altri.

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COPYRIGHT

Per quanto riguarda la questione del copyright, occorre ricordare che esso
ha da sempre avuto la funzione di permettere a chi aveva lavorato di recuperare i costi (tempo, materiale, ecc.), ma nel caso di articoli pubblicati gratuitamente è ovvio che i costi non saranno recuperati. Tuttavia, esistono altri fattori che fanno optare per la scelta del copyright.

Si ricorda che qui non si nega la lettura gratuita di materiali che sono frutto di lavoro non retribuito. Leggere un testo coperto da copyright non è reato, se questo testo viene offerto al pubblico gratuitamente, è reato soltanto appropriarsene e trasmetterlo agli altri con mezzi propri.
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Non dimentichiamo che tutto quello che richiede sforzo e tempo per essere prodotto, nel contesto in cui viviamo ha bisogno di un compenso, altrimenti potrebbe non più esistere nel futuro.
In questo caso lo sforzo non è pagato, ma si chiede di riconoscere i diritti di chi ha lavorato, per evitare che lo scritto possa essere utilizzato inopportunamente oppure rimaneggiato o modificato.
Ho dovuto ricorrere al copyright perché mi sono accorta che alcune riviste pubblicavano i miei articoli parzialmente, cioè con le parti più "scottanti" censurate, e non mettevano nemmeno la fonte da cui l'articolo era stato tratto. Dunque, ho dovuto porre un filtro e concedere l'autorizzazione a pubblicarli soltanto dopo aver ricevuto la richiesta, potendo così porre come condizione la pubblicazione integrale dell'articolo e l'indicazione del link.
Ad ogni modo, credo che sulla questione generale del copyright (mi riferisco al copyright sugli scritti o sulle produzioni artistiche in generale) valga la pena soffermarsi ancora un po', esulando dalla questione del blog.
Premetto che non intendo aprire alcun dibattito, poiché questo è soltanto un comunicato e l’argomento è troppo controverso e complesso per essere trattato in modo esauriente in questa sede.

L'accezione negativa con cui è stata associata la parola "copyright" è dovuta ad un luogo comune che, come molti altri luoghi comuni, dovrebbe essere oggetto di analisi prima di suscitare consenso.
Talvolta avere un'idea alimentata dall'opinione prevalente, piuttosto che da un'analisi personale, può essere molto pericoloso. Basti pensare che considerare sempre sbagliato il copyright può dare vita a molte ingiustizie, come avviene nei settori in cui esso non è ancora forte. Ad esempio, se una persona scrive ad un canale televisivo per proporre una nuova trasmissione televisiva, può capitare che l'idea gli venga rifiutata ma può essere realizzata senza pagargli alcunché (purtroppo è avvenuto diverse volte), proprio perché egli non è abbastanza tutelato nei diritti d'autore e, in questo caso, per rivendicare i suoi diritti dovrebbe fare una trafila lunga e costosa.
Se gli scrittori non avessero il copyright, lo stesso potrebbero fare gli editori che ricevono i loro manoscritti: li rifiutano ma poi li pubblicano sotto altro nome, per non pagare i diritti d'autore. Vi sembra giusto questo? Eppure se credete ad oltranza che bisogna annullare il copyright, legittimate queste ingiustizie, che permettono a chi ha già soldi di farne altri sulla pelle di chi sperava di guadagnare qualcosa grazie al suo talento.
Inoltre, oggi il sistema tende ad annullare il valore della cultura come impegno e studio. E' funzionale all'attuale assetto di potere il trasformare la cultura in svago, intrattenimento o pseudo-cultura. Ciò dovrebbe servire ad indurre le persone comuni a perdere il senso della vera cultura, e il relativo valore che essa dovrebbe avere nel sociale.
Ad esempio i giornali ufficiali tendono ad eliminare le figure di spicco del giornalismo, preferendo personaggi anonimi che talvolta si firmano con sigle. Ciò avviene per svalutare la stessa professione giornalistica, e per pagare poco i giornalisti, privandoli di ogni potere o prestigio.
Persone come il compianto Enzo Biagi o Michele Santoro, in futuro saranno sempre più rare, soppiantate da giornalisti/impiegati, assoldati dai partiti proprio perché completamente asserviti al potere e del tutto innocui.
Dunque, il giornalismo serio sarà sempre più svalutato, e l'idea che non ci debba essere copyright nelle produzioni culturali che sono costate tanto lavoro e impegno conferma tale svalutazione, e nega che la cultura possa essere un lavoro importante nel sociale, e possa dare da vivere a chi la produce. Il paradosso è che per attività culturalmente inutili, come la valletta o il prestigiatore, è ovvio ritenere che ci debba essere un guadagno, mentre chi si impegna a studiare e a scrivere per capire la realtà e dare una vera informazione, viene considerato come una persona che dovrebbe far circolare i suoi scritti gratuitamente.
Svilire il valore del giornalismo serio significa svalutare la vera informazione. Oggi i giornali finanziati con soldi pubblici, come "L'Unità", il "Giornale", il "Corriere della Sera" o "La Repubblica", tendono a non pagare o a pagare pochissimo i giornalisti che collaborano, confermando il poco valore che viene dato al giornalismo. Diverso è il caso dei giornalisti di regime, come Bruno Vespa o Francesco Giorgino, che ricevono compensi adeguati al grado di sottomissione al potere e alla copiosa propaganda che attuano a favore del regime.

Certo bisogna anche tenere presente che il copyright può essere utilizzato da personaggi di regime per frenare l’informazione, penalizzando chi la promuove (vedi ad esempio il caso di Mediaset- Youtube http://www.youtube.com/watch?v=WoxY0MvOxoM).

Nel profondo del nostro animo, sappiamo che il profitto non è così importante come il sistema attuale ci fa credere. Sappiamo che l'arte e la cultura sono di tutti, a prescindere da chi le crea. Tuttavia, l'intellettuale, per produrre cultura, deve acquistare il materiale di lavoro (libri, fascicoli, giornali, documenti, ecc.) e deve impiegare molto del suo tempo per studiare, riflettere, fare i giusti collegamenti e poi scrivere, correggere, rileggere, ecc. Insomma, passa parecchio tempo, in cui, oltre a dover spendere denaro per i materiali, deve anche cibarsi, pagare bollette, ecc. In parole povere, anche se produrre cultura o arte è un'attività assai più gratificante di tante altre, chi lo fa deve anche sopravvivere, a meno che non sia assai benestante. Ciò che fa ha un costo materiale che in qualche modo deve cercare di recuperare. Dunque, pretendere di annullare il copyright, finché il sistema è tale, significa permettere soltanto ai benestanti di produrre arte o cultura, e questo credo non sia la volontà delle persone comuni.
In un altro sistema, non dominato dal profitto e dall'usura bancaria la realtà sarebbe certo ben diversa. I prodotti creativi e culturali sarebbero patrimonio di tutto il sociale, poiché tutti potrebbero sopravvivere dignitosamente senza bisogno di dover mercificare ogni cosa. Ma dovremmo tutti cambiare mentalità. Attualmente nessuno amerebbe sentirsi dire che il suo lavoro non ha valore finanziario o che dovrebbe lavorare senza alcun guadagno. Nel sistema attuale non è possibile condividere il proprio lavoro come puro bene sociale, e se si attribuisce valore finanziario ad attività come fare la velina o mostrare i glutei per le pubblicità, allora a ben ragione occorre riconoscere valore (e costi) a chi produce cultura e informa correttamente.

Per riassumere, i motivi del copyright sono:

- Avere possibilità di tutela dei propri scritti, ovvero non permettere storpiature, censure o modifiche.
- Evitare usurpazioni a scopo di lucro.
- Dato che lo scopo del blog è quello di far conoscere le mie pubblicazioni, il copyright serve anche a dare la possibilità ai siti che ne fanno richiesta di pubblicare gli articoli in cambio di un piccolo spazio per divulgare le mie pubblicazioni.
- Mostrare rispetto per il lavoro intellettuale, pur offrendo gratuitamente l’informazione contenuta negli articoli.

Per concludere, questo blog è per diversi aspetti atipico perché affronta anche le stesse distorsioni presenti nella rete Internet, cercando di contrastare i luoghi comuni, quando essi non sono funzionali alla costruttività che, a mio avviso, è insita nell’animo umano.
La cultura di massa vigente ha prodotto l'idea che su Internet c'è "libertà", in contrasto con gli altri media che hanno la "censura". Ma è sciocco credere che libertà di parola significhi avere licenza di dire a ruota libera tutto quello che passa per la testa senza alcun limite.
Come scrivono Anthony R. Pratkanis e Elliot Aronson: “La Costituzione garantisce anche la libertà di parola, ma non il diritto di gridare ‘al fuoco’ in un cinema affollato”. E, aggiungo io, nemmeno il diritto a diffamare o a mancare di rispetto con la complicità dell'anonimato.
Lo scopo è quello di offrire un blog utile e costruttivo, altrimenti credo che sarebbe una perdita di tempo per me e per voi, e il tempo è prezioso.
Approfitto per ringraziare tutti i lettori del blog, specie quelli che mi sono stati vicini e hanno apprezzato anche quegli articoli “scomodi” e impopolari.
Come sapete, oggi valutare i fatti e pensare con la propria testa non è né facile né popolare.

Grazie a tutti!

Antonella Randazzo




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RAGAZZE PON PON CON GLI OCCHI A MANDORLA Giochi olimpici a Pechino

Di Antonella Randazzo


In Cina è stata avviata una grandiosa propaganda sul modello americano in occasione delle prossime olimpiadi.
Nei filmati dei cinque registi scelti per propagandare l'evento appaiono ragazze pon pon, bambini che ridono, amici che si ritrovano dopo tanto tempo, palloncini che volano, ragazze e bambine che ballano, e gente di ogni età che sorride felice.
Le autorità cinesi hanno visto l’assegnazione dei Giochi olimpici come un’occasione da non perdere per offrire l’immagine di una presunta Nuova Cina, ricca, moderna e potente, senza però svelare i retroscena assai più inquietanti della realtà cinese.

Ormai da tempo molti cinesi del ceto alto e medio stanno facendo propri gli stessi criteri delle persone occidentali. Nel modello propagandato dalle autorità occidentali c'è il ricco e il povero, c'è il bello che diventa "Vip" e il brutto che rimane persona "comune" (a meno che non sia parente di persone importanti). All'interno di questo sistema si ambisce alla ricchezza e si diventa sempre più insensibili alla sofferenza umana. In Cina oggi molti giovani sognano di diventare modelli, attori, e di avere ricchezza e popolarità. Molti accettano cinicamente un assetto fondato sull'ingiustizia e sulla sopraffazione, impegnati ad inseguire le "opportunità di successo" o la "popolarità".
Come in Occidente, le autorità cinesi impongono un sistema in cui non conta il benessere dei cittadini ma il prestigio nazionale, non contano l'uguaglianza e la giustizia, ma il potere di alcuni, non conta la sofferenza della maggioranza, ma la ricchezza della minoranza.
Ovviamente, nella propaganda dei Giochi olimpici non appaiono le migliaia di persone che hanno perso la casa a causa dei lavori per gli stadi, o gli operai che hanno lavorato per tante ore al giorno in cambio di salari da fame, o addirittura in cambio di nulla.
Molti lavoratori cinesi si sono recati a Pechino per lavorare alle opere olimpiche, ricevendo stipendi da fame, e in certi casi non hanno ricevuto alcuno stipendio. Infatti, dato che in Cina non esiste di fatto alcuna tutela del lavoratore, alcune ditte posticipano i salari e dopo alcuni mesi si rifiutano di pagare. Scrive “Asianews”: “Da anni in Cina i migranti non sono pagati dai datori di lavoro, specie nel settore edile nel quale le imprese, finita l’opera, semplicemente spariscono… Un migrante del Jiangsu si è dato fuoco sulla piazza Tienanmen per protestare contro il governo e i capi della sua ditta, che non gli pagano il salario… Quello dei lavoratori non pagati è una delle piaghe più grosse della Cina di oggi. Secondo uno studio dell'università Renmin di Pechino, oltre il 90 % dei lavoratori migranti in Cina (almeno 150 milioni) non ha contratto e non riceve la paga in modo regolare. Anche se le direttive del governo impongono di pagare i lavoratori ogni mese, molti datori di lavoro falsificano le ricevute e non danno alcun salario, col pretesto di saldare ogni 6 mesi. Una volta che hanno in mano le ricevute finte, si rifiutano di pagare, senza alcuna possibilità per i dipendenti di avere giustizia. Alcuni lavoratori hanno fatto ricorso alla violenza ed hanno aggredito i datori di lavoro che non li pagavano, ma molti altri hanno deciso di portare l'attenzione sulla loro situazione suicidandosi”.(1)

Molte società straniere (specie statunitensi) fanno in Cina tutto quello che vogliono, e se qualche sindacato solleva obiezioni esse protestano dicendo che i sindacati sarebbero “un’emanazione del Partito comunista” perché in Cina non possono esserci sindacati liberi. In altre parole, fanno appello al sistema dittatoriale per giustificare ogni comportamento. Il paradosso è che i media occidentali disprezzano le caratteristiche dittatoriali del regime cinese senza però dire quanto esso è favorevole agli interessi di molte corporation occidentali.

Gli attivisti per i diritti umani, in occasione dei Giochi olimpici di Pechino, hanno fatto appello all’Occidente, ricordando che le promesse di migliorare la situazione dei diritti umani non sono state mantenute. L’associazione Chinese Human Rigths Defenders ha inviato una lettera aperta al presidente Usa George W. Bush e a quello francese Nicolas Sarkozy, firmata da moltissimi cinesi. La lettera dice:
“Il governo cinese non ha mantenuto le promesse fatte al Comitato olimpico internazionale, quando ha chiesto l’assegnazione dei Giochi, di migliorare il rispetto dei diritti umani in Cina”. E riporta chiaramente una serie di crimini commessi dalle autorità cinesi: “la cacciata coatta della gente dalle abitazioni per realizzare le opere olimpiche, la mancanza di tutela per i lavoratori migranti, le persecuzioni contro attivisti per i diritti e dissidenti, la mancanza di libertà di espressione e riunione, la censura sui media, le persecuzioni per ragioni religiose”.(2)

Moltissimi cinesi hanno sollevato molte critiche contro le autorità, perché ritengono insensato e crudele organizzare in grande stile le Olimpiadi mentre milioni di persone vivono in estrema povertà o con situazioni lavorative tremende. Secondo queste persone sarebbe stato più “umano” e saggio investire i miliardi di euro, anziché per allestire le scene olimpiche, per combattere la povertà e l’analfabetismo.
Secondo un’inchiesta condotta da “AsiaNews”, molte persone delle grandi città come Pechino, Shanghai e Tianjin, e di diverse regioni quali Guangdong, Jiangsu, Shandong, Sichuan, Ningxia, Hubei, hanno espresso dolore e preoccupazione per l’assegnazione delle Olimpiadi alla città di Pechino. Un cittadino di Shanghai ha scritto:
“La notte in cui Pechino ha vinto la candidatura a ospitare i Giochi olimpici io ho pianto. Ho pianto per la mia nazione e il mio popolo. I poveri della Cina non riescono nemmeno a nutrirsi, e devono ospitare le Olimpiadi. Il governo allora ha pensato di essere intelligente, ma in realtà è stato stupido. L’unica nazione che ha tratto profitto dalle Olimpiadi è stata l’America (gli Stati Uniti – ndr). Molte altre nazioni non sono nemmeno riuscite a pagare i loro debiti in 20 o 30 anni. Alle ultime Olimpiadi, la Grecia ha perduto 1 miliardo di dollari. I cinesi soffrono già tanto per la povertà. Ora con le Olimpiadi, questa situazione peggiorerà. Non riesco a capire come la gente voglia celebrare. Come si fa a ignorare che stiamo soltanto esibendo il nostro orgoglio? Si dice che Pechino ha progettato di spendere 80 miliardi di Rmb (renminbi - la valuta emessa dalla Repubblica Popolare Cinese) solo per le costruzioni olimpioniche. Immaginate: con quella somma centinaia di migliaia di bambini potrebbero andare a scuola, molte persone non sarebbero più povere e gli operai disoccupati potrebbero trovare lavoro. I Giochi Olimpici dureranno solo un po’ più di 10 giorni. Era proprio necessario sprecare così tanti soldi? Che cosa faremo con quegli stadi in futuro? Quanti soldi dovremo sprecare ancora solo per mantenerli? Sarà solo un’occasione per i membri corrotti del governo i essere ancora più corrotti. Queste superbe costruzioni sportive non ci portano alcun bene. Sono solo un altro modo di sprecare i soldi delle nostre tasse”.(3)

Secondo il dissidente cinese Bao Tong, le autorità cinesi vogliono utilizzare le Olimpiadi per mostrare al mondo un volto migliore di quello reale. Egli scrive:

“L’unico scopo è dimostrare il [nostro] splendore, facendo tutto il possibile, senza badare alle spese in risorse umane o economiche. Di certo, questo splendore non è per nulla quello delle Madri di Tienanmen[1], o di coloro che consegnano petizioni per chiedere giustizia, o quello dei lavoratori migranti… Lo splendore che si vuole dimostrare è quello della stabilità che ha schiacciato tutto, da cui sono emerse la grandezza e l’armonia attuali. Tutti devono capire che questo è il risultato del massacro. Senza massacro, non ci sarebbe stato l’innalzamento [del Paese], senza massacro non ci sarebbe stata l’armonia attuale. Ospitare le Olimpiadi è la legittimazione che il sistema di leadership con caratteristiche cinesi è il migliore, testimoniato anche dalla pratica. Stranieri: glorificateci! Patrioti: siate orgogliosi! Se penso a questo, il sangue mi bolle nelle vene. Come si può definire questa una “psicologia normale”?(4)

In Cina, dopo la rivoluzione di Mao, le autorità cercarono di persuadere tutti i cinesi che in Cina aveva trionfato il "marxismo", e che dunque dovevano conformarsi al nuovo sistema. Ogni persona che rivendicasse la libertà diventava nemica del popolo, oppure veniva marchiata con l’etichetta infamante di “imperialista” o “revisionista". Di tanto in tanto si ebbero durissime repressioni che costarono la vita a milioni di persone.
Dal 1978, la Cina iniziò ad aprire la strada al capitale e alle imprese private. Nel 1980 nacquero molte società con capitali stranieri, che godevano di diversi privilegi fiscali. I cambiamenti dell’economia cinese non furono accompagnati a cambiamenti in senso democratico, al contrario, il 4 dicembre del 1982, venne approvata una nuova costituzione, che riaffermava il potere totale del Partito Comunista sullo Stato e sulla società.
Nel 1989, molti studenti cinesi si riunirono per discutere le possibilità di migliorare la situazione politica e sociale del paese. La realtà era vista ancora all’interno di uno schema socialista, ma venivano sollevate critiche contro i vertici del Partito.
Gli studenti erano appoggiati da un esponente dell'élite, Zhao Zyiang (nominato segretario generale del Partito comunista nel 1987), che venne subito estromesso dai vertici del Partito. Il 18 aprile del 1989, un gruppo di studenti occuparono piazza Tienanmen, gridando "Abbasso la rivoluzione, viva la democrazia, viva la Cina". In poco tempo la piazza si riempì di migliaia di persone, che chiedevano di contare qualcosa nelle scelte economiche del paese. La protesta andò avanti fino a maggio, mese in cui venne introdotta la legge marziale. Il 3 giugno scattò una feroce repressione, l’esercito intervenne con i carri armati e sparando all’impazzata sulla folla. Migliaia di persone morirono, e la piazza diventò un cumulo di cadaveri in una pozza di sangue. Per diversi giorni si ebbero esecuzioni sommarie, arresti e torture. Seguì un rigido controllo di tutti i media, e la proibizione dell’ingresso ai giornalisti stranieri.
Ancora oggi non si conosce il numero esatto di morti. Il governo cinese stimò 200 morti civili e 100 soldati, ma successivamente ridusse ancora di più questa stima. La Cia stimò 400-800 vittime, mentre la Croce Rossa parlò di 2600 morti e 30.000 feriti. Le varie testimonianze parlarono di almeno 3000 persone uccise. Gli studenti stimarono 7.000-12.000 morti. Secondo Amnesty International, il numero dei morti crebbe in seguito, quando molti altri studenti vennero giustiziati o uccisi dai soldati.
Il movimento era stato distrutto prima che potesse pericolosamente espandersi. L'obiettivo del regime fu raggiunto, e quasi tutti i giovani rinunciarono alle lotte. Racconta Zhang Dali, un sopravvissuto: "Quell'evento ha cambiato la storia cinese. Tante persone non hanno più voluto avere a che fare con la politica, mentre altre hanno cercato in tutti i modi di arricchirsi, soltanto poche non hanno rinunciato alle loro idee."(5)

Il Chinese Human Rights Defender ha reso noto che mentre le autorità cinesi preparavano le Olimpiadi, alcune persone che lottarono per la libertà durante il massacro di piazza Tiananmen, erano ancora in carcere o agli arresti domiciliari.
Ad esempio, da maggio, Qi Zhiyong un attivista reso disabile in seguito alle aggressioni in piazza Tiananmen, è agli arresti domiciliari.

Nel 1992, le autorità cinesi incominciarono a parlare di "economia socialista di mercato", senza specificare bene cosa significasse, e senza smontare l’idea che la Cina fosse un paese “comunista”. Si trattava di aprire la Cina agli investimenti privati, avvantaggiando il capitale straniero contro gli interessi della popolazione.
Oggi la Cina è inserita completamente nel sistema capitalistico internazionale, e molte sue società sono strettamente legate a società occidentali. La Exxon Mobil, la BP Amoco e la Royal Dutch Shell hanno acquistato azioni della petrolchimica cinese Sinopec per 1,8 miliardi di dollari, e la Sinopec ha emesso sui mercati internazionali azioni per più di 3 miliardi e mezzo di dollari.
Milioni di persone sono state costrette a trasferirsi in città, oppure ad andare via dalla propria casa, in seguito alla costruzione di dighe o di centri industriali o commerciali. Si calcola che oggi ci siano almeno 100 milioni di cinesi in movimento nel paese.
Dopo il 1998, il settore privato si è ulteriormente sviluppato, fino a superare quello pubblico. Secondo i dati della Banca mondiale, il settore privato produce il 62% del Pil. Le ricchezze prodotte dal nuovo assetto economico sono finite in gran parte nelle mani di poche famiglie cinesi e delle corporation transnazionali.

La Cina di oggi attua riforme economiche decise in base alla "crescita economica" del paese (ossia in base ai profitti delle imprese), senza però mettere al primo posto il benessere dei cittadini. Alla fine degli anni Novanta, sono state attuate misure di "ristrutturazione" e di "fusione", le stesse applicate anche in altri Stati, e consigliate dal Fmi. L'industria tessile statale è stata smantellata per dare spazio agli imprenditori privati. Anche 94 miniere carbonifere statali sono state chiuse, per dare spazio ad aziende che si presentano come "competitive". Per i cittadini cinesi queste riforme hanno coinciso con un aumento della disoccupazione, della povertà e della disperazione. “Le Monde” del 5 maggio 1998, scrisse che soltanto alla fine del 1997, le aziende statali cinesi licenziarono 12 milioni di salariati. Secondo lo studioso Zhou Lukuan, il tasso di disoccupazione in Cina ha raggiunto il 20% della popolazione attiva.
Nelle città le disuguaglianze e gli squilibri sono molto evidenti. Sono sorte zone piene di alberghi, ristoranti e negozi di lusso, che mirano a soddisfare le esigenze dell'élite ricca. Al contempo, si è abbassato il tenore di vita di milioni di persone, che si sono riversate nelle città in cerca di lavoro. Le classi più povere sono state maggiormente colpite dalle privatizzazioni e dall'inflazione. Le tensioni crescono in città come nelle campagne. Molti parlano del progresso economico cinese come favorevole a tutti i cinesi, ma ciò non corrisponde a realtà. Il "boom economico", e la considerazione mondiale della Cina come paese economicamente sviluppato e in crescita, non corrispondono a progressi nella condizione lavorativa e salariale dei lavoratori cinesi. Al contrario, da quando la Cina ha raggiunto alti livelli di sviluppo economico, il reddito di molti lavoratori (specie dei contadini) si è abbassato, e sono aumentati la disoccupazione e lo sfruttamento lavorativo. E' vero che negli ultimi anni è cresciuto l'incentivo al consumo attraverso miliardi di dollari spesi in pubblicità. I giovani vengono stimolati al consumo, al divertimento e al far soldi. Si è affermato lo stile di vita occidentale, basato sull'idea di essere "belli e alla moda". I giovani vengono indotti ad emulare i modelli occidentali, nell'abbigliamento e nel look. Le ragazze vogliono fare le modelle, per "esprimere la propria personalità sulle passerelle". L'ex colonnello Jin Xing ha descritto così le nuove generazioni di cinesi:
“Mi pare che i giovani di oggi abbiano una mentalità molto diversa dalla nostra. Non credono alla religione, né all'ideologia marxista-leninista, ma vedono le cose in modo utilitaristico, cercando in tutti i modi di raggiungere un tenore di vita elevato, per poter ottenere ogni cosa. E' una generazione viziata ed egoista, che ha come unica fede il raggiungimento delle cose pratiche e materiali. Come il guadagno, la casa, una macchina nuova e altre cose simili”.(6)

Nonostante le autorità cinesi parlino ancora di "socialismo" o di "comunismo", le disuguaglianze economiche in Cina sono sempre più nette. Secondo i dati forniti dall'Ufficio nazionale di statistica, il 20% delle famiglie possiede il 48% delle proprietà, mentre il 20% più povero possiede soltanto il 4%; inoltre, i depositi bancari appartengono per l'80% al 20% dei titolari.(7)
Le classi popolari sono oggi in preda alle difficoltà. Cresce la disoccupazione, mentre lo Stato tende a diminuire le spese per l’istruzione e la sanità. Secondo fonti governative, ci sono almeno 6 milioni di licenziamenti all’anno.
Tre economisti cinesi, Yang Fan, Zuo Dapei e Han Deqiang, hanno scritto una lettera all’Assemblea Nazionale, in cui denunciavano l’esistenza di un’”oligarchia finanziaria”, che detiene un potere enorme, potendo concedere o ritirare i crediti, condizionando lo sviluppo economico dell’intero paese.
Secondo lo studioso Zhu Ling: “La maggioranza della popolazione non riceve la maggior parte dei redditi. Al contrario, solo un pugno di persone si prende la parte del leone delle ricchezze della società”.(8)

Moltissimi lavoratori immigrati, costretti a lasciare le campagne e a cercare lavoro in città, lavorano anche dieci/quindici ore al giorno, percependo poco più di cento euro al mese. Inoltre, i loro diritti non sono tutelati e talvolta le condizioni difficili di lavoro provocano gravi incidenti.
Dunque, oggi in Cina i diritti umani sono subordinati alle corporation e al profitto. Il governo cinese ha chiesto finanziamenti dalla Bm e dal Fmi per costruire grandi opere, che saranno vantaggiose soltanto per le imprese e arrecheranno danno alle popolazioni locali. Ad esempio, per costruire la Diga delle Tre Gole, almeno tre milioni di persone sono state deportate, e quelle che protestavano sono state represse duramente. Le lotte sono state poi raccontate come “disordini interetnici”.
La presenza di tante aziende straniere e la produzione finalizzata al mercato mondiale, non possono non avere un potere enorme sulle decisioni economiche del governo. Il nuovo sistema cinese è basato sul potere finanziario e sulla produzione industriale, che è in gran parte in mani private. Questo nuovo sistema non è stato scelto dai cittadini cinesi, e non può essere messo in discussione, come già dichiarò Deng Xiaoping.
Le autorità cinesi utilizzano l'artificio retorico già utilizzato da Lenin, quando dicono che "la Cina si trova nello stadio primario del socialismo".(9) In realtà, il "socialismo" come sistema in cui la gente comune ha il potere di prendere le decisioni più importanti, non è mai esistito nemmeno in Cina.

Da diversi anni le autorità cinesi sottraggono le terre ai contadini per venderle a prezzi irrisori alle industrie, pagando ai contadini pochi spiccioli. Per questo le proteste hanno assunto proporzioni enormi. Ad esempio, nel maggio dello scorso anno, nella città di Gurao, municipalità di Shantou (Guandong), gli abitanti si sono sollevati e per la rabbia hanno distrutto gli uffici e le case delle autorità locali.
Secondo fonti ufficiali, oltre il 50% delle proteste sono dovute agli espropri.
Nel 2005 ci sarebbero state oltre 87mila proteste, e nell’anno successivo sarebbero diminuite del 16,5%, ma le reazioni di rabbia sarebbero state molto più violente. Il ministero della Terra e delle risorse ha riferito che nel 2006 le espropriazioni indebite di terreni sarebbero cresciute del 17,3% giungendo a 131mila casi.

In Cina, come in molte parti del mondo, esiste una resistenza che cerca di lottare contro il sistema, e come ovunque viene bollata come “terrorismo”. Di tanto in tanto le autorità cinesi denunciano tentativi “terroristici”. Oppure sostengono di aver sventato attentati terroristici. Ad esempio, nel marzo di quest’anno hanno asserito di aver impedito un attentato terroristico su un volo aereo della China Southern Airlines diretto da Urumqi a Pechino. Ma data la natura criminale e terroristica del regime, c’è da sospettare che si possa trattare di strategie dello stesso tipo di quelle utilizzate dagli stegocrati occidentali (si veda a questo proposito l’articolo http://www.disinformazione.it/significato_terrorismo.htm).

Di sicuro esiste un terrorismo di Stato in Cina, basti pensare alle molte repressioni e ai crimini perpetrati in Tibet o contro religiosi cinesi.

Col pretesto del “terrorismo” quest’anno sono state arrestate nello Xinjiang 82 persone accusate di “cospirare per sabotare le Olimpiadi”. Ma il Centro di informazione del Turkestan orientale ha informato che a queste persone si nega il diritto di avere un avvocato e che potrebbero essere torturate al fine di estorcere confessioni.
Sta di fatto che per le Olimpiadi verrano spese enormi cifre per la “sicurezza”. A Pechino ci saranno migliaia di soldati, 10 mila guardie di sicurezza, almeno 40 mila poliziotti, 27.500 armati, 300 guardie anti-terrorismo e 15 mila volontari della guardia civile, oltre ad una fitta rete di informatori e spie. Chi userà la metropolitana dovrà subire controlli come chi si imbarca su un aereo, e persino chi usa bus e pullman sarà controllato.
Il pretesto è quello del terrorismo da parte di musulmani uiguri, tibetani o evangelici, ma di fatto l’intera popolazione sarà sotto un rigido controllo. L’agenzia di stampa “Nuova Cina” ha fatto sapere che addirittura non si potranno portare negli stadi striscioni con su scritto “Go China”, e nemmeno potranno circolare opuscoli, libri e altro materiale a contenuto “commerciale, religioso, politico, militare, o relativo ai diritti umani, all’ambiente e alla difesa degli animali”. Non si potranno portare nemmeno ombrelli e accendini.

Il timore degli stegocrati cinesi è che i dissidenti informino gli occidentali sulla vera situazione del paese, o che vengano sollevate proteste contro il regime cinese.
Quello che maggiormente preoccupa l’attuale gruppo di potere è che i popoli divengano solidali fra loro, e comprendano che possono spodestare gli usurpatori. Questo è il motivo principale che fa gridare le autorità al “terrorismo!”.
La censura dell’informazione esiste ovunque, e ha lo scopo principale di impedire alle persone comuni di capire quello che sta avvenendo realmente. Ossia che i gruppi stegocratici operano senza tener conto del benessere dei popoli, e in tale contesto anche le Olimpiadi, che in apparenza dovrebbero (e potrebbero) essere un’occasione di festa e divertimento, diventano fonte di sofferenza per molti. Dopo pochi giorni i Giochi termineranno, ma purtroppo non finirà la sofferenza e il degrado in cui sono costretti a vivere milioni di cinesi.



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NOTE

1) http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=6763
2) http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=12737&dos=121&size=A
3) http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=12704&dos=121&size=A
4) http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=12756&geo=&theme=&size=A
5) Documentario "Buongiorno Cina. Storie del secolo cinese", di Francesco Conversano e Nene Grignaffini, Raitre, 2006.
6) Documentario "Buongiorno Cina. Storie del secolo cinese", di Francesco Conversano e Nene Grignaffini, Raitre, 2006.
7) http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/17/17A20010519.html
8) http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/17/17A20010519.html
9) Maitan Livio (a cura di), “Il dilemma cinese. Analisi critica della Cina post rivoluzionaria 1948-1993”, Datanews, Roma 1994, p. 20.