(Relazione di Antonella Randazzo esposta alla Conferenza sul tema "Libertà di pensiero o pensiero unico?", Milano, 24 aprile 2008)
Come molti sanno, la rete Internet è nata da un progetto del Dipartimento per la Difesa americano, allo scopo di fornire servizi e informazioni utili ai fini militari. Gradualmente si è diffusa anche per altri usi.
All'inizio la novità della rete apparve assai rivoluzionaria e suscitò molti entusiasmi. Non si trattava soltanto di nuove possibilità d’informazione o di comunicazione. Negli anni Novanta, quando si formarono le prime comunità virtuali, sembrava che la rete potesse stravolgere completamente persino l'assetto socio-politico.
C'era l'idea che Internet dovesse cambiare le regole della politica, rendendo obsoleti concetti come elezioni e rappresentazione territoriale, in quanto le comunità non potevano più essere inserite all'interno di un'arbitraria ubicazione fisica. Attraverso le comunità virtuali sembrava fosse possibile eliminare la politica spettacolo e l'ingiustizia sociale.
Per la prima volta nella storia del pianeta era possibile formare comunità di migliaia di persone che potevano dialogare fra loro senza avere informazioni sull'identità fisica o sul luogo in cui si trovassero. Ciò faceva intendere che si trattasse di rapporti contrassegnati da maggiore libertà, in quanto non condizionati dall'appartenenza etnica, razziale o nazionale. Si parlò addirittura di "ordine post-territoriale", ad intendere che la maggiore libertà nei rapporti sociali potesse generare anche maggiore libertà politica. Era come se i governi territoriali potessero perdere potere e si potesse instaurare una vera democrazia. Dave Clark, un personaggio che ebbe un ruolo nello sviluppo di Internet negli anni Settanta e Ottanta, ebbe a dire: "Rifiutiamo re, presidenti e votazioni. Crediamo in un consenso generalizzato e in un codice operativo".(1)
Ben presto si poté vedere che si trattava di un'illusione. Internet, come tutti gli altri canali mediatici apparve nel tempo come un canale controllato dalle stesse persone che controllano gli altri media.
Col passar degli anni Internet dunque diventò un canale mediatico di informazione e comunicazione. Tuttavia la rete possiede caratteristiche che stravolgono la logica dei mezzi di comunicazione di massa tradizionali. Infatti, mentre giornali, radio e T.V. presentano l’informazione veicolata, filtrata da pochi operatori, con Internet, invece, chiunque può pubblicare e divulgare notizie.
L'informazione in rete è unica nel suo genere perché c'è una multi-direzionalità delle comunicazioni, ovvero l'interazione fra chi pubblica e chi legge, rendendo la rete un mezzo simultaneo di pubblicazione e di comunicazione. In altre parole, a differenza dei media tradizionali, in rete ogni utente può ricevere e trasmettere informazioni.
In tema di diritti e doveri la Rete evoca il diritto a comunicare, ad esprimere idee e ad essere informati.
Il diritto a comunicare è garantito nell’art. 10 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, collegato alla libertà d’espressione e d’opinione, e considerato come uno dei diritti democratici per eccellenza.
Nel dicembre del 1976 la Corte europea lo ha definito come "uno dei fondamenti irrinunciabili di una società democratica, una delle condizioni primordiali per il suo progresso e per la realizzazione di ognuno".
Anche su Internet, dunque, dovrebbe essere garantito il diritto a comunicare e ad informare.
Il diritto alla libertà di pensiero e all'informazione comprende il diritto ad essere adeguatamente informati dai mass-media e il diritto a poter esprimere le proprie idee senza essere intimidito dalle autorità. Su questo si basa il concetto di democrazia, ovvero la sovranità popolare deve essere garantita anche attraverso la formazione di un'opinione pubblica libera, e tutelata dalla pluralità delle informazioni e idee circolanti.
Oggi l'87% dei siti Internet è in lingua inglese, e gli Stati Uniti hanno l'egemonia su Internet, potendo limitare l'accesso a tutti i siti della rete, in ogni paese.
Infatti, attualmente la rete mondiale è gestita dalla Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), un organismo di diritto privato con sede a Los Angeles, controllato dal dipartimento del commercio degli Stati Uniti. L'Icann è un enorme sistema di smistamento della rete, basato su un dispositivo costituito da tredici potenti computer, detti "root servers". Dieci di questi computer si trovano negli Stati Uniti (quattro in California e sei nei pressi di Washington), due in Europa (Stoccolma e Londra) e uno in Giappone (Tokyo). Le autorità statunitensi, se volessero, potrebbero rendere inaccessibili i messaggi elettronici, in qualsiasi luogo del pianeta.
Oggi la rete Internet può essere utilizzata quasi esclusivamente nelle aree ricche del pianeta, ossia è appannaggio del 10% della popolazione mondiale. Il restante 90% ne è escluso, così come del resto è escluso dal benessere o dallo stile di vita delle aree ricche del Primo mondo.
Secondo i dati ISTAT del 2007, il 43% delle famiglie italiane ha l’accesso a Internet (in Europa la media è del 54%). Oggi si usa Internet per vari scopi, per informarsi, fare acquisti, socializzare ecc.
Sulla rete Internet è possibile avere informazioni che non verranno mai date attraverso canali ufficiali, per questo essa genera maggiore fiducia rispetto alla TV e alla stampa, e si percepisce come meno manipolatoria e controllata. Tuttavia non bisogna illudersi che su Internet ci si possa informare su tutto.
Sulla rete circolano molti contenuti censurati altrove, ma questo non significa che essa sia priva di controllo. Ad esempio, Wikipedia viene definita come un'enciclopedia libera perché scritta da tutti, ma in realtà non è proprio così. Negli ultimi tempi, Wikipedia ha raggiunto un'importanza enorme, e persino motori di ricerca come Google danno la priorità alle sue voci, assegnandole così un grande ruolo informativo. Da numerosi fatti però si comincia a capire che all'interno di Wikipedia agisce una "mano invisibile" che toglie, aggiunge o cambia.
Il Wikiscanner è un software elaborato dallo studente americano Virgil Griffith, che permette di identificare l'origine delle modifiche fatte alle voci dell'enciclopedia Wikipedia. Attraverso il Wikiscanner si scoprì che c'erano "operatori", che cambiavano, toglievano o aggiungevano contenuti. Queste persone sono state identificate come operatori della Cia, del Vaticano, delle Nazioni Unite e di numerose grandi corporation.
Alcune definizioni di Wikipedia venivano per così dire "corrette", togliendo aspetti che non si volevano divulgare perché rivelavano fatti negativi del sistema. Da ciò deriva un'enciclopedia "manipolata", in cui le cose più "scottanti" sono censurate o mistificate.
Anche se in alcuni luoghi della rete Internet è possibile attingere ad una libera informazione, occorre tenere presente che dal rapporto Eurispes 2008 risulta che soltanto il 13,5% si informerebbe sulla rete, mentre oltre l'80% si informa tramite la TV, i giornali e la radio, che offrono in molti casi un'informazione parziale e mistificata.
In alcuni casi, l'informazione che gli utenti ricavano da Internet appare meno articolata e approfondita rispetto a quella pubblicata sul cartaceo. Infatti, gli stessi quotidiani ufficiali, come il "Corriere della Sera", "La Repubblica "e "Il Tempo", pubblicano sui loro siti web articoli più brevi, che semplificano la questione, con conseguenze sulla qualità del dibattito giornalistico. Su Internet, dunque, è d'uso una forma breve di comunicazione giornalistica, con resoconti più superficiali o appiattiti. Ciò avviene anche perché il navigatore è abituato ad essere piuttosto frettoloso, o perché lo schermo non è adatto ad una lunga lettura.
Chi si informa tramite Internet, non ha accesso agli editoriali più lunghi e articolati dei giornali ufficiali, e spesso nemmeno alle pagine di approfondimento culturale, politico o economico. In tal modo, si induce a credere che si possa accedere all'informazione attraverso brevi resoconti, privi talvolta di quegli elementi da cui potrebbero scaturire domande o giusti collegamenti fra gli eventi.
Gli articoli on line tendono in molti casi ad essere anonimi, anche se pubblicati su siti di testate ufficiali ("La Repubblica", "Il Corriere della Sera", ecc.), o forniti direttamente dalle grandi agenzie di informazione (Ansa, Reuters, CNN, ecc.). Si tende a non promuovere specifiche personalità giornalistiche, in modo tale da rendere la professione giornalistica poco appetibile per le nuove generazioni, e per restringere al massimo il prestigio e l'influenza di precise personalità, accrescendo in tal modo il potere delle agenzie di stampa e degli editori.
Le fonti su cui vengono basate le notizie sono talvolta inesistenti o anonime, specie quando si tratta di notizie su paesi esteri o sul cosiddetto "terrorismo". Talvolta le fonti citate sono il governo (nel 40% dei casi), i documenti scritti (13%) o persone direttamente coinvolte nei fatti (12%).(2)
In questi casi, gli utenti, come avviene alla Tv, hanno l'impressione di essere stati informati, ma in realtà sarebbe necessario che si andasse ad approfondire su altre fonti cartacee o web, e dunque una vera informazione richiede un impegno che pochi oggi possono o sono disposti ad avere. Il risultato è che non si forma una libera opinione pubblica, che richiede necessariamente pluralismo di fonti e informazione chiara e dettagliata. Nell'attuale situazione la maggior parte della popolazione viene condizionata dalla scarsa qualità e dalla impegnativa reperibilità delle notizie.
L'informazione su Internet è limitata anche in ordine alla nazione, alla possibilità di approvvigionamento delle informazioni e alle distorsioni o falsità che vi si trovano. Ad esempio, notizie pubblicate soltanto in lingua araba o nell'alfabeto cirillico (usato per scrivere varie lingue slave) non saranno attinte dagli europei occidentali. In Italia arrivano poche notizie sulle ex repubbliche sovietiche, sui Balcani o su paesi arabi come l'Arabia Saudita. Semplicemente le notizie non ci sono, non sono tradotte nelle lingue occidentali. Di conseguenza chi scrive su siti d'informazione indipendente non può riportarle perché non può attingerle da nessuna fonte, a meno che non vada direttamente in quei paesi o abbia contatti con persone che vivono lì.
Non ci accorgiamo di quello che non c'è se non è possibile trovarlo da nessuna parte: né su giornali, Tv o libri. Dunque la nostra informazione, nonostante Internet, è parziale ed esclude alcune aree considerate "scottanti" dalle nostre autorità.
Inoltre, le informazioni reperibili su Internet risentono del cosiddetto "gatekeeper", ossia della selezione e della disponibilità di accesso. Esistono criteri preselezionati di approvvigionamento dell'informazione. Tali criteri possono derivare da "gatekeeper" non istituzionali (attraverso il passaparola e le comunità)"(3) o da metodi informatici.
Ciò nonostante bisogna riconoscere il ruolo assai importante svolto dai siti di informazione indipendenti, e la vivacità che si può trovare in diversi forum o blog.
Da recente, alcuni studiosi hanno messo in evidenza che Internet non è soltanto un canale tecnologico di informazione o di attività sociali ed economiche, è anche un luogo virtuale che produce effetti sul pensiero e sul comportamento. Su Internet si comunica, e la comunicazione è un rilevante fatto sociale. Addirittura alcuni autori, come la professoressa di Economia Andreina Mandelli ritengono che si debba "pensare alla rete come modello di organizzazione dei nostri pensieri e della nostra socialità".(4) Non è difficile capire quanti pericoli sono insiti nella possibilità che sia un mezzo tecnologico a condizionare la nostra esistenza a tal punto da determinare forme di pensiero e di socializzazione.
Il modello di comunicazione che la rete offre ha caratteristiche precise, che sfuggono alla maggior parte degli utenti, che dunque risentono inconsapevolmente degli effetti.
Molti studiosi del settore sociologico ed economico producono giudizi sostanzialmente positivi sulla crescita dell'uso di Internet. Questi autori danno per scontato che la tecnologia sia "evolutiva", partendo da assunti epistemologici darwiniani. Assumono implicitamente l'idea che i progressi tecnologici possano rappresentare anche una crescita intellettuale, morale o sociale. E non tengono conto del potere che attraverso questi canali si può acquisire, e degli effetti peggiorativi sulle potenzialità cognitive dell'uomo.
Gli aspetti negativi di Internet, da capire e contrastare, sono diversi. Il contesto della rete è "asettico", non reale, privo della percezione di oggetti o persone reali, manca l'emotività e l'interazione sociale complessa che soltanto nella realtà si può avere. Gli escamotage per esprimere parte delle emozioni, come il viso allegro o le interiezioni, non ci diranno mai qual'era il vero tono o l'espressione del viso che li accompagnava.
Se definiamo la comunicazione come quell'insieme di possibilità di condividere conoscenze, esperienze e valori, atti a costruire nuovi modi di essere e nuove identità, comprendiamo come il computer non può sostituirsi alla realtà, anzi, può essere nocivo nella misura in cui ci fa credere di poter fare a meno dell'esperienza reale, sostituendola del tutto o in parte con quella virtuale.
Internet non stravolge vecchi equilibri in modo evidente, al contrario, agisce in silenzio, gradualmente, e i suoi effetti sono prodotti in modo inconsapevole. Tende ad eliminare la libera costruzione di simboli e significati, per imporre una realtà predeterminata, a cui l'utente deve passivamente adattarsi, senza accorgersi che le regole dello spazio virtuale non sono quelle della realtà, e che c'è qualcuno che le crea.
Dunque lo schermo, imitando le cose reali, crea esso stesso una realtà, che incide sugli utenti attraverso l'inconsapevolezza e l'abitudine.
Il problema è capire come tale realtà virtuale incide sul nostro modo di costruire la conoscenza, di condividerla e di vivere le nostre potenzialità empatiche. Essa può avere il potere di cambiare l'esistenza, modificando i rapporti sociali e le potenzialità cognitive degli individui.
Addirittura molti studiosi ipotizzano la riduzione delle complesse potenzialità umane, attraverso l'impoverimeno della qualità delle relazioni sociali, private da risorse che il computer non potrà mai avere, come l'intuito o la capacità di complessi collegamenti semantici.
In altre parole, la ricchezza della comunicazione e della conoscenza "reale" può essere limitata in qualità e quantità. Il filosofo Ray Kurzweil prevede nel futuro una vera e propria invasione tecnologica che sopprimerà le potenzialità umane:
"I computer saranno... dappertutto: nei muri, nei tavoli, nelle sedie, nelle scrivanie, nei gioielli, nei corpi... le persone cominceranno ad avere relazioni con personalità automatiche e le useranno come amici, docenti, domestici e amanti... La maggioranza della comunicazione nel mondo non prevederà l'intervento umano. La maggioranza delle comunicazioni degli umani sarà con una macchina... Non ci sarà più una distinzione precisa tra umani e macchine".(5)
Sembra uno scenario irreale quanto agghiacciante, ma rivela la possibilità che la tecnologia possa diventare gravemente intrusiva, e che mentre gli oggetti tecnologici diventeranno sempre più attivi nel produrre effetti, gli umani saranno sempre più passivi nel subirli. La diminuzione delle potenzialità cognitive è stata graduale nel tempo: dalla trasmissione di sapere orale, che vedeva il notevole utilizzo della memoria, alla trasmissione scritta, fino alla codificazione tecnologica del sapere, che richiede l'accettazione passiva delle sue regole implicite.
Fino a pochi secoli fa le persone comuni potevano conoscere la realtà nei suoi aspetti essenziali, e padroneggiarla attraverso l'attività. Gradualmente, con gli sviluppi scientifici e tecnologici, è stato inserito l'uso di macchine complesse che la persona comune utilizza senza conoscere appieno né le caratteristiche tecnologiche né gli effetti. La complessità e il determinismo delle nuove macchine hanno prodotto un senso di accettazione passiva di aspetti della realtà che pur appaiono estremamente importanti e condizionanti.
Su Internet le informazioni viaggiano anche su luoghi virtuali privati come i forum e i blog.
Tuttavia, le caratteristiche della rete possono rendere tale trasmissione di informazioni non pienamente costruttiva, anche quando le informazioni date sono corrette. Ciò accade perché i gruppi che comunicano in questi luoghi possono acquisire caratteristiche non funzionali alla produzione di cultura o alla formazione di un’opinione pubblica articolata e consapevole.
L'esistenza di una sempre più numerosa comunità globale "virtuale" potrebbe produrre pochi autonomi pensatori e molti gruppi omogenei che tenderanno all'autoreferenzialità, diventando fazioni. La mancata complessità comunicativa reale favorisce rapporti basati sull'aggregazione ad un gruppo in cui si svilupperà un alto grado di coesione interna e di rigidezza mentale, che possono portare all'intolleranza verso chi dissente o all'esclusione dell'"intruso".
Molti soggetti delle comunità virtuali, non potendo disporre di interazioni empatiche, emotive o intuitive, sviluppano la comunicazione con l'altro come un proseguimento della realtà dell'ego, improntata ad aspettative di tipo egoico, ossia che l'altro sia quanto più possibile simile a loro stessi. In tal modo, il senso di gruppo si trasforma in un reciproco riconoscimento dell'ego, che soffoca le differenze e produce radicalità di opinioni.
Non saranno dunque la tolleranza o la capacità di imparare dall'altro a guidare i rapporti, ma la ricerca di conferme della propria identità, e la rivendicazione della differenza rispetto ad altri gruppi considerati inadeguati.
Si acquisisce così uno schema cognitivo rigido, in cui risulta difficile il cambiamento, che nella realtà è prodotto dalle esperienze sociali o culturali. I "gruppi virtuali", anche quando nascono per criticare la realtà con l'intento di migliorarla, di fatto possono spegnere l'attivismo e creare un mondo statico perché sostanzialmente privo dell'impulso vitale umano che produce crescita e cambiamenti.
Perdendo il contatto emotivo con l'altro si diventa più rigidi e intolleranti quando ci si trova di fronte ad opinioni discordanti rispetto alle proprie, fino a ritenere di non poter dialogare con persone che la pensano diversamente.
Il pericolo presente sulla rete Internet è dunque quello di formare gruppi che sfogano la rabbia e la frustrazione attraverso insulti e critiche superficiali, confermando vecchie etichette e stereotipi, come quello del "ribelle al sistema arrabbiato", o del "capo carismatico irriverente".
In rete esistono anche gli "infiltrati", ossia persone pagate per controllare i forum o i blog indipendenti, e per intervenire in vari modi a intralciare o diminuire gli effetti positivi che gli utenti potrebbero avere. Si tratta di poche persone riconoscibili perché utilizzano le stesse categorie che vengono utilizzate dalla propaganda dei mass media.
Queste persone si introducono nei forum o nei blog e cercano con varie tecniche di manipolare o aggirare le idee che vengono espresse. Agiscono inizialmente facendo elogi e apprezzamenti positivi, fino a trovare il punto su cui sollevare polemiche e critiche. In tal modo viene svilito lo scopo costruttivo del forum, e a poco a poco viene creato un clima di opposizione o di antagonismo che esclude ogni possibilità di conciliare la controversia.
Altre tecniche utilizzate da queste persone sono: etichettare con parole come "fascista" "razzista" "nazista" o "antisemita". Oppure distorcere i significati, fare interventi di propaganda, scrivere post inutili, attirando l'attenzione su particolari irrilevanti, al fine di distoglierla dai punti importanti.
Dunque l'apparenza democratica di cui viene ammantata la rete Internet risulta in molti casi del tutto falsa.
Tuttavia la rete svolge un ruolo efficace nell'informare su argomenti non trattati dai media ufficiali.
Come abbiamo detto prima, il diritto a comunicare o ad esprimere liberamente le proprie idee è un diritto indispensabile all'esistenza di una democrazia. Eppure nel nostro paese c'è in atto un tentativo di negarlo o renderlo più difficile.
Lo scorso anno, l'allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del governo Prodi, Ricardo Franco Levi, ha elaborato un testo di legge per limitare la libertà di pensiero su Internet. Il disegno di legge, dal titolo “Nuova disciplina dell'editoria e delega al Governo per l'emanazione di un testo unico sul riordino della legislazione nel settore editoriale”.
è stato approvato all'unanimità dal Consiglio dei ministri il 12 ottobre 2007. Alcuni ministri, come confessa lo stesso Di Pietro non lo avevano nemmeno letto.
Curiosamente, proprio diversi ministri che lo hanno votato sono i più critici verso questa legge. Ad esempio lo stesso Ministro delle Comunicazioni Gentiloni dichiarò al quotidiano "La Stampa" che “Non si può estendere la logica della legge sulla stampa alla rete. Il difetto della norma era la definizione, così generica da rinviare all’autorità sulle Comunicazioni una palla avvelenata. Non bisogna discostarsi molto dalla normativa vigente”. Facendo capire di voler abrogare l'Art.7, che minaccia i bloggher di poter essere trascinati in tribunale per diffamazione.
C'è da chiedersi come mai il ministro abbia approvato un legge che considera ingiusta.
La legge Levi-Prodi obbligherebbe ogni bloggher ad avere una società editrice e un giornalista iscritto all’albo come direttore responsabile.
La legge inoltre definisce il prodotto editoriale in modo ampio, definendolo: "qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento, che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso". In tal modo farebbe rientrare anche i blog in questa definizione, che sono spazi gratuiti dati a privati per scrivere le loro idee, o pubblicare immagini.
Lo scopo di poter far rientrare ogni libera espressione di idee nella definizione di "prodotto editoriale" è quello, ovviamente, di controllarlo e di poter perseguire penalmente l'autore, in modo tale da metterlo fuori gioco. Con la definizione di "prodotto editoriale" il giovane che esprime le proprie idee viene comparato all'attività editoriale dei grandi gruppi come "L'Espresso" o il "Corriere della Sera." Il risultato è che il piccolo bloggher non potrà avere mezzi finanziari o protezioni politiche in possesso dei grandi imprenditori, e di conseguenza potrà essere facilmente spazzato via dalla scena.
In realtà chi apre un blog non è necessariamente un editore, perché può farlo semplicemente per raccontare se stesso o per esprimere le sue idee. La legge Levi-Prodi vorrebbe imporre l'iscrizione al Registro degli operatori di comunicazione (ROC), poiché altrimenti si potrebbe più facilmente essere colpiti dalle persecuzioni giudiziarie, accusati di reati come la diffamazione. Questo è un chiaro segno di intimidazione, infatti, i bloggher, sapendo di poter essere facilmente perseguitati penalmente potrebbero avere timore e procedere talvolta ad attività di autocensura.
Questo è una caratteristica dell'attuale sistema: si spinge il cittadino ad agire esso stesso contro i propri diritti e interessi.
Sulla rete si leggono diversi articoli che sostengono che la legge Levi-Prodi è stata proposta allo scopo di censurare Grillo. Ma si deve notare che in realtà Grillo probabilmente non ne risentirebbe perché essendo un personaggio noto e in possesso di mezzi finanziari potrebbe facilmente trovare modo di andare avanti comunque, mentre i piccoli bloggher sconosciuti e con scarsi mezzi finanziari sarebbero penalizzati e distrutti.
La legge Levi-Prodi fa emergere la gravità della situazione dell'informazione e della libertà di pensiero in Italia. Infatti, ormai sembra che tutti gli italiani debbano accettare leggi repressive della libertà, approvate senza più discuterle, come se vi fossero diktat dall'alto, criticate dagli stessi politici che le approvano, e che in tal modo fanno intendere ai cittadini di essere dalla loro parte, per continuare ad essere votati.
Dobbiamo trarre la conseguente conclusione che l'informazione corretta, pluralistica e necessaria alla formazione di un'opinione pubblica libera, non appare presente nei media ufficiali, e risulta di difficile appannaggio anche su Internet, senza però tralasciare che sulla rete è possibile trovare moltissime informazioni che i media ufficiali non danno, e per questo essa può essere oggetto di attacchi da parte delle autorità governative.
Anziché rendere anche i canali ufficiali, pagati con denaro pubblico, più obiettivi, indipendenti e pluralistici, si cerca di sopprimere la maggiore informazione che la rete offre.
Non è certamente accettabile una realtà in cui i cittadini vengono privati del diritto ad un'informazione corretta e pluralistica, che è la base di ogni vera democrazia.
NOTE
1) Borsook Paulina, "How Anarchy Works", Wired n. 110, October 1995.
2) Van der Wurff Richard, "I giornali cartacei e on-line in Europa", http://www.lsdi.it/dossier/giornalionline/cap3.html
3) Mandelli Andreina, "Il mondo in rete", Egea, Milano 2000, p. 193.
4) Mandelli Andreina, "Il mondo in rete", Egea, Milano 2000, p. 9.
5) Kurzweil Ray, "The age of spiritual machines", Viking Press, London 1999.
5 commenti:
Magnifico articolo, come sempre.
citazione
"..Da recente, alcuni studiosi hanno messo in evidenza che Internet non è soltanto un canale tecnologico di informazione o di attività sociali ed economiche, è anche un luogo virtuale che produce effetti sul pensiero e sul comportamento...."
mi sono sempre domandato perchè una tecnologia come internet che se usata in maniera consapevole è alquanto preziosa,sia stata diffusa,almeno in teoria,a livello globale.... forse questa è la risposta, o una delle tante.
ps-complimenti per il blog.
La conferenza è stata molto interessante e come sempre ci sono spunti di riflessione e si viene a conoscenza di elementi nuovi.
Da quanto esposto durante l'incontro, personalmente ho raccolto il messaggio di dover sempre filtrare, con la mia coscienza, tutto quello che mi viene detto (o scritto).
Forse la nostra coscienza è ancora in grado di segnalarci quello che va o che non va, non l'hanno ancora manipolata.
Altro punto bello nella conferenza è stato l'attacco ai vari guru che nelle piazze parlano a migliaia di persone ed è stato suggerito di considerarli solo come dei consulenti.
Grazie Antonella per il tuo contributo
Marcusdardi
Le faccio i complimenti per l'articolo,ha pienamente ragione...Inoltre avendo un piccolo blog,ho potuto constatare che se affronto determinati argomenti,diciamo "scottanti",tra i compagni di università,quest'ultimi notando forse l'impegno e l'entusiamo con i quali li tratto si interessano e si avvicinano maggiormente agli stessi,mentre quando vengono a conoscenza, sempre degli stessi argomenti, tramite il blog tendono a minimizzarli e li classificano come appartenti a una "teoria complottista" ed infatti i visitatori abituali del blog sono comunque persone che si occupano di ciò già da tempo e di fatto è come se l'informazioni presenti sul blog non esistessero, perchè chi se ne interessa le conosce già,mentre tutti gli altri tendono a banalizzare il tutto,grazie anche anche alla complicità dei canali di informazione tradizionali che,almeno in Italia, inducono le masse verso una assuefazione del "marcio",ossia è vero che il mondo è "corrotto",ma bisogna abituarsi... è tutto normale...almeno questa è la mia impressione... il grande pubblico si sta trasferendo gradualmente verso la rete attrato da una maggiore libertà e contemporaneamente i media creano gli strumenti per eliminarla...
Inoltre ha ragione anche su Beppe Grillo,perchè lui un editore( se si può chiamare così una società che ha come unico obbiettivo la persuasione delle masse) c'è l'ha la Casaleggio Associati...
La ringrazio nuovamente e le auguro buon lavoro...
Io c'ero, e mi ha colpito il contrasto tra la pacatezza di Antonella e l'animosità del pur ottimo Paolo Barnard.
Mi piacerebbe sfidare e veder sfidare il sistema sull'argomento che ritengo prioritario della gestione della moneta. Cosa complessa, perfino sul signoraggio bancario che ne è l'aspetto più banale, quasi didattico, come accennava Antonella. Mi riferisco non solo a internet o ai media, ma alla testa della gente, di tutti noi, alle barriere interne che la macchina mediatica costruisce e consolida giorno dopo giorno. A presto ...
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