venerdì

COME IL PARLAMENTO ITALIANO APPOGGIA LA MAFIA

Di Antonella Randazzo

27 luglio 2007


Cosa Nostra, 'Ndrangheta, Camorra, e tutte le altre organizzazioni criminali mafiose che operano sul nostro territorio sono oggi più forti che mai. Si dice che ciò sia dovuto al fatto che lo Stato si disinteressa al problema, ma se analizziamo meglio le cose emerge che il nostro potere legislativo si interessa moltissimo alla mafia, ma non per combatterla, bensì per sostenerla e proteggerla. Dopo il 1992, il nostro Parlamento ha approvato una serie di leggi a favore dei mafiosi, ad esempio, per far riciclare più facilmente il denaro sporco, per permettere di sfuggire alla giustizia o di rimanere in carcere il meno possibile. La mafia è oggi fortissima grazie al Parlamento e al governo.
Diversi magistrati, come Nicola Gratteri, denunciano questa situazione da anni, dimostrando come il loro lavoro, a causa delle leggi pro-mafia, subisce continui rallentamenti, ostacoli e frustrazioni.
Le leggi pro-mafia non sono una novità degli ultimi anni. A lungo le nostre istituzioni hanno cercato di negare il fenomeno mafioso inquadrandolo all'interno di una definizione generica di "bande di delinquenti" e facendo in modo che i mafiosi la facessero franca.
Per molto tempo le leggi contro la mafia praticamente non esistevano, dato che il fenomeno veniva minimizzato o negato. Ad esempio, il Cardinale di Palermo Ernesto Ruffini, dopo l'attentato di Ciaculli (1963), scrisse al Segretario di Stato Vaticano Cardinal Amleto Giovanni Cicognani che "la mafia era un'invenzione dei comunisti per colpire la D.C. e le moltitudini di siciliani che la votavano". (1) Per alcuni deputati la mafia era "un'esagerazione della stampa". (2) 
Soltanto nel 1982, dopo l’uccisione di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, venne approvata la legge La Torre (n. 646, G. U. n. 253 del 14 settembre 1982) in cui per la prima volta si definiva il delitto di "associazione di tipo mafioso".
Quando l'esistenza della mafia fu una volta per tutte ammessa, ai parlamentari non rimaneva altro che sabotarne la lotta. Numerosi esponenti della magistratura hanno denunciato (e continuano a denunciare), diverse tecniche di sabotaggio. Ad esempio, il 27 maggio 1992, il Presidente del tribunale di Caltanissetta Placido Dall’Orto, che doveva occuparsi delle indagini sulla strage di Capaci, si trovò in gravi difficoltà: "Qui è molto peggio di Fort Apache, siamo allo sbando. In una situazione come la nostra la lotta alla mafia è solo una vuota parola, lo abbiamo detto tante volte al Csm". (3)
Dalla seconda metà degli anni Ottanta e fino alla morte di Falcone e Borsellino, gli italiani vissero un periodo di entusiasmo e di fiducia nella possibilità di distruggere la mafia. La sconfitta del terrorismo aveva fatto sperare che anche contro la mafia sarebbe stata utilizzata la stessa determinazione. Racconta Giuseppe Di Lello, magistrato del pool:
"Il nostro lavoro non aveva contribuito soltanto a fare chiarezza sul livello militare della mafia. Aveva liberato molte forze della società civile e favorito un processo di avanzamento del fronte progressista culminato con la 'primavera di Palermo'... c'era un interesse politico perché la 'primavera' avesse una conclusione plateale... L'attentato all'Addaura, per esempio, si inseriva perfettamente nella strategia di attacco al pool e a tutto ciò che esso rappresentava. In quel momento Falcone capì anche che la bomba poteva arrivare in qualsiasi momento e da qualsiasi ambiente... L'opera di screditamento è continuata anche dopo il fallimento dell'attentato... Poi era spuntato il 'corvo' che aveva sparso i suoi veleni con le lettere anonime... dietro la vicenda c'erano ambienti e uomini dello Stato che scrivevano su carta intestata del Ministero dell'Interno". (4)
Con l'omicidio di Falcone e Borsellino hanno voluto spazzare via la speranza che la "primavera di Palermo" aveva creato. Hanno voluto dire agli italiani: "rassegnatevi alla mafia, perché se anche ci fosse qualcuno capace di estirparla, ciò sarà impedito". Dopo questi omicidi, fu evidente la spaccatura fra la gente comune e le istituzioni, che avevano mostrato di non avere alcuna intenzione di distruggere la mafia. Dopo l'omicidio di Borsellino i cittadini palermitani si sollevarono furiosi contro le istituzioni, e i funerali del magistrato si celebrarono in forma privata, attestando lo scollamento fra i parenti delle vittime della mafia, coloro che lottavano contro la mafia e le istituzioni politiche che avevano mostrato ampiamente da che parte stavano.
Oggi i magistrati non si limitano a denunciare la grave situazione di forza della mafia, ma hanno idee su come si dovrebbe affrontare la lotta antimafia. Nella trasmissione "Telecamere", mandata in onda il 20 novembre del 2006, il Ministro della Giustizia Clemente Mastella ha cercato di zittire il magistrato Nicola Gratteri che, rispondendo alla domanda della presentatrice Anna La Rosa su cosa si dovesse fare per combattere efficacemente la mafia, aveva detto: "L'opposto di quello che è stato fatto negli ultimi dodici anni".
Mastella, rivolgendosi a un magistrato che è costretto a vivere blindato per aver avuto il coraggio di capire cos'è davvero la 'Ndrangheta, anziché mostrare il massimo rispetto, disse nervosamente che egli doveva limitarsi a fare "il suo mestiere" che al resto ci pensavano loro (i politici). Il comportamento arrogante del ministro ha dimostrato, semmai ce ne fosse stato bisogno, quanto poco i nostri politici siano interessati a capire qual'è la strada giusta per contrastare la mafia. Se fossero realmente interessati a questo, si varrebbero delle indicazioni di magistrati estremamente competenti, anziché disprezzarli con sussiego. Il comportamento di Mastella non lascia dubbi sulla solitudine in cui i magistrati sono abbandonati, oltre che sul disprezzo con cui le nostre autorità politiche guardano tutti coloro che realmente vorrebbero migliorare il nostro paese. Mastella è un degno esponente di una classe politica che costringe i magistrati integri a vivere praticamente reclusi, mentre i capimafia vivono tranquillamente liberi, e indisturbati attuano i loro crimini.
Secondo Gratteri per contrastare la mafia occorre "Abolire il patteggiamento allargato per i reati di mafia e prevedere le notifiche tramite internet agli avvocati".
La legge detta del patteggiamento allargato, è entrata in vigore il 29 giugno 2003 (Legge 12 giugno 2003, n. 134, "Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti". G. U. n. 136 del 14 giugno 2003). La legge è stata approvata con 261 voti favorevoli, 160 contrari e 7 astenuti. Fu votata dall'allora maggioranza, mentre l'opposizione votò "no", ma oggi l'attuale maggioranza non l'ha abolita. Si tratta di strategie per mantenere il consenso e la fiducia dei cittadini: la maggioranza approva leggi vergognose, e l'opposizione mostra di rifiutarle, cosicché alle successive elezioni gli elettori voteranno l'altra coalizione, che però si guarderà bene dall'abolire quelle leggi che in precedenza non aveva votato.
Questa legge permette ai mafiosi di richiedere l'applicazione del rito alternativo. Nell'Art. 1 la legge dice:

"L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, dì una sanzione sostitutiva o di una pena diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentíva quanto questa, tenuto conto delle circostanze a diminuita fino a un terzo, non superi cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria".

La legge introduce due forme di patteggiamento: una prevede l'applicazione della pena detentiva massima di due anni (sola o con pena pecuniaria) con riduzione fino a un terzo, l'altra prevede l'applicazione della pena detentiva da due a cinque anni (sola o con pena pecuniaria). Questo significa che il magistrato si troverà presto ad avere a che fare ancora con le stesse persone mafiose che pochi anni prima era riuscito a far condannare.
Un altro metodo importante ed efficace per combattere la mafia è l'intercettazione telefonica. Per questo motivo il nostro Parlamento sta cercando di limitarla o impedirla. Per nascondere il vero motivo, le autorità ci inducono a credere che il loro intento è quello di proteggere la privacy dei cittadini. In realtà, se l'oligarchia dominante lo decide, ognuno di noi può essere controllato, e se anche i cittadini controllati riuscissero a provare i comportamenti illegali, sarebbero costretti a constatare che nessun responsabile sarà trovato, come purtroppo è già accaduto. Ciò prova che alle nostre autorità non interessa nulla della nostra privacy, esse vogliono limitare l'azione dei magistrati, che attraverso le intercettazioni potrebbero ricostruire i rapporti fra mafiosi e politici.
Come spiega il magistrato Luigi De Magistris, oggi la mafia è ben inserita nell'ambiente finanziario, politico ed economico. Esiste una rete che ha l'obiettivo di controllare tutti i finanziamenti pubblici, specie quelli europei, coinvolgendo politici e finanzieri in tutta Italia. Utilizzare le intercettazioni significa, prima o poi, trovare elementi che possano provare tali legami, e smascherare quei politici che mentendo si professano estranei alle reti mafiose.
In passato le intercettazioni hanno fatto emergere cose altrimenti difficili da provare. Ad esempio, durante una telefonata intercettata il 5 marzo 2004, Luciana Ciancimino diceva al fratello Massimo che "Gianfranco", personaggio vicino a Silvio Berlusconi, l'aveva invitata alla festa per i dieci anni di Forza Italia, a Palermo. Massimo Ciancimino rispose che si doveva partecipare alla manifestazione, anche per poter restituire a Berlusconi un assegno di 35 milioni che anni prima era stato dato al padre. L'indagine su Massimo Ciancimino, figlio del mafioso ex sindaco di Palermo, ha consentito alla magistratura di stabilire presunti legami fra Ciancimino padre e la Fininvest.
Grazie a testimoni e a intercettazioni, il Pm di Potenza Henry John Woodcock ha scoperto una rete affaristica e mafiosa fra massoni, politici e mafiosi (a volte le tre definizioni coincidono in un'unica persona).
Massimo Pizza, arrestato nell'ambito dell'inchiesta su traffici in Somalia, ha confermato che esiste una rete che collega affaristi, politici, massoni e mafiosi: "Sono due, le gran logge d'Italia da tenere d'occhio. Una in Calabria, l'altra in Basilicata. Se lei (riferito al Pm Woodcock, ndr) va a vedere i componenti per esempio della loggia di Calabria e va indietro, ricostruisce esattamente una parte di rapporti italiani che ci sono stati, ma ricostruisce la trasformazione organica della criminalità organizzata calabrese all'interno delle istituzioni a livelli altissimi". (5)
Sono state utili all'indagine alcune intercettazioni sulla realizzazione di un rigassificatore al largo di Livorno. I due interlocutori erano Giampiero Del Gamba, dirigente dell'Udc di Livorno, e Valerio Bitetto, amministratore della Tecnoplan. I due, intercettati nel periodo dicembre 2006/gennaio 2007, parlavano di come eliminare ogni ostacolo grazie all'appoggio del governo.
Bitetto chiedeva "che rapporti ha con Enrico Letta?", Del Gamba rispondeva: "Qui ci sono dei rapporti qui da noi, eh? Con Letta, sì, sì!". In un'altra conversazione Bitetto diceva: "Senti, invece, siccome è ormai ufficioso il negoziato tra Casini e Prodi, allora in questo negoziato soprattutto penso che l'ostacolo che vogliono rimuovere è: sono stanchi di accettare il ricatto di Pecoraro Scanio che ha bloccato tutto... allora c'è un pacchetto di cose che secondo me finiranno al tavolo della trattativa. A me, per i nostri progetti, mi interesserebbe un appoggio". Del Gamba rilanciava: "Mi ha chiamato ieri Casini, ma ero in macchina e poi gli è entrata gente in stanza e non ha potuto proseguire il discorso, ma se non è oggi, è subito dopo le feste che mi richiama, perché dobbiamo metterci d'accordo su alcune cose che non funzionano all'interno del partito, capito? Per cui ho l'opportunità di vederlo, di incontrarlo, e poi dirglielo in maniera seria, concreta, ecco, capito?". (6)
Bitetto, peraltro, sarebbe anche coinvolto nelle indagini su Massimo Ciancimino. All'interno della Tecnoplan, società di Bitetto, ci sarebbe un prestanome di Ciancimino, Gianni Lapis. Del Gamba fu arrestato nel 1996 per l'inchiesta sulle Ferrovie.
Da tutto questo si capisce cosa spinge il nostro Parlamento ad approvare leggi che possano limitare o impedire le intercettazioni.
Con la Legge n. 281/06 del 20 novembre 2006, GU n. 271 del 21 novembre 2006, sulle "disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche" si è iniziato il percorso atto a limitare o impedire la possibilità di utilizzare le intercettazioni telefoniche. Al centro della legge c'è l'esigenza che le intercettazioni non appaiano sui mass media. La legge mira ad intimidire gli editori e i giornalisti, comminando sanzioni che prevedono addirittura il carcere fino a quattro anni e multe fino a 1.000.000 di euro.
Sotto il governo precedente, come tutti sanno, le cose per l'antimafia non andarono certo meglio. Il centro-destra inserì nel Parlamento personaggi inquisiti per mafia, come Gaspare Giudice e Marcello Dell’Utri, in segno di disprezzo assoluto verso la legalità e le istituzioni. Divennero ministri personaggi come Pietro Lunardi, che aveva il coraggio di sostenere che si doveva "convivere con la mafia", che equivale a dire di dover accettare il crimine e la violenza. In altre parole, un ministro della Repubblica chiedeva con disinvoltura ai cittadini di accettare una realtà antidemocratica, criminale e civilmente involuta.
Oggi, come molti sanno, il nostro Parlamento è pieno di persone che hanno avuto condanne penali, come Massimo Maria Berruti (deputato FI), Giampiero Cantoni (senatore FI), Marcello Dell’Utri (senatore FI), Gianni De Michelis (deputato Nuovo Psi), Gianstefano Frigerio (deputato FI), Walter De Rigo (senatore FI), Giorgio La Malfa (deputato Pri), Calogero Sodano (senatore Udc) e Vincenzo Visco (deputato Ds). Altri sono stati assolti per "prescrizione", come Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi. Nessuno di noi assumerebbe queste persone, nemmeno per tagliare l'erba del giardino, eppure, come fosse accettabile, siedono nel nostro Parlamento e fanno le nostre leggi!
Quando ritornò al potere, nel 2001, Berlusconi disse che una sua priorità era quella di "riscrivere i codici". Si trattava di far passare leggi che diminuissero il più possibile il potere dei magistrati, in modo tale che anche i giudici più onesti e capaci non potessero in alcun modo contrastare né la mafia né la corruzione politica. I progetti di legge furono diversi, ricordiamo, ad esempio, quello per sottrarre al controllo dei magistrati la polizia giudiziaria (legge Mormino) o quello che avrebbe consentito di revisionare i processi (anche quelli con sentenza definitiva) celebrati prima dell'approvazione del "giusto processo" (legge Pepe-Saponara). Questa legge avrebbe permesso ai mafiosi condannati all'ergastolo di rifare i loro processi.
All'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli premeva che il carcere per i mafiosi non fosse duro: "41 bis, nessuno sarà condannato al carcere duro a vita". (7) "(Occorre) evitare forme di carattere vessatorio (il 41 bis sarà applicato) solo nei casi in cui è strettamente necessario".(8)
Tale riformismo è stato guardato con inquietudine da molte persone, per i pericoli insiti nel voler controllare e sottomettere il potere giudiziario. Come fece notare il Giudice della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri, durante la Conferenza "Riforma della giustizia e difesa dei diritti", svoltasi a Brescia il 19 maggio del 2005: "Le stesse persone che hanno fatto la legge potrebbero interpretarla ed applicarla non a garanzia dell'universalità dei cittadini, ma a garanzia di quel gruppo dominante che le ha espresse".
E' nota la vasta campagna, portata avanti per anni nel nostro paese, di delegittimazione dei magistrati che hanno il coraggio di fare il proprio dovere anche quando si trovano di fronte a personaggi che fanno parte dell'oligarchia di potere. L'élite dominante cerca di far credere che ci sia qualcosa che non va in chi è moralmente integro, propugnando metodi che mirano a mettere in cattiva luce chi non è corrotto. Tentano di ribaltare i termini: vorrebbero far figurare i corrotti come gli integerrimi e i magistrati onesti come i corrotti. Avendo nelle mani un immenso potere mediatico riescono a veicolare le notizie funzionali a tale inganno.
Ad oggi, nel nostro paese i magistrati integri e coraggiosi vengono perseguitati ferocemente dai mass media e dal Parlamento. Gli esempi potrebbero riempire libri interi. Ricordiamo il caso di Giancarlo Caselli. Il 15 dicembre 2005, alla Casa della cultura di Milano, Caselli presentò il libro "Un magistrato fuori legge", in cui racconta la sua sconcertante storia. Nel libro si legge: "Sono l’unico magistrato italiano al quale il Parlamento ha dedicato espressamente una legge. Una legge contra personam che mi ha espropriato di un diritto: quello di concorrere alla pari con altri colleghi, alla carica di Procuratore nazionale antimafia”. La "colpa" di Caselli è stata quella di istruire il processo a Giulio Andreotti. Col solito metodo mediatico di ribaltamento dei termini, il magistrato diventò in breve tempo una specie di personaggio infame, mentre Andreotti figurava come vittima.
Un altro attentato alla giustizia avviene attraverso i tagli alla spesa pubblica, che hanno diminuito significativamente i fondi destinati alla giustizia. I magistrati sono oggi costretti a lavorare senza il minimo necessario, come la carta, il fax e la manutenzione del computer. Limitare i mezzi finanziari significa umiliare, mettere in gravi difficoltà un settore fondamentale per la tutela dei diritti e la democrazia.
Il 17 luglio scorso, durante la trasmissione "W l'Italia" di Riccardo Iacona, sono intervenuti i magistrati Nicola Gratteri e Luigi De Magistris, che hanno chiaramente parlato di grave pericolo per lo Stato di Diritto. Gratteri ha detto: "Lo Stato ha tradito... il confine fra Stato e antistato non c'è più". Lo stesso magistrato ha denunciato quanto sia d'ostacolo la legge sul patteggiamento allargato e il grave regresso delle leggi sulla lotta alla mafia.
In un paese realmente democratico cosa sarebbe dovuto accadere se un giudice della Repubblica avesse denunciato che "Non c'è più confine fra Stato e antistato"? Le persone che stanno in Parlamento, se fossero motivate al benessere del paese, avrebbero risposto allarmate e proposto un pacchetto di leggi adatte a combattere efficacemente la 'Ndrangheta, dando priorità a questo gravissimo problema. E invece cosa è successo? Nessuno ha risposto, silenzio assoluto. Un silenzio assai eloquente.
Neppure il nostro presidente della Repubblica, che si dilunga spesso in prediche di stampo paternalistico, ha sentito l'esigenza di dire qualcosa. Di fronte alle questioni cruciali per il futuro del paese, le nostre autorità non parlano, non vedono e non sentono. Si comportano come se non dovessero dare alcuna spiegazione al paese, come se non ci fosse alcuna responsabilità, come fossero anche loro semplici cittadini. Cosa occorre per far loro assumere le responsabilità delle loro cariche? Il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio e il Ministro di Grazia e Giustizia vogliono continuare a nascondere che l'Italia è ormai completamente piegata al potere mafioso/massonico manovrato da chi sta a Washington?
Il faccione benevolo di Prodi non serve a far dimenticare a chi vive in Calabria, in Sicilia o in Campania cosa significa subire la devastazione dell'economia, dell'ambiente e della fiducia nel progresso civile. Questa sofferenza che gli italiani provano, vittime in vari modi della mafia, non è inevitabile. Infatti, se riuscissimo a cacciare definitivamente tutti i partiti manovrati dall'alto e i loro burattini, la mafia sarebbe distrutta nel giro di pochi mesi, perché essa si regge grazie al sistema e senza tale protezione non avrebbe più alcuna forza. Se non fosse stata sostenuta dal sistema, la mafia sarebbe stata distrutta dal pool Antimafia, che stava aprendo il vaso di Pandora per portare alla luce tutto il marciume del sistema che regge la mafia: banche complici, holding internazionali mafiose, ecc. La mafia è un coacervo di malvagità, destinato a creare altra malvagità, sofferenza e involuzione spirituale e morale. Essa stimola la rabbia o la paura, costringendoci ad una situazione di mancata serenità, che incide sulla qualità dell'esistenza e sulle possibilità di sviluppo interiore. Essa è assai utile al potere ma è gravemente nociva per l'intera collettività. L'appoggio che la mafia ha da parte delle nostre istituzioni non può e non deve essere tollerato, occorre prendere le distanze da chi permette alla mafia di continuare ad avere potere sul nostro paese. Queste persone sono complici di chi ha ucciso Falcone, Borsellino e tantissime altre persone oneste e coraggiose.
L'attuale sistema partitico garantisce che una percentuale molto alta di deputati e senatori rimarrà invariata a lungo, e ogni elezione apporta minimi cambiamenti che non saranno affatto determinanti. Questo significa che solo pochissime persone, come Giuseppe Lumia, lotteranno per mettere la lotta alla mafia fra le priorità del Parlamento, ma ciò sarà vano, perché la stragrande maggioranza dei parlamentari non sosterrà la loro battaglia. Le elezioni, dunque, non cambiano nulla finché si è all'interno dell'attuale sistema partitico, in cui tutti i grandi partiti sono controllati dall'oligarchia dominante, che non ha alcun interesse ad eliminare la mafia, ma ne ha moltissimo a mantenerla forte e potente.
Una cosa è certa, se vogliamo continuare ad avere una criminalità organizzata forte e ricca dobbiamo appoggiare ancora l'attuale sistema partitico, in cui la maggior parte dei candidati sono a servizio del gruppo egemone, ossia di coloro che stampano le banconote caricandone il valore nominale sul nostro debito e che fanno le guerre per difendere il loro potere ovunque. Queste stesse persone hanno bisogno dei mafiosi per sottomettere i popoli più "ribelli" e per portare avanti i traffici illeciti (traffico di droga, contrabbando, estorsioni, ecc.). Sostenere l'attuale sistema politico equivale a sostenere la mafia e le guerre. Durante le campagne elettorali, i partiti hanno come obiettivo primario di convincerci che con le nuove elezioni le cose cambieranno, promettendo riforme importanti che puntualmente disattenderanno. Dopo ogni elezione, andranno in Parlamento, per la maggior parte, coloro che c'erano già, e i nuovi sono stati scelti dagli stessi partiti (nel momento in cui li hanno candidati), che non metteranno mai in Parlamento (essendo controllati dall'élite) molte persone decise a cambiare le cose. Di queste ultime ne bastano poche unità, talmente poche da non avere alcun potere. Il sistema di far eleggere pochissime persone "rispettabili', ossia migliori moralmente delle altre è una vera e propria tecnica, utilizzata persino in Iraq e in Afghanistan. Serve ad illudere e a suscitare fiducia in un sistema che è compromesso alle radici, per evitare che risulti troppo evidente che l'unica via d'uscita consiste nell'estirparlo come si fa con un'erbaccia o con cancro che divora l'organismo.
Quasi tutte le persone che eleggiamo, scelte dai partiti attuali, non saranno mai a servizio della collettività, appartenendo ad un sistema politico che ha il fulcro nell'appoggio al gruppo che detiene il potere finanziario ed economico. Eleggendo queste persone diventiamo loro complici, e le autorizziamo, seppur indirettamente e illudendoci di fare il contrario, ad approvare leggi che provengono dal sistema stesso, il cui unico scopo è quello di autoperpetuarsi. In altre parole, le elezioni servono a far credere che i politici sono i rappresentanti del popolo, e che opereranno per l'interesse dei cittadini. Dato che ciò non è vero, si tratta di una truffa.
Si può scegliere fra la mafia o la lotta antimafia. La scelta avviene ogni giorno, nella misura in cui decidiamo di sostenere l'attuale sistema, diventandone complici, oppure di prenderne le distanze, ripudiando ogni tipo di sostegno.


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NOTE

1) Natoli Gioacchino, "L'organizzazione giudiziaria antimafia: una lunga battaglia", relazione al Convegno "Mafia e potere", Palermo, 19 febbraio 2005.
2) Pantaleone Michele, Mafia e droga, Einaudi, Torino 1979, p. 72.
3) La Repubblica, 28 maggio 1992.
4) Nicastro Franco, Mafia, 007 e Massoni, Edizioni Arbor, Palermo 1993, pp. 110-114.
5) http://www.pmli.it/inchiestaloggiamassonicacoperta.htm
6) http://www.pmli.it/inchiestaloggiamassonicacoperta.htm
7) Il Giornale, 25 luglio 2002.
8) La Padania, 9 novembre 2002.

martedì

LA METAFORA DEL RANOCCHIO Come ridurre in schiavitù senza farsene accorgere

Di Antonella Randazzo

24 luglio 2007

Negli Stati Uniti si racconta che se un ranocchio viene messo nell'acqua calda per essere cotto, salta via e si salva, ma se viene messo dentro l'acqua fredda e si scalda l'acqua a poco a poco, rimane lì fino a morirne. La morale della storia è che ciò che non si può accettare immediatamente si potrà accettare a poco a poco, in mancanza di consapevolezza del risultato finale.
Utilizzeremo la storia del ranocchio come metafora del metodo utilizzato dall'attuale sistema di potere. Infatti, tale sistema non è stato attuato immediatamente e con chiarezza, altrimenti sarebbe stato rifiutato, esso è stato imposto a poco a poco, facendo in modo che nessuno si accorgesse di quanto potere stesse acquisendo col passare del tempo.
Ad esempio, l'istituzione di corporation fu avversata tenacemente nell'Inghilterra del XVII secolo, e per questo l'oligarchia dovette posticipare i suoi progetti. Non appena l'opinione pubblica distolse l'attenzione, alla fine del XVIII secolo (1), la corporation riapparì ancora più immorale e imbrogliona di prima. A quell'epoca, diverse corporation furono trascinate in tribunale per aver commesso una serie di frodi e di azioni illegali. Per cercare di non essere più citati in giudizio, i grandi imprenditori fecero pressioni affinché nei tribunali statunitensi le corporation venissero considerate "persone" giuridiche, con gli stessi diritti delle persone fisiche. La Corte suprema del New Jersey e del Delaware, nel 1886, stabilì che le corporation dovevano, come le persone, essere poste sotto la protezione del quattordicesimo emendamento. In tal modo esse assumevano un potere che i cittadini non avevano. Infatti, mentre tutti i cittadini sono responsabili personalmente delle loro azioni, le corporation assumevano diritti senza avere alcun dovere né alcuna responsabilità. Si trattava di porle al di sopra delle leggi: la corporation, per legge, doveva a tutti i costi (dunque anche infrangendo le leggi), perseguire il profitto.
Nel secolo successivo, i cittadini statunitensi ed europei, inizialmente recalcitranti, iniziarono ad accettare le corporation, anche se esse mantennero la cattiva fama: all'inizio del Novecento, la gente comune le vedeva come "mostri senz'anima - egoiste, impersonali e amorali." (2)
Per modificare questa realtà, l'élite attuò una serie di strategie che facevano apparire le corporation ciò che esse non erano: altruiste, socialmente responsabili e necessarie all'economia. Fu utilizzata la propaganda e furono finanziate squadre sportive e appuntamenti sportivi (olimpiadi e campionati). I personaggi più amati vennero pagati lautamente per associare la propria immagine al marchio dell'impresa, e furono elargiti milioni di dollari a enti di beneficenza e assistenziali, rendendo note tali iniziative. A poco a poco, la gente iniziò a perdere l'ostilità che aveva provato in passato verso queste istituzioni inique e nocive, e a sviluppare sentimenti positivi. La crisi economica degli anni Trenta riportò drammaticamente alla realtà di un sistema caratterizzato dall'avidità delle banche e delle grandi corporation. Il presidente americano Franklin D. Roosevelt dovette, per evitare il peggio, aprire la fase del New Deal, affinché i cittadini potessero riacquistare fiducia nel sistema finanziario ed economico. Negli anni Trenta, molte corporation furono trascinate in tribunale per truffa e altri reati. Il giudice della Corte suprema Louis Brandeis, in una sentenza del 1933, le definì "mostri simili a quelli di Frankenstein."(3) Nel 1939 almeno settanta delle più grandi corporation statunitensi erano state condannate per violazione dei diritti umani, frodi finanziarie e inganni pubblicitari. Tali corporation ebbero almeno tredici condanne ciascuna, dimostrando di essere recidive nei comportamenti criminali.
Dall'ultimo dopoguerra, l'élite dominante iniziò a diffondere l'idea che il sistema avrebbe portato tutti al benessere materiale, e dunque appoggiare le grandi imprese significava promuovere lo sviluppo economico e la modernizzazione. I crimini delle corporation vennero sempre più insabbiati, facendo prevalere l'immagine positiva di sviluppo economico e tecnologico. Veniva sempre più occultato che in realtà le corporation agivano motivate esclusivamente dal profitto, causando guerre, morte e miseria per la stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta. Esse avevano conquistato la fiducia degli occidentali a poco a poco, attraverso varie strategie. Se l'oligarchia avesse espresso chiaramente la sua ideologia devastatrice, nessuno avrebbe mai accettato il suo potere. A poco a poco, grazie all'impunità e alla mancanza di scrupoli, le corporation riuscirono a concentrare nelle loro mani un potere totalitario, e oggi poche centinaia di esse decidono l'economia dei paesi del mondo, decretando chi deve vivere e chi morire.
Lo stesso metodo graduale è stato utilizzato nel settore finanziario. Dal XVIII, e fino all'inizio del XX secolo, alcuni grandi banchieri erano considerati criminali. Ad esempio, nel 1905, si erano riunite a Boston diverse associazioni religiose, per raccogliere fondi da destinare a progetti di evangelizzazione. All'iniziativa partecipò anche John D. Rockefeller, che fece una donazione di centomila dollari. La congregazione si sollevò furiosa quando seppe della donazione: il denaro di un banchiere appariva come "denaro sporco" perché esso non proveniva dal lavoro ma da loschi traffici. All'epoca tutti sapevano che la fortuna di Rockefeller era dovuta a speculazioni ciniche e immorali. Il termine "denaro sporco" fu coniato in quell'occasione.
Per cambiare la situazione, gradualmente, i banchieri alimentarono una cultura che rivalutasse il loro modo di essere. Occorreva trasformare la realtà a loro immagine e somiglianza, facendo credere che la cosa più importante dell'esistenza fosse la ricchezza materiale, e che per denaro si potesse commettere qualsiasi azione, anche la più bieca e criminale. John D. Rockefeller aveva esattamente questa mentalità, come si può inferire da una sua frase: "La gente è semplicemente una merce trattabile e acquistabile quanto lo zucchero o il caffè. Io pago, per acquisti di questo tipo, molto più che per qualunque altro genere di merce sulla terra". (4)
Il gruppo di banchieri cercherà dunque di costruirsi un'immagine mediatica di successo, condizionando la cultura occidentale attraverso stereotipi. Ad esempio, creando e alimentando la figura dell'uomo che "si è fatto da solo", e che, anche se nasconde aspetti loschi e poco chiari, è da considerare positivamente. La giornalista Ida Tarbell scrisse diciotto articoli su "La storia della Standard Oil", che furono pubblicati a partire dal novembre del 1902. In uno di questi articoli si legge:

"Rockefeller ha raggiunto i suoi scopi ricorrendo alla forza e alla frode. Ma invece di suscitare disprezzo questi metodi vengono sempre più ammirati. È logico, del resto: celebrate il successo in affari, e gli uomini affermati come quelli della Standard Oil diventeranno eroi nazionali". (5)

Sarà introdotta anche l'idea che i poveri, i miserabili o i reietti, si trovano in quella condizione per colpa loro, e la classe ricca dimostrerà la sua superiorità morale attraverso l'elemosina o la carità. In seno alle religioni si impose l'importanza di assistere gli indigenti o di fare beneficenza, come unica via per migliorare le condizioni delle classi povere. L'élite, non essendo disposta a farsi carico delle responsabilità derivate dal sistema creato, riconosceva ai poveri l'unica possibilità di aiuto nell'opera caritatevole dei religiosi o dei filantropi. Miliardari come Andrew Carnegie, John D. Rockefeller e Henry Ford, si improvvisarono filantropi, istituendo associazioni di beneficenza attraverso le quali potevano magnificare la loro persona e nascondere di essere i responsabili della povertà.
Negli Usa, grazie alla legge Federal Reserve Act del 1913, un gruppo di banchieri, (Bernard Baruch, Otto Kahn, Jacob Schiff, J. P. Morgan, Paul Warburg, John D. Rockefeller, ecc.) acquisì, il potere di emettere moneta. Si fece in modo che i cittadini non si accorgessero della frode e che pensassero che la Federal Reserve fosse gestita dal governo, sulla base dell'interesse collettivo. Se ai cittadini fosse stata detta la verità sul sistema finanziario, non lo avrebbero accettato, per questo le banche agirono con gradualità e furbizia.
I mass media, soprattutto il cinema e la televisione, alimentarono (e alimentano) una cultura basata sul possesso di oggetti materiali, relegando in secondo piano i valori morali di solidarietà, di altruismo e di crescita interiore. Ne è derivata una società che vede nel ricco un esempio comunque positivo, oltrepassando i giudizi e le analisi su come è stata costruita quella fortuna.
Oggi le banche sembrano istituti "asettici" e "neutrali", e invece rappresentano il centro del sistema criminale che semina guerra e distruzione. Secoli fa la gente lo capiva facilmente, oggi è assai più difficile farlo capire a tutti. A poco a poco i banchieri hanno imposto il loro potere, senza dichiarare quali fossero i loro intenti, generando fiducia.
Lo stesso principio di gradualità è stato utilizzato nel sistema politico. Il sistema dei partiti fu accolto dagli europei con molta diffidenza sul finire del XX secolo. Dopo la Prima guerra mondiale la poca fiducia si era completamente esaurita. Moltissime persone si erano accorte che il sistema era facilmente manovrabile da parte di chi deteneva il potere economico-finanziario.
I principi social-comunisti avevano rafforzato l'idea che la democrazia non avesse bisogno di coalizioni o di gruppi di potere, al contrario, essa poteva esistere soltanto all'interno di una realtà in cui venisse posto come fine ultimo il benessere dell'intera popolazione. Gli storici Charles e Mary Beard, dopo la grande guerra, osservavano che nel sistema elettorale i partiti si erano "accampati" come un "esercito permanente". (6)
I gruppi social-comunisti erano nati come formazioni sociali motivate dall'obiettivo di combattere la miseria e l'ingiustizia. Laddove erano nati, in Gran Bretagna, rimasero sostanzialmente ciò che erano stati in origine, ossia formazioni di natura sindacale. Tali formazioni accoglievano persone di tutte le classi sociali, compresi diversi capitalisti, come Robert Owen. Nel 1920 nacque il Partito Comunista della Gran Bretagna (CPGB), che nel periodo della Guerra Fredda diventerà filo-sovietico, e successivamente socialista radicale, fino al suo scioglimento nel 1991. Ma l’organizzazione che più univa i lavoratori, in Gran Bretagna, rimase sempre il sindacato.
Alla fine del XX secolo le lotte sindacal-socialiste, in Gran Bretagna e negli Usa, stavano raggiungendo risultati concreti, grazie all'appoggio delle classi medie, che ritenevano giuste le rivendicazioni delle classi più deboli. Il termine "socialista" venne utilizzato a partire dal 1830, in riferimento ai gruppi politici che mettevano al centro la cooperazione sociale. Il termine "comunista", nacque intorno al 1840, da governo locale o la "comune"; il termine avrebbe indicato i sistemi basati sull'idea di proprietà collettiva e di beni comuni. Alla base di questi concetti c'era il bisogno dei lavoratori di dare vita ad un sistema più equo e più "umano", eliminando lo sfruttamento e la violenza.
Le classi umili, ovviamente, non avevano alcuna intenzione di dare vita ad un sistema partitico controllato dall'alto, ma avevano l'obiettivo di migliorare le condizioni economiche e culturali. Samuel Gompers, fondatore del movimento sindacale americano, spiegava chiaramente cosa volevano i lavoratori: "Vogliamo più scuole e meno prigioni, più libri e meno arsenali, più istruzione e meno vizi, più giustizia e meno vendetta; vogliamo più opportunità di coltivare la nostra natura migliore, di rendere l'uomo più nobile".
Realizzare tali obiettivi significava far crollare un potere basato sulla violenza, che opprimeva con lo sfruttamento lavorativo e non riconosceva a tutti gli stessi diritti. L'oligarchia dominante, timorosa di perdere il potere, cercò un modo per creare divisioni fra le classi e per evitare che le lotte pacifiche andassero avanti: appoggiò e rafforzò l'ideologia marxista, facendo in modo che prevalesse durante la Prima internazionale, nel 1864, e che il comunismo si affermasse come partito di lotta armata. La rivoluzione russa sancì definitivamente il principio di lotta di classe armata, e i proletari europei si illusero che prima o poi l'oligarchia sovietica avrebbe organizzato una grande lotta armata per portare al potere le classi deboli.
L’élite egemone inglese sostenne finanziariamente il lavoro di Marx, per indurre gli operai alla guerra e distoglierli dalla pericolosa collaborazione con industriali filantropi come Owen. Attraverso il marxismo essa puntava a mettere in primo piano la "Storia" e non i bisogni delle persone povere, la "lotta armata", e non la possibilità che ogni individuo potesse guardare al bene collettivo, senza divisioni. Nel marxismo c’è un nemico che ispira odio, e c’è la “necessità storica”, come una sorta di principio assoluto divinizzato. Tale ideologia imponeva dogmi fissi, propagandati come verità assolute, ad esempio, che il capitalismo fosse nelle mani di una classe precisa e che spodestare tale classe equivaleva a distruggerlo.
In Gran Bretagna, a metà dell’Ottocento, erano nate le Trade Unions, su impulso di un gruppo di operai qualificati. Si trattava di associazioni ispirate da Robert Owen e dai "Pionieri di Rochdale", che erano propense ad attuare cambiamenti favorevoli ai lavoratori, collaborando con i proprietari, e non attraverso lotte o rivoluzioni. La cooperativa dei consumatori chiamata la Società dei Probi Pionieri di Rochdale (cittadina inglese) era nata nel 1844, ad opera di un gruppo di operai tessili e artigiani, che investendo una sterlina ciascuno formarono uno spaccio cooperativo, in cui, con pochissimo denaro, si potevano acquistare generi di prima necessità come farina e zucchero. Era un modo per sopravvivere con dignità nonostante i salari da fame. L'oligarchia dominante, dalle Trade Unions, ricavò il Partito Laburista, che aveva l'obiettivo principale di cooptare le lotte dei lavoratori all’interno del sistema politico. Inserirlo nel sistema dei partiti significava poterlo finanziare e quindi controllare.
Attraverso il marxismo e la creazione di partiti social-comunisti controllati dall'alto, l'élite riuscì a distruggere l'era dell’attivismo sindacale su larga scala e degli accordi pacifici fra lavoratori e industriali.
Dopo la Seconda guerra mondiale molti cittadini europei e americani capirono che il sistema basato sui partiti e sulle periodiche elezioni non era realmente democratico, anche perché i risultati potevano essere manipolati attraverso diverse strategie. Ciò era stato appurato in diverse occasioni, in cui i risultati avevano deluso la popolazione. Ad esempio, nella Francia del 1958, a causa della nuova legge elettorale, i comunisti ridussero i propri seggi da 150 (del 1956) a 10. Anche in Italia, negli stessi anni, le elezioni vennero manipolate in modo tale da impedire ai partiti di sinistra (che avevano la maggioranza di seggi) di andare al governo. Nel 1948, la Cia, valendosi della mafia, manipolò le elezioni in Sicilia, in modo tale da impedire la vittoria dei comunisti. Fu dato denaro al fine di corrompere i votanti, e don Calò Vizzini dette istruzioni su come truccare le urne. Senza le operazioni concordate fra mafia e Cia, i comunisti avrebbero avuto la maggioranza di seggi all'Assemblea Costituente. A questo scopo, i funzionari della Cia raccolsero sovvenzioni da parte delle grandi banche e imprese. I versamenti erano deducibili dalle tasse.
A poco a poco, la propaganda occidentale indusse ad associare il sistema elettorale partitico alla democrazia e al pluralismo, escludendo la possibilità che si potesse attuare un sistema alternativo. Si sorvolava sul fatto che il sistema partitico è basato sulle sovvenzioni private, e per questo è nelle mani del gruppo di potere, che ha più denaro per fare spazio ai propri partiti e ai propri candidati.
Negli ultimi decenni il sistema elettorale è addirittura diventato un'"industria elettorale", con agenzie di pubblicitari (spin doctors) che promuovono il candidato come fosse un prodotto da vendere.
Per concludere, un sistema basato sul crimine, sul saccheggio e sull'inganno politico è stato imposto a poco a poco, avendo cura che le vittime non si accorgessero di ciò che stava accadendo, o che lo accettassero perché divenuto familiare e propagandato come l'unica realtà possibile.
Come nella storiella del ranocchio, rimanere passivi costituisce il comportamento peggiore.


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Note

1) Osserva Joel Bakan che "tra il 1781 e il 1790, il numero di Corporation aumentò di circa dieci volte, da 33 a 328". Bakan Joel, "The corporation. La patologica ricerca del profitto e del potere", Fandango, Roma 2004, p. 13.
2) Bakan Joel, op. cit., p. 21.
3) Bakan Joel, op. cit., p. 24.
4) Gozzoli Sergio, "L'America: i plutocrati 'eletti da Dio'", http://www.paginadelleidee.net/7_politica/politica24.htm
5) Tarbell Ida, “The History of Standard Oil Company”, New York, 1904.
6) Cit. Testi Arnaldo, "Trionfo e declino dei partiti politici negli Stati Uniti, 1860-1930", Otto Editore, Torino 2000, p. 2.

sabato

LE INDAGINI DEL PUBBLICO MINISTERO WOODCOCK

Di Antonella Randazzo

07 luglio 2007


Quello che i mass media diffondono in maniera spropositata, spesso, viene utilizzato per coprire altre notizie che il sistema non vuole divulgare. Da diverso tempo, telegiornali, quotidiani, riviste e alcune trasmissioni televisive, divulgano notizie sull'inchiesta del Pm di Potenza Henry John Woodcock, relativa ad un giro di estorsioni che vedrebbe coinvolti Fabrizio Corona, Riccardo Schicchi e altre 16 persone; indagine chiamata "Vallettopoli" per l'implicazione di vallette utilizzate per adescare personaggi famosi. L'inchiesta nasceva in seguito alle intercettazioni di conversazioni da cui emergeva il pagamento di somme per impedire la pubblicazione di immagini fotografiche considerate "compromettenti".
Di un'altra inchiesta, attuata dallo stesso Pm, assai più importante per l'opinione pubblica, la Televisione non ha parlato quasi per nulla. Si tratta di un'inchiesta relativa ad alcune Logge massoniche che negli ultimi anni si sarebbero infiltrate nella pubblica amministrazione, saccheggiando denaro pubblico, controllando appalti e gestendo il potere con criteri privatistici.
A Potenza sono indagate 24 persone per violazione della Legge Anselmi e per “essersi associate tra di loro allo scopo di commettere un numero indeterminato di reati contro la pubblica amministrazione, promuovendo associazioni segrete vietate dall’articolo 18 della Costituzione e pianificando interventi diretti ad accaparrarsi appalti, concessioni e risorse pubbliche, sfruttando i legami scaturiti da rapporti di natura massonica”. (1) Fra queste persone figurerebbero Veio Torcigliani, Gesualdo Marra, Ugo Ruggiero Rosi, Santo Mancuso, Mario Saullo, Marco Olivito, Francesco Toti, Roberto Testa, Paolo Togni, Bryan Arandjelovic ed Emo Danesi.
La Legge n.17 del 25 gennaio 1982 (detta Legge Anselmi), fu approvata in seguito allo scandalo della Loggia Propaganda Due (P2), con lo scopo di sciogliere la P2 e rendere illegali tutte le associazioni segrete con obiettivi analoghi. La legge ribadiva un principio presente nella Costituzione Italiana, al secondo comma dell'articolo 18, che considera illegali le associazioni segrete con scopi politici e a carattere militare.
L'inchiesta ha avuto inizio a Potenza poiché in Basilicata, nel 2005, fu scoperta una loggia diretta da Massimo Pizza, un personaggio implicato nei traffici in Somalia (“Somaliagate”). Il problema però sembra esteso a tutta l'Italia, come si è capito dalla scoperta di personaggi affiliati alla Loggia di San Marino, che agivano nelle amministrazioni di diverse località italiane, come una rete di potere.
Nel giugno scorso fu attuata l'Operazione «Why Not» che mise sotto inchiesta 19 persone indagate per associazione a delinquere, corruzione, violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete, truffa e finanziamento illecito ai partiti. Le persone indagate erano affiliate alla Loggia di San Marino, che, secondo la Procura della Repubblica di Catanzaro, agiva come una vera e propria lobby, per operare scelte nelle amministrazioni pubbliche, per appropriarsi di finanziamenti e controllare l'assegnazione di appalti. Il sostituto procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris ha inviato informazioni di garanzia a venti persone, fra le quali c'è il generale Paolo Poletti, che attualmente è capo di Stato Maggiore delle Fiamme Gialle. Fra le altre persone indagate troviamo l'imprenditore calabrese Antonio Saladino e due persone che hanno lavorato per i servizi segreti, Brunella Bruno, in servizio al Cesis (Comitato Esecutivo per i servizi di Informazione e di Sicurezza), e Massimo Stellato, capocentro del Sismi a Padova. Altri nomi eccellenti hanno ricevuto informazioni di garanzia: il consigliere d'Amministrazione della Finmeccanica Franco Bonferroni, il presidente della società Met Sviluppo Pietro Macrì, l'assessore all'agricoltura Mario Pirillo, gli imprenditori Armando Zuliani e Piero Scarpellini, i dirigenti della Regione Calabria Luigi Filippo Mamone e Francesco De Grano, il consigliere regionale della Calabria Antonio Acri, Giancarlo Pittelli di Forza Italia, ecc. Alcune persone indagate erano già state affiliate alla Loggia P2.
Sono state effettuate diverse perquisizioni e controlli a Reggio Calabria, Padova, Roma e Milano. Nel «decreto di perquisizione personale e locale» firmato dal sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro Luigi De Magistris, si legge: "Emerge una pervicace volontà di depredare le risorse pubbliche pur di raggiungere lucrosi interessi criminali. Le indagini preliminari hanno anche evidenziato comuni colleganze affaristiche riscontrate anche da altra attività investigativa e dall'esame di materiale sequestrato all'esito di precedenti perquisizioni tra società e persone riconducibili, anche indirettamente, ad amministratori pubblici facenti parte di opposti schieramenti in tal modo delineandosi un controllo, si potrebbe dire, 'blindato' di fette rilevanti della spesa pubblica in settori determinanti per lo sviluppo. È emersa la costituzione di vere e proprie lobby affaristiche costituite con modalità tali da rimanere occulte, con attività dirette ad interferire sull'esercizio delle funzioni di istituzioni, amministrazioni pubbliche e di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale".
Uno dei personaggi chiave dell'inchiesta sarebbe l'imprenditore Antonio Saladino, probabilmente legato alla società ‘Delta Spa’. E' emerso che il gruppo criminale avrebbe operato tramite parecchie società, fra loro collegate come scatole cinesi. La ‘Delta’, società di telecomunicazioni, sarebbe diventata ‘Italgo spa’, amministrata da Giorgio Cirla, presidente della ‘Sopraf’. Entrambe le società appartengono al ‘Gruppo Delta’, un'holding finanziaria controllata dalla Cassa di Risparmio di San Marino. La Procura di Catanzaro ha appurato che "artificiosamente siano state costituite una serie di società, create ad hoc, per fare profitto illecito ed ottenere commesse nell’ambito degli appalti e delle gare e per perpetrare ingenti truffe ai danni della comunità europea nell’ambito dei finanziamenti pubblici di volta in volta confluiti presso le casse della Regione Calabria da parte dell’Unione Europea, utilizzando spesso le società per piazzare, quale controprestazione sinallagmatica, persone che hanno prestato loro opere in favore dei vari solidali... è emerso che diversi nominativi di persone coinvolte, soprattutto taluni indagati, compaiono in diversi assetti di società, spesso con ruoli apicali, talvolta uscendo da alcune per rientrare in altre di medesimo oggetto sociale. Tenuto conto, altresì che le società interessate, che sembrano costituire un collaudato sistema di 'scatole cinesi', hanno quasi sempre come oggetto sociale il settore ambientale (rifiuti o acque), quello immobiliare, quello finanziario, quello informatico, quello dei servizi e del terziario, e che risultano rapporti e transazioni per il reimpiego, verosimilmente, delle somme illecitamente acquisite con società fiduciarie". (2)
L'indagine su Fabrizio Corona, a confronto dell'altra inchiesta, che vede l'esercizio di un potere di stampo criminale che depreda denaro pubblico, è a dir poco ridicola.
Oggi l'Italia è nelle mani di mafiosi e di coloro che operano con metodi criminali, e gli italiani sono trastullati da vicende di vallette e di presunti piccoli ricattatori inguaribilmente esibizionisti.
Traete voi le debite conclusioni.



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Fonti:
Gazzetta del Mezzogiorno, 6 giugno 2007.
La Repubblica, 12 marzo 2007.
La Repubblica, 19 giugno 2007.
L’Unità, 18 giugno 2007.
La Stampa, 25 giugno 2007.

Note
1) Amministratore, 6 giugno 2007.
2) Il Corriere della Sera, 19 giugno 2007.